Il ragazzo sembra così innocente. Gli adulti non riescono a capire perché l’abbia fatto. Il protagonista di Adolescence, serie tv creata da Jack Thorne per Netflix, è un tredicenne radicalizzato dai social network che ha accoltellato a morte una compagna di classe in un impeto di rabbia sessista. La serie ha avuto un grande successo e ha riacceso il dibattito pubblico sui giovani maschi e la misoginia on­line. Ma il dramma in sé e l’omicidio che descrive non sono l’elemento più sconvolgente di questa storia. Ciò che è sconvolgente è che qualcuno sia sconvolto. Dopotutto non c’è niente di lontanamente fantasioso nella trama. Uomini e ragazzi hanno commesso atti di terrorismo misogino anche prima di essere ipnotizzati da delle sette online.

Detto questo, di recente molti ragazzi sono finiti al centro dell’attenzione per aver commesso proprio questo tipo di omicidi. Kyle Clifford, arrestato per aver ucciso tre donne con una balestra, sarebbe stato spinto da “autocommiserazione”, secondo le parole del giudice. Durante il processo, alla giuria è stato detto che Clifford aveva guardato dieci video dell’influencer misogino Andrew Tate nelle 24 ore prima di stuprare e uccidere la sua ex, e ucciderne la madre e la sorella. Al protagonista di Adolescence è stato somministrato lo stesso veleno, ci dicono durante la serie. E Thorne ha parlato in modo commovente di quanto abbia trovato la mentalità del suo personaggio fin troppo plausibile. Ciò che è implausibile è la sorpresa di opinionisti e commentatori. “La violenza compiuta da ragazzi soggiogati da ciò che vedono in rete è un problema. È ripugnante, dobbiamo assolutamente trovare una soluzione”, ha dichiarato il 19 marzo Keir Starmer. Forse il primo ministro britannico vuol farci credere che c’era bisogno di una serie tv per far scoprire alla classe politica l’epidemia di violenza contro donne e ragazze.

Testimoni inascoltate

Ma la verità è che i nostri rappresentanti politici conoscevano già da tempo le minacce della cultura misogina, perché gli sono state raccontate all’infinito dalle donne, dalle ragazze e da chiunque facesse la minima attenzione a ciò che accade online. Lo sdegno di oggi dimostra che non hanno mai ascoltato i nostri racconti o non ci hanno mai creduto. Oppure, più semplicemente, non erano interessati.

La scorsa estate tre ragazze sono state uccise da un uomo a Southport durante un corso di ballo a tema Taylor Swift. Nel 2021 un uomo ha ucciso cinque persone (comprese la madre e una bambina di tre anni) ispirato dall’ideologia “incel” (celibe involontario). Nonostante anni di promesse e strategie del governo, “l’epidemia di violenza contro le donne e le ragazze” sta peggiorando. Nei primi anni del decennio scorso, quando ero una giovane giornalista, ho subìto una campagna coordinata di molestie e abusi online. A 24 anni ho cominciato a ricevere regolarmente minacce di morte, oltre alla dose quotidiana di promesse di stupro. E di sicuro non ero l’unica. Quando alcune attiviste hanno lanciato l’allarme, gli uomini ci hanno detto che eravamo troppo sensibili. Si trattava solo di ragazzi arrabbiati che non facevano sul serio. Ci dava fastidio uno scherzo? Di sicuro avevamo fatto qualcosa per provocarli? Ci avevamo pensato?

Quando le minacce sono diventate più credibili, ci hanno detto di empatizzare con gli aggressori. Ho parlato con uomini e ragazzi verbalmente aggressivi. Ho cercato di empatizzare con la loro disperazione, con il loro sentirsi persi e impotenti. Ma nessuno aveva un piano per fermarli. Mentre più donne e ragazze hanno continuato a soffrire (o a morire) e gli uomini si ubriacavano con lo spirito del tempo, l’unica risposta della società è stata quella di chiedersi “perché”. Come se alla fine potesse arrivare una risposta rassicurante.

Adolescence - Netflix © 2024
Adolescence (Netflix © 2024)

La terza volta in cui mi sono presentata alla polizia per denunciare gli abusi online, mi ha accompagnato un redattore di New Statesman. Quando ci hanno detto che non c’era nulla che potessero fare, non sono rimasta particolarmente sorpresa. Ma la persona che era con me non si aspettava quell’indifferenza. Ricordo la sua indignazione. Sono passati anni prima che questo genere di misoginia violenta fosse trattato come un problema. Nel frattempo ci hanno detto di tenere duro e farci il callo: se li avessimo ignorati, gli incel e i molestatori si sarebbero annoiati e sarebbero passati ad altro.

Ragazzi vulnerabili?

Invece si sono professionalizzati. Varie manifestazioni dell’androsfera si sono unite in un movimento con ambizioni politiche. Andrew Tate, convinto che le vittime di stupro dovrebbero “essere ritenute responsabili” e abituato a incitare i suoi seguaci a commettere atti di violenza sulle donne, è l’esempio più conosciuto di questa misoginia professionale. Ma ce ne sono altri. A febbraio l’amministrazione Trump sarebbe intervenuta per permettere a Tate di lasciare la Romania, dove è accusato di traffico di esseri umani e violenza sessuale. Una delle presunte vittime aveva 15 anni. Non c’è nulla di buffo in questo. Tate e i suoi imitatori non scherzano. Non l’hanno mai fatto.

Non siamo di fronte ad atti casuali di violenza. I colpevoli di queste aggressioni non sono solo uomini che hanno sofferto e sono stati spinti a sviluppare fantasie nichiliste e piani di vendetta sessuali. Concentrarsi sui ragazzi vulnerabili preda di una setta misogina significa distogliere l’attenzione dagli uomini adulti che sono al centro di tutto, compresi quelli che oggi detengono il potere. Eppure continuano a chiederci di metterci nei panni degli uomini che aggrediscono le donne, di considerare che forse non hanno tutti i torti, magari non sulla violenza come soluzione, ma sul modo in cui i ragazzi sono emarginati, sulla crudeltà delle ragazze. Certo, noi non sfogheremmo mai queste sensazioni imbracciando un fucile e facendo una strage in un cinema o in una scuola elementare. Ma forse, ci dicono, potremmo capire perché qualcuno lo fa. Mi piacerebbe occuparmi degli uomini che sono riusciti a non cadere nella radicalizzazione, invece di ascoltare sempre giustificazioni per chi si è radicalizzato.

A questo punto so tutto quello che voglio sapere sui ragazzi perduti e su come sono diventati dipendenti dalla misoginia online, sul risentimento maschile e su come sia alimentato dagli imprenditori e dai politici che fomentano l’odio verso le donne. Ho visto questi uomini trasformare in un movimento politico il rifiuto di affrontare con maturità i propri sentimenti. Sono stanca di essere ostaggio delle emozioni di ragazzi incattiviti e violenti. Quello che tutte noi vogliamo sapere, al più presto, è come possono essere fermati. ◆ as

Laurie Penny è una scrittrice britannica. In Italia ha pubblicato Meat market: carne femminile sul banco del capitalismo (Settenove 2013).

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Questo articolo è uscito sul numero 1608 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati