Da una parte c’è la corsa di Matteo Renzi, l’uomo che sei anni fa si mise in testa di “scalare l’Italia” rottamando chi aveva occupato fino a quel momento i palazzi della politica. Dall’altra c’è una schiera di vecchi imprenditori e faccendieri che, appena Renzi arriva al governo, cerca di mettere le mani sui servizi di pulizia e di gestione ordinaria di quei palazzi.
La gara d’appalto più grossa d’Europa viene bandita il 19 marzo 2014 dalla Consip, la società del ministero dell’economia e delle finanze che gestisce l’acquisto di forniture e servizi per la pubblica amministrazione. Due miliardi e 700mila euro da aggiudicare per la cura ordinaria di uffici, università, enti di ricerca, ripartiti in diciotto lotti. Il più prestigioso dei quali, per 143 milioni, include anche il senato, palazzo Chigi e il Viminale.
Come s’intrecci la nuova corsa di Matteo Renzi, che riparte dalle primarie del Partito democratico, con quella per la gara Consip, scattata nei primi giorni del suo governo, è storia che si va scrivendo in queste ore. Di certo, intorno alla gara che l’azienda del tesoro avrebbe dovuto aggiudicare entro la primavera successiva, la procura di Napoli e quella di Roma avvertono odore di corruzione.
“È evidente la lotta imprenditoriale che sembra gestita a suon di tangenti o mediante la ricerca di appoggi all’interno della cosiddetta alta politica al fine di indurre i vertici della Consip ad assecondare le mire dell’illecita concorrenza”, scrive, sintetizzando l’inchiesta, il giudice per le indagini preliminari Gaspare Sturzo, che lo scorso 1 marzo, su richiesta dei magistrati romani Paolo Ielo e Mario Palazzi, ha disposto l’arresto dell’imprenditore campano Alfredo Romeo, concorrente agguerrito nella grande gara pubblica e non nuovo a scandali giudiziari. Ma tra gli indagati ci sono anche il padre di Matteo Renzi, Tiziano Renzi, sospettato di traffico d’influenze, e Luca Lotti (molto vicino all’ex presidente del consiglio), ministro dello sport nel governo Gentiloni.
In pellegrinaggio da Romeo
Tutto parte da Alfredo Romeo e dalle indagini guidate dal pubblico ministero napoletano Henry John Woodcock, insieme ai colleghi Celeste Carrano ed Enrica Parascandolo, sull’appalto per le pulizie dell’ospedale Cardarelli.
I magistrati decidono di ricorrere alle intercettazioni e scoprono così che nel suo ufficio di Roma in via della Pallacorda, Romeo, che ha al suo fianco come collaboratore l’ex deputato del Pdl Italo Bocchino, riceve più volte un funzionario della Consip, Marco Gasparri, pagato per fornire informazioni sulla gara indetta dalla società del ministero dell’economia (Gasparri avrebbe avuto in totale da Romeo 100mila euro). Non solo. A fargli visita è anche un amico di Tiziano Renzi, Carlo Russo, giovane imprenditore farmaceutico di Scandicci, che ha conosciuto Tiziano, padrino di suo figlio, durante un pellegrinaggio a Međugorje.
Romeo parla a voce bassissima, proprio perché sa di poter essere intercettato. E le cose più importanti le scrive in silenzio su un pezzo di carta. Un sistema di “pizzini” simile a quello adottato dai mafiosi, annotano i magistrati. Il 14 settembre mentre sta parlando con il giovane imprenditore di Scandicci sul pizzino scrive la cifra “30mila per mese” seguita da una “T.”, l’iniziale di Tiziano Renzi, secondo l’ipotesi degli inquirenti, e “5mila ogni due mesi”, seguita da “R.C.”, le iniziali della società di Carlo Russo.
I carabinieri del Nucleo operativo ecologico hanno trovato il foglietto tra la spazzatura proveniente dall’ufficio di Romeo. Sotto c’è scritto anche: “Due incontri quadro tenuti da T.”, uno con “M.” che, secondo gli inquirenti, sarebbe Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip, l’altro con “L.”, che potrebbe essere il ministro dello sport Luca Lotti. Quel foglietto per i magistrati sancirebbe “l’accordo quadro” tra Romeo, interessato ad aggiudicarsi anche il lotto romano della gara Consip, Russo e, attraverso Russo, Tiziano Renzi. E fra i tre ci sarebbe stato anche un incontro, avvenuto, secondo il racconto di un testimone indiretto, in una “bettola” a Roma.
Il padre dell’ex premier nega e dice che qualcuno ha millantato il suo nome, ma resta indagato per traffico di influenze, insieme a Russo, che interrogato contemporaneamente a lui, il 3 marzo, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Le microspie rimosse
C’è però un altro personaggio chiave nell’inchiesta. Ed è il numero uno di Consip, Luigi Marroni. Ingegnere, Marroni comincia la sua carriera nel settore pubblico dieci anni fa, come direttore di un’azienda sanitaria regionale a Firenze. Negli anni fiorentini entra in contatto con l’ex premier e con suo padre, Tiziano Renzi, conosciuto durante il palio di Siena.
C’è poi un altro dettaglio nella sua biografica politica: Marroni è amico di famiglia di Denis Verdini. A rivelarlo non sono le carte giudiziarie pubblicate in questi giorni dai quotidiani, ma un deputato del partito di Verdini, Ignazio Abrignani, anche lui interessato alle vicende della gara Consip. In ogni caso, quando arriva a palazzo Chigi, Renzi si ricorda di Marroni e nel giugno del 2015 lo nomina a capo della Consip, incarico delicatissimo.
Un anno e mezzo dopo, a pochi giorni dalla sconfitta di Renzi al referendum costituzionale, Marroni va dai magistrati e, come rivelato dall’Espresso, punta il dito contro Lotti, contro il padre dell’ex premier e anche contro l’amico Verdini. È il 20 dicembre 2016, dal referendum sono successe molte cose, da un punto di vista sia politico sia giudiziario. La notte del 4 dicembre Renzi ha annunciato che lascerà palazzo Chigi. Dal 5 dicembre il padre di Renzi è finito sotto intercettazione. E forse, ipotizzano gli inquirenti, è venuto a saperlo, perché due giorni dopo fa dire a Carlo da un altro suo amico (Roberto Bargilli, l’uomo alla guida del camper di Renzi durante le primarie del 2012, ora assessore di Rignano sull’Arno) di non chiamarlo e di non mandare messaggi.
Ancora. Il 16 dicembre Marco Gasparri, il funzionario della Consip pagato da Romeo, ha confessato ai magistrati di aver preso denaro dall’imprenditore campano, che nel frattempo è stato perquisito. Infine, tre giorni dopo, i carabinieri si sono presentati nella sede della società guidata da Marroni. E hanno scoperto che qualcuno stava rimuovendo le microspie.
Il 20 dicembre, dopo tutti questi eventi, Marroni, che al momento non risulta iscritto nel registro degli indagati, si presenta dagli inquirenti e spiega che quelle spie le ha fatte rimuovere lui, ma spiega anche, come riporta nel dettaglio il Fatto Quotidiano, che era stato informato della loro possibile presenza “non so se da Lotti o da un suo stretto collaboratore” e che prima ancora lo avevano messo in guardia il comandante generale dei carabinieri della Toscana, Emanuele Saltamacchia, il presidente di Publiacqua Filippo Vannoni, il presidente della Consip, Luigi Marroni, avvertito a sua volta dal comandate dei carabinieri Tullio Del Sette (che ha negato), e lo stesso Lotti che gli avrebbe parlato di un’indagine sul suo predecessore.
Ai magistrati il numero uno della Consip, però, racconta anche di aver subìto le pressioni di Russo e di Tiziano Renzi. Allude perfino a un “ricatto”, perché Russo gli avrebbe prospettato il rischio di perdere la sua posizione. Obiettivo: convincerlo a favorire un’impresa concorrente a quella di Romeo, raccomandata a Marroni sia da Tiziano Renzi sia dallo stesso Verdini.
Lo stesso canale
Non è chiaro come si concili la testimonianza di Marroni con il quadro offerto dalle intercettazioni di Romeo. Ma, stando all’inchiesta, a sua volta in cerca di appoggi “al massimo livello politico”, anche l’imprenditore campano avrebbe percorso il canale che da Russo, attraverso l’intercessione di Tiziano Renzi, lo avrebbe portato fino al numero uno della Consip. E a Luca Lotti.
Lotti nega. Il padre di Renzi anche. In ogni caso, per questa doppia via, l’inchiesta partita dagli affari di Alfredo Romeo arriva dritta al cuore del gruppo più ristretto di collaboratori di Renzi. Con il ministro dello sport che sarà costretto a difendersi in aula (come Maria Elena Boschi nei giorni del salvataggio di Banca Etruria) dalla mozione di sfiducia che il movimento cinquestelle chiede di mettere in calendario al più presto.
L’ex premier difende Lotti, invoca pena doppia sul padre se dovesse risultare colpevole, chiede che eventuali processi si svolgano nelle aule dei tribunali e non sui quotidiani. Ma come finirà questa vicenda non dipenderà solo dalla capacità dei magistrati di dare seguito alle ipotesi investigative.
Le primarie del Partito democratico, a meno di rinvii che l’ex premier non sembra intenzionato a concedere, si svolgeranno il 30 aprile, molto prima che la giustizia possa arrivare con una sentenza alla sua verità. E se Tiziano Renzi fosse rinviato a giudizio, l’ex presidente del consiglio dovrà spiegare che fine ha fatto la sua promessa di rottamare i vecchi sistemi di potere.
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