“L’Europa è fortunata. Sì, Europa, sei fortunata perché in questo momento storico incredibilmente difficile è la Polonia a prendere il timone”. Con queste parole il premier polacco Donald Tusk ha assunto il 1 gennaio 2025 la presidenza di turno del consiglio dell’Unione europea, dimostrando una grande fiducia in se stesso.
La Polonia di oggi è del tutto diversa dal paese che aveva già avuto la presidenza nel 2011. Il complesso di inferiorità rispetto all’occidente è scomparso. I paesi dell’ex blocco sovietico che nel 2004 sono stati ammessi nell’Unione europea, dopo lunghi e dolorosi adeguamenti agli usi e costumi occidentali, sono diventati protagonisti a pieno titolo sul palcoscenico continentale. Anzi, sempre più cittadini dell’Europa centrorientale – polacchi in testa – sentono di essere la parte migliore dell’Europa. Completata la rincorsa economica, sostengono di essere dalla parte della ragione sulle due principali questioni che l’Ue deve affrontare: l’aggressione russa e l’immigrazione.“
Il pilastro della nuova fiducia in sé stessi degli europei dell’est è il benessere. La parole d’ordine che ha circolato per decenni nelle conferenze e negli incontri pubblici tra Varsavia e Cracovia – catching up, ovvero recuperare – è ormai fuori moda, perché il paese si è messo in pari. Con i governi liberali ed europeisti o con quelli nazionalisti e conservatori, l’economia si è comunque allineata alle altre del mercato comune.
Oggi il pil pro capite della Polonia è l’80 per cento della media europea, il dato migliore di sempre. Ecco perché l’economista Marcin Piatkowski, dell’accademia Leon Kozminski di Varsavia, parla di un “secolo d’oro” per il paese. “Nel giro di un paio d’anni raggiungeremo la Spagna e l’Italia, e in una decina d’anni il Regno Unito”, ha detto di recente in tv. “Quest’anno il nostro pil toccherà i mille miliardi di dollari. E diventeremo la ventesima economia al mondo”.
Il rapporto con la Germania
Per molti polacchi l’aumento del pil è stato a lungo solo una serie di cifre estrapolate da dati macroeconomici. Da un paio d’anni, però, gli stipendi hanno cominciato a crescere sensibilmente e il benessere è diventato ampiamente percepibile e visibile. Le città sono piene di nuove costruzioni e per le strade impazzano i suv. In campagna, i vecchi cortili pieni di fango vengono lastricati e tirati a lucido. Da cinque anni sono più i polacchi che tornano a casa rispetto a quelli che emigrano. Perché andare a vivere all’estero, se si guadagna bene anche in patria?
La fiducia economica nel loro paese aumenta ulteriormente quando i polacchi guardano oltreconfine. Attenzione: il confine occidentale, non quello orientale. La situazione è visibile a occhio nudo: mentre la Germania si lamenta di una rete stradale decrepita e maltenuta, grazie ai miliardi di Bruxelles le autostrade polacche sono nuove di zecca. Il sistema bancario è più moderno e i polacchi in viaggio in Germania notano con stupore che spesso internet salta e la rete funziona a singhiozzo. Mentre l’economia tedesca è sull’orlo del baratro da diversi anni, quella polacca cresce di circa il 3 per cento all’anno.

Anche sulla scena internazionale il paragone con il paese più grande e ricco d’Europa la dice lunga. Nel suo primo mandato come primo ministro polacco (dal 2007 al 2014), Donald Tusk è stato spesso dipinto come una specie di portaborse di Angela Merkel. Forse era un’esagerazione, ma sta di fatto che Tusk era l’ombra della cancelliera tedesca. Senza l’appoggio di Merkel, probabilmente non sarebbe mai diventato presidente del Consiglio europeo.
Da quando è tornato in carica come primo ministro della Polonia – sconfiggendo alle elezioni del 2023 il partito ultraconservatore e dalle tendenze autoritarie Diritto e giustizia (Pis) – i ruoli sembrano invertiti. Tusk è celebrato in Europa come il leader che ha fermato la destra nazionalista, mentre il cancelliere Olaf Scholz è apparso a lungo politicamente debole, anche prima del crollo del suo governo, alla metà di dicembre. Lo scorso anno Scholz sembrava soddisfatto all’idea di collaborare con Tusk, ma il contesto non lo ha permesso. La situazione è precipitata in occasione della cerimonia per la consegna del premio M100 media a Potsdam, a settembre. Scholz avrebbe dovuto pronunciare un encomio del salvatore della democrazia polacca. Solo che Tusk all’ultimo ha deciso di non andare. Oltre a qualche dissidio bilaterale, la ragione riguardava la geopolitica internazionale: Varsavia era irritata dalla lentezza con cui la Germania aveva reagito all’aggressione russa contro l’Ucraina e sospettava che Berlino volesse concludere un accordo con Mosca ai danni di Kiev.
Negli ultimi dieci anni la Polonia e i paesi baltici hanno sollevato più volte in Europa il problema dell’aggressività russa, ma senza successo. Il resto del continente, infatti, si ostinava a credere alla possibilità di una convivenza pacifica e armoniosa. L’aggressione alla Georgia nel 2008, l’annessione della Crimea e l’occupazione del Donbass nel 2014, e infine l’attacco all’Ucraina hanno dimostrato che i timori erano fondati. E mentre l’Europa occidentale – con la Germania in testa – fatica a compiere una zeitenwende (svolta epocale) nei confronti di Mosca, gli europei dell’est si stanno armando fino ai denti. Non a caso il motto scelto dalla presidenza polacca è “Sicurezza, Europa!”.
L’Europa occidentale deve ancora abituarsi a un mondo dominato dalla legge del più forte. Gli europei dell’est invece, che si sono fatti le ossa nel corso della storia recente, non hanno mai nutrito grandi illusioni. In questo gioco di potere i populisti identitari come l’ungherese Viktor Orbán e lo slovacco Robert Fico tengono i piedi in due staffe: hanno buoni rapporti con il Cremlino, ma rimangono all’interno dell’Unione europea. I politici liberali ed europeisti, come il premier Tusk, cercano invece di aprire gli occhi all’Europa, richiamandola alla realtà di un mondo sempre più brutale.

Un altro esempio di questa complessa situazione è il gasdotto Nord stream, costruito sul fondo del mar Baltico per collegare direttamente la Russia e la Germania, garantendo ai tedeschi e alla loro industria energia a buon mercato e unendo in una pacifica collaborazione economica i russi e l’occidente.
Per i polacchi, tuttavia, il gasdotto era soprattutto un’altra cosa: uno strumento geostrategico che permetteva a Mosca di chiudere il rubinetto del gas verso l’Europa orientale senza bloccare le forniture all’ovest.
Dopo l’inizio della guerra in Ucraina, il Nord stream è stato fatto saltare in aria. Secondo la giustizia tedesca la responsabilità è di un gruppo di ucraini che hanno agito con l’appoggio della Polonia. Berlino ha quindi chiesto la collaborazione di Varsavia, che attraverso Tusk ha risposto così: “A tutti i sostenitori e promotori del Nord stream. Nella situazione attuale, dovreste fare un sola cosa: porgere le vostre scuse e tenere la bocca chiusa”.
In Polonia il peso simbolico di questa affermazione è stato subito chiaro, e ha rappresentato quasi la risposta a una celebre frase pronunciata da un leader occidentale più di vent’anni prima, ma che i polacchi ricordano ancora bene. Varsavia non era ancora entrata nell’Unione, ma era già nella Nato e decise di appoggiare la guerra in Iraq, voluta dagli statunitensi. A Parigi e a Berlino la cosa non piacque affatto, e l’allora presidente francese, Jacques Chirac, rimproverò così la Polonia: “Avete perso un’occasione per tenere la bocca chiusa”. Ora i ruoli si sono invertiti ed è la Polonia a bacchettare l’occidente.

Il nodo dell’immigrazione
Poi c’è l’altro grande tema con cui l’Europa deve fare i conti: l’immigrazione. Da anni, qualunque sia il loro orientamento politico, i governi dell’Europa centrorientale rifiutano di collaborare a una ripartizione dei migranti nei paesi dell’Unione per alleviare il carico che grava sugli stati del sud, dove arriva buona parte delle rotte migratorie dall’Africa e dall’Asia. Agli occhi di molti europei occidentali si tratta di una grave mancanza di solidarietà, aggravata anche dal fatto che, quando nell’Ue sono entrati i paesi del blocco ex socialista, gli europei del sud si sono visti tagliare una larga fetta dei fondi di coesione.
Gli stati dell’est, però, l’hanno avuta vinta. È stato in questa parte d’Europa, prima ancora che nei paesi occidentali, che si è diffusa l’ostilità verso gli immigrati. Non si sa cosa pensi davvero Tusk del retrogusto razzista di un simile atteggiamento, ma con i nazional-populisti che gli stanno col fiato sul collo, sembra volersi adattare alla situazione. Lo scorso ottobre ha messo in chiaro che la Polonia non ha intenzione di seguire il modello multiculturale dell’Europa occidentale e ha annunciato non solo che il suo governo andrà avanti con i respingimenti, ma anche la sospensione temporanea del diritto di asilo, seguendo una tendenza sempre più diffusa un Europa.
Anche in questo caso il paragone con la Germania è significativo. Quest’anno la Willkommenskultur (cultura dell’accoglienza) inaugurata nel 2015 dal governo di grande coalizione di Angela Merkel è stata spazzata via dall’esecutivo del socialdemocratico Scholz, sotto la pressione di un’opinione pubblica sempre più ostile agli immigrati. In Polonia sono in molti a pensare: ecco, avevamo ragione noi.
Sei mesi al controllo
“Con la guida polacca del consiglio dell’Ue metteremo a frutto la nostra saggezza nazionale e la nostra esperienza”, ha detto Tusk durante il discorso inaugurale a Strasburgo. In effetti oggi la Polonia ha una grande occasione per farsi valere come protagonista sulla scena politica europea. E in gran parte proprio grazie a Tusk. A Parigi e a Berlino la situazione politica è paralizzata e i britannici sono fuori dall’Unione. Se si considera la sua precedente esperienza da primo ministro, dal 2007 al 2014, Tusk è il leader di governo più esperto in Europa, ed è stato anche presidente del Consiglio europeo.
Fino a qualche anno fa, se uno straniero si fermava per un po’ in Polonia inevitabilmente gli chiedevano che diavolo ci facesse lì. Oggi non è più così. Lo stesso vale per la politica. “La Polonia non è più il parente povero ammesso nel gruppo per sorbirsi le prediche dei più ricchi”, ha scritto di recente il quotidiano liberale Gazeta Wyborcza, che poi ha citato le parole di un diplomatico locale: “Ormai fanno la fila per parlarmi. Tutti vogliono discutere con la Polonia dei temi più diversi: sicurezza, migranti, agricoltura. Qualsiasi argomento”. ◆ oa
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Questo articolo è uscito sul numero 1601 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati