Il nome dell’attivista dell’opposizione bielorussa Roman Protasevič è finito sulle prime pagine dei giornali dopo che un aereo Ryanair in volo da Atene a Vilnius è stato costretto ad atterrare all’aeroporto di Minsk il 23 maggio. A bordo era stata segnalata la presenza di una bomba. Dopo l’atterraggio i passeggeri sono stati fatti scendere. Terminati i controlli, senza che la bomba fosse trovata, tutti hanno potuto riprendere il viaggio. Tutti tranne Protasevič e la sua ragazza. È stato un atto senza precedenti: la sicurezza dei passeggeri è stata messa in pericolo e le regole del traffico aereo sono state violate per arrestare un attivista politico.

Protasevič ha 26 anni ed è un oppositore del regime del presidente Aleksandr Lukašenko fin dall’adolescenza: la partecipazione alle manifestazioni di protesta gli è costata diversi arresti e l’espulsione da scuola. Ha lavorato come reporter free­lance, nel 2018 ha ricevuto una borsa di studio per giovani giornalisti intitolata a Václav Havel e ha svolto uno stage presso la sede praghese di Radio Free Europe. Nel 2019 ha lasciato la Bielorussia perché temeva per la sua sicurezza.

Nel suo paese è diventato famoso soprattutto per aver fondato Nexta, un canale di Telegram che, prima delle proteste scoppiate nell’agosto 2020, pubblicava informazioni direttamente da fonti interne ai vari dipartimenti e organismi governativi, incluse le forze di sicurezza. Per questo è finito nella lista nera degli individui accusati di terrorismo.

Il 23 maggio 2021 Protasevič è stato arrestato, dopo essere stato tirato giù dall’aereo, e formalmente incriminato per terrorismo. Il giorno dopo le autorità bielorusse hanno diffuso un video in cui il dissidente, con evidenti segni di percosse, confessa la sua colpevolezza e dichiara che in carcere lo trattano bene. All’inizio di giugno, poi, la tv di stato ha messo in onda un’intervista di più di un’ora in cui Protasevič riconosce di aver organizzato le proteste antigovernative, si pente dei propri errori e dichiara che le sue critiche a Lukašenko erano ingiustificate. L’intervista è stata chiaramente una messa in scena. La famiglia e i colleghi di Protasevič sostengono che la confessione è stata ottenuta con la tortura.

Una strategia precisa

La detenzione di Protasevič e l’intervista servono a mandare un segnale chiaro, tanto all’opposizione in esilio quanto ai bielorussi in patria: il regime è abbastanza forte da potersi permettere di violare il diritto internazionale e raggiungere i suoi oppositori all’estero. Nessuno è al sicuro, nemmeno fuori dal paese. Il video doveva far definitivamente capire ai bielorussi che la situazione non cambierà, che qualsiasi forma d’opposizione sarà punita con la reclusione e che emigrare non garantisce la sicurezza.

Ma il regime non si è limitato al filmato dell’umiliante pentimento di Protasevič. Subito dopo il suo arresto, su internet è partita una campagna per insinuare che l’attivista avrebbe un passato oscuro. È una tattica che ricorda quella usata dal Cremlino contro il dissidente russo Aleksej Navalnyj: dopo il suo arresto, a febbraio, erano state rispolverate alcune sue vecchie dichiarazioni contro gli immigrati, che avevano spinto Amnesty international a ritirargli lo status di prigioniero di coscienza (recentemente gli è stato riattribuito). La strategia del regime di Minsk è simile e punta a dipingere Protasevič come un simpatizzante del neo­nazismo e dell’estrema destra: avrebbe combattuto con il controverso battaglione Azov nel conflitto in Donbass, in Ucraina orientale. A sostegno di questa accusa, tuttavia, non ci sono prove. Oltre agli articoli con evidenti falsità, sui social network e sui giornali sono circolate immagini di Protasevič in divisa e con un mitra in mano durante una parata militare o nell’atto di esultare. Si tratta di foto che non dimostrano nulla o la cui autenticità è impossibile da dimostrare. Lo stesso Protasevič ha detto pubblicamente di aver passato del tempo con i battaglioni dell’esercito ucraino, ma solo in qualità di giornalista. L’affermazione è stata confermata da tutti i testimoni intervistati, tra cui i soldati e i comandanti delle varie unità.

Lo scopo della campagna orchestrata da Minsk è mettere l’opinione pubblica contro Protasevič o almeno confondere le acque per rendere difficile a un osservatore comune capire dove si trovi la verità. È una tattica abbastanza diffusa e si concentra soprattutto sulla nostra idea di quello che debba essere un dissidente. Davanti a regimi non democratici tendiamo a vedere le cose in bianco e nero: chi combatte contro un sistema autoritario è automaticamente considerato un democratico.

Così, quando le vecchie frasi di Navalnyj sull’immigrazione sono state ripescate e usate per attaccarlo, improvvisamente non sapevamo più che posizione prendere nei suoi confronti: dovevamo continuare a sostenere una persona che aveva detto quelle cose? Rimanendo su questioni che riguardano l’Europa orientale, potremmo anche chiederci quale sia la sua opinione sull’annessione della Crimea alla Russia, sui diritti degli omosessuali, sulla parità di genere. In questo modo, però, cadremmo in trappola: proietteremmo la nostra realtà (e le nostre aspettative) su società che non hanno ancora elaborato certi temi. E non valuteremmo l’opposizione politica per quello che è: una serie di attività il cui scopo è sbarazzarsi di un governo autocratico. Questo non vuol dire che sia giusto chiudere un occhio su determinate dichiarazioni o non interessarsi alle idee dei dissidenti. Ma dobbiamo evitare che le campagne di disinformazione usino la nostra sensibilità verso il tema dei diritti per screditare ingiustificatamente chi si oppone a un regime autoritario.

Presente e futuro

La situazione è più articolata di quanto sembri e non può essere semplificata con la dicotomia tiranno-democratico. E spesso i dissidenti non hanno idee precise su come organizzare il futuro stato libero per cui si battono. Il punto è che sono impegnati soprattutto a demolire un regime, combattono contro ciò che hanno davanti. Come fa Svetlana Tichanovskaja.

Molti osservatori si chiedono perché la leader dell’opposizione bielorussa non abbia ancora presentato un progetto chiaro per il dopo Lukašenko. Al momento, però, la cosa più urgente è costringere il presidente a farsi da parte, immaginare un paese libero dal suo regime. È questo il messaggio che esprime meglio ciò che oggi i bielorussi vogliono di più. ◆ ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1415 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati