Ci sono dischi riusciti, ispirati e piacevoli da ascoltare. E poi ci sono album in grado di scavare un solco profondo e duraturo. Die di Iosonouncane, uscito ormai dieci anni fa, il 30 marzo 2015, appartiene a questa seconda categoria. Il 2015 ha rappresentato un momento importante per la musica italiana: si è aperto il periodo del cosiddetto itpop con Mainstream di Calcutta; sono usciti dischi importanti come Endkadenz vol. 1 e 2 dei Verdena ed Egomostro di Colapesce; Marracash ha pubblicato Status. L’anno dopo sarebbe arrivato L’ultima festa di Cosmo, un gioiello di pop elettronico, ma anche La fine dei vent’anni di Motta e Hellvisback di Salmo.

Insomma, erano anni fertili, nei quali le etichette indipendenti sembravano in grado di scuotere l’intera scena musicale italiana, innovando stili e linguaggi. Die di Iosonouncane, però, era una cosa a parte, si capiva subito che sarebbe diventato un classico. E ascoltandolo oggi, a dieci anni di distanza, questa sensazione è confermata: nei 38 minuti e 9 secondi della sua durata non ci sono passaggi a vuoto, ma un unico flusso di musica che t’investe come una mareggiata.

Quello che rende Die un disco unico è, anzitutto, la sua struttura. L’album racconta la storia di un uomo e una donna. L’uomo si trova in mezzo al mare e ha paura di morire. La donna guarda dalla terraferma gli ultimi scoppi di burrasca al largo, con il timore di non rivedere mai più l’uomo. L’album non è altro che la descrizione dei loro pensieri. È strutturato in sei parti, con due brani corali (Tanca e Mandria) ad aprire e chiudere il disco, e quattro brani centrali (Stormi, Buio, Carne e Paesaggio) sviluppati dalla prospettiva di lui e di lei. Tutti i pezzi sono legati l’uno all’altro, e il paesaggio sullo sfondo resta lo stesso (impossibile non pensare alla Sardegna, la terra natale del cantautore, anche se come i tutti i grandi dischi Die profuma di universalità).

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Le canzoni, pur restando coerenti tra loro, variano per registro, ritmo e melodia: l’iniziale Tanca è una cupa marcia elettronica trascinata da campionamenti di tenores sardi; Stormi ha una struttura irregolare ma contiene una melodia pop che l’ha trasformata in un piccolo inno; Buio (a oggi il mio pezzo preferito) è un brano dalle tinte prog-rock illuminato da un lirismo accecante; Carne ha un grande crescendo ritmico ed emotivo; Paesaggio è un intermezzo, ma è al posto giusto; Mandria torna all’elettronica, facendo quasi collassare il disco su se stesso in un delirio ritmico finale.

La voce di Iosonouncane è sofferta, espressiva, ma è quasi nascosta in mezzo a chitarre, sintetizzatori e percussioni. Il lavoro sui testi è magistrale: il cantautore ha deciso di usare un numero limitato di parole, alcune delle quali (sole, sale, mare, rive, fame) ricorrono in modo ossessivo. Alla base dei testi ci sono letture precise fatte da Incani in quel periodo: John Steinbeck, Ernest Hemingway, Albert Camus e soprattutto La terra e la morte di Cesare Pavese. A questi va aggiunto Manlio Massole, poeta, professore di lettere e minatore di Buggerru, il paese dov’è nato Iosonouncane, un’influenza fondamentale per il musicista. In questo senso, come in Pavese, alla base del disco c’è una concezione “mitologico-agricola”, come spiegava Nicolò Porcelluzzi in un bellissimo articolo pubblicato nel 2015 su Minima&Moralia.

Die riesce a far dialogare l’arcaico con il presente, a riportare alla luce una civiltà contadina e dimenticata attraverso i sintetizzatori e le chitarre elettriche. Un’operazione difficile, coraggiosa, ma perfettamente riuscita. E in questo mi ha fatto venire in mente Ovunque proteggi di Vinicio Capossela, disco diversissimo da un punto di vista testuale e musicale, ma altrettanto capace di far incontrare epoche storiche diverse.

Ho un paio di ricordi personali legati a Die. Nel maggio del 2015 ho incontrato per la prima volta Jacopo Incani in occasione di un’intervista prima del suo concerto alle Mura, un locale del quartiere romano di San Lorenzo. Ci siamo visti a metà pomeriggio, e per circa un’ora abbiamo parlato di Die. Incani mi ha colpito fin da subito, ma per la cura con cui sceglieva le parole e per la serietà con cui parlava della sua musica e di quella degli altri. A una prima impressione il cantautore può sembrare una persona educata ma scostante. Con il tempo ho capito che dietro al suo carattere schivo si nasconde una passione assoluta per la musica, e una grande voglia di condividere quello che pensa con persone disposte ad ascoltarlo con attenzione. Semplicemente, ci tiene molto a quello che fa.

Iosonouncane suona dal vivo nella redazione di Internazionale

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Quella sera alle Mura era presente un centinaio di persone, e Incani aveva suonato tutto il disco da solo, facendo partire i campionamenti dal suo computer e suonando un sintetizzatore mentre cantava. Era una specie di uomo macchina. Di lì a pochi mesi il suo pubblico sarebbe aumentato molto, e locali come le Mura non sarebbero più bastati. Anche per lui, il 2015 è stato un anno di svolta.

L’altro episodio che mi fa piacere ricordare è avvenuto pochi mesi dopo, il 7 dicembre 2015. Quel giorno il cantautore è venuto nella redazione di Internazionale insieme alla corista Serena Locci per suonare in acustico due brani di Die: Buio e Carne. Il concerto è durato poco, ovviamente, ma la forza di quei brani era evidente a tutte le persone presenti, che sono rimaste ad ascoltare in silenzio religioso.

A distanza di anni, ogni tanto con qualche collega capita di ricordare quel pomeriggio: “Ti ricordi quando è venuto Iosonouncane in redazione?”. E questo dimostra che il solco tracciato da Die è ancora lì. Il tempo non l’ha scalfito neanche un po’.

Questo testo è tratto dalla newsletter Musicale.

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