Nel 1606 un gruppo di commercianti, nobili e avventurieri inglesi decise di procurarsi tre navi transatlantiche per andare in cerca di ricchezze nel “nuovo mondo”. Le potenze rivali dell’Inghilterra – Francia, Spagna e Portogallo – avevano già raccolto enormi fortune in tutta l’America Latina, e re Giacomo I era deciso a recuperare il terreno perduto. La corona, però, non voleva rischiare di investire denaro pubblico. Quindi, per coprire le spese dell’impresa, il gruppo formò quella che sarebbe passata alla storia come la Virginia Company, una società che permetteva agli investitori di mettere insieme il loro denaro per finanziare i viaggi verso una stretta penisola con una fonte d’acqua dolce vicino alla baia di Chesapeake.

Un cratere nella Mawrth Vallis, su Marte - Cassis/Roscosmos/Esa
Un cratere nella Mawrth Vallis, su Marte (Cassis/Roscosmos/Esa)

Giacomo I concesse alla compagnia una carta reale che le garantiva il potere di autogovernarsi e di fondare la prima colonia permanente dell’Inghilterra nel nuovo mondo. Sarebbe stata amministrata come un’azienda privata, di cui i primi coloni sarebbero stati a tutti gli effetti dei dipendenti con diritti e responsabilità spesso stabiliti dalle politiche societarie. L’autorità più alta restava quella del re, incarnata da un consiglio governativo che decideva sulle questioni locali. Ma il controllo generale era nelle mani della compagnia londinese, la cui influenza toccava ogni aspetto della vita nella colonia.

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Se la storia può insegnarci qualcosa, possiamo aspettarci che le prime colonie su Marte avranno un funzionamento molto simile. Con il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, sostenuto dal capo dell’azienda spaziale privata più potente del mondo, l’umanità sembra più vicina che mai a un futuro aziendale sul pianeta rosso. Durante il discorso inaugurale della sua seconda presidenza, Trump ha promesso di “seguire il nostro destino fino alle stelle” e di mandare astronauti su Marte per piantarvi la bandiera statunitense.

Può sembrare uno strano annuncio per un’amministrazione che ha lanciato il programma Artemis, successore del programma Apollo, che dava invece la priorità alla Luna. Eppure, poche settimane dopo le elezioni presidenziali, Doug Loverro, responsabile dei progetti della Nasa per i voli spaziali con equipaggio durante la prima amministrazione Trump, mi ha detto che il presidente si è “sempre concentrato su Marte” e che considera la Luna “una tappa intermedia”.

“La Nasa, invece, è orientata verso una serie di missioni più complicate che riguardano la colonizzazione, la raccolta d’acqua e la produzione di carburante sulla Luna”, ha aggiunto Loverro. “È la Nasa ad aver creato tutto questo, ma penso che per Trump l’obiettivo giusto sia sempre stato Marte”.

Questa sensazione di una svolta imminente ha riacceso il dibattito “Marte o Luna”, vecchio quanto il programma Apollo. Sapendo che il numero di contratti federali per le grandi imprese spaziali è limitato, l’industria spaziale si è spesso divisa su questo dilemma.

Musk è convinto che nel giro di vent’anni un milione di persone vivrà su Marte

Negli ultimi anni, però, molti esperti avevano creduto che il contenzioso fosse finalmente risolto. Il programma Artemis, guidato dagli Stati Uniti con la partecipazione di 52 paesi, punta a riportare degli astronauti sulla Luna per la prima volta dalla missione Apollo 17, nel 1972. Spinta dai progressi dell’India e soprattutto della Cina, che hanno portato a termine atterraggi senza equipaggio sul nostro satellite, Washington sembrava avere di nuovo la Luna nel mirino, ma stavolta si sarebbe affidata in gran parte alle aziende private per sviluppare i veicoli spaziali, i razzi e le infrastrutture, tutto sotto la supervisione del programma Artemis.

Metano e ossigeno

Questa competizione geopolitica nello spazio non si riduce a una rivalità tra paesi, ma è anche uno scontro tra filosofie e idee contrastanti sul modo migliore di favorire lo sviluppo umano nello spazio.

In mancanza di uno sforzo nazionale unitario come quello che aveva sostenuto il programma Apollo, finora solo un’azienda privata – la texana Intuitive Machines – è riuscita a completare un atterraggio lunare. Eppure anche i suoi dirigenti ora guardano più lontano. Nonostante l’allunaggio nei pressi del polo sud ricco di acqua, compiuto a febbraio del 2024, e un contratto da 4,82 miliardi di dollari con la Nasa per servizi di comunicazione e navigazione, i vertici della Intuitive Machines stanno pensando anche a Marte.

I lander dell’azienda, alimentati a metano liquido e ossigeno, usano lo stesso tipo di carburante che potrebbe essere prodotto su Marte e che anche Musk usa per i suoi giganteschi razzi Starship. Questo perché nell’atmosfera marziana sono state rilevate tracce di metano, ma soprattutto perché è possibile produrre questo gas a partire dall’anidride carbonica abbondante su Marte e dall’idrogeno ricavabile dal ghiaccio presente sul pianeta. Grazie a una reazione scoperta nel 1897 dal chimico francese Paul Sabatier, è possibile ottenere metano, acqua ed energia aggiungendo idrogeno all’anidride carbonica in determinate condizioni.

Dato che l’atmosfera di Marte è composta al 95 per cento da anidride carbonica e che l’idrogeno è l’elemento più abbondante nell’universo conosciuto, usare motori alimentati a metano potrebbe permettere di procurarsi il combustibile direttamente sul pianeta rosso (e non solo) quando le infrastrutture locali saranno completate. Questa disponibilità locale eliminerebbe la necessità di portare il combustibile dalla Terra, riducendo le spese e accelerando lo sviluppo degli insediamenti umani.

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La SpaceX, la Blue Origin di Jeff Bezos e la United Launch Alliance, una joint venture tra la Boeing e la Lockheed Martin, stanno sviluppando vettori alimentati a metano, così come la Rocket Lab, un’azienda fondata da Peter Beck con sede in California. Ma è stata la cinese LandSpace a ottenere il primo grande successo in questo campo nel 2023, mandando in orbita il primo veicolo spaziale alimentato a methalox.

Il methalox, un combustibile per razzi composto da metano liquido e ossigeno liquido, ha una densità simile a quella del cherosene, ma ha meno emissioni e può essere più efficiente, quindi permette di ottenere la stessa spinta con motori più piccoli, liberando spazio per il carico. A prescindere da quanto i coloni marziani saranno capaci di sfruttare le risorse locali, avranno comunque bisogno di molti rifornimenti. Finché non si svilupperà un’industria marziana, i sistemi necessari alla sopravvivenza, le tecnologie per la costruzione di ambienti abitabili, i mezzi di trasporto, i dispositivi per le comunicazioni, le forniture mediche e i pezzi di ricambio dovranno arrivare dalla Terra.

In questo senso il razzo Starship farà la differenza. Quando si parla di costruire colonie su Marte, infatti, non c’è niente allo stesso livello. La sua versione completamente riutilizzabile è capace di portare in orbita fino a 150 tonnellate di carico, più o meno il peso di una balenottera azzurra, e grazie ai suoi 33 motori Raptor alimentati a methalox è il vettore spaziale più potente mai costruito. Il razzo cinese Lunga marcia, in confronto, può portare in orbita appena 25 tonnellate, anche se i suoi successori dovrebbero avere capacità di carico più vicine a quella dello Starship. Inoltre, grazie alle sue dimensioni e al materiale di cui è fatto (l’acciaio inossidabile è relativamente resistente alle radiazioni spaziali), lo Starship potrebbe essere usato come la prima struttura abitabile permanente su Marte.

Ed evidentemente è proprio questo il piano di Elon Musk. Ora che Trump è tornato alla Casa Bianca, anche grazie ai soldi e all’influenza del fondatore della SpaceX, Musk potrebbe davvero riuscirci. Durante la campagna elettorale, Trump è apparso spesso al fianco di Musk, che in diverse occasioni ha sfoggiato una maglietta nera con la scritta “Occupy Mars”. Pochi giorni dopo le elezioni, i due hanno assistito insieme a un test di lancio nel centro Starbase della SpaceX, nel sud del Texas.

Il 2 gennaio Musk ha chiarito ulteriormente le sue intenzioni. “Andiamo dritti su Marte”, ha annunciato su X. “La Luna è solo una distrazione”. La SpaceX ha in programma di mandare cinque razzi sul pianeta rosso nel 2026, quando le orbite di Marte e della Terra saranno allineate favorevolmente. In caso di successo, nell’arco di quattro anni potrebbero partire i primi equipaggi umani.

Tre alternative

Musk crede che gli esseri umani dovranno diventare una specie multiplanetaria per sopravvivere. Durante la campagna elettorale ha dichiarato che l’eccessiva burocrazia avrebbe “distrutto il programma marziano e condannato l’umanità. E dava la colpa alla vicepresidente Kamala Harris, in carica all’epoca, che sotto l’amministrazione Biden aveva guidato il National space council. Harris, favorevole al ritorno degli astronauti sulla Luna, ha dovuto fare i conti con dei tagli al bilancio che hanno portato alla cancellazione di progetti come la missione Viper, il cui obiettivo era mandare un rover vicino al polo sud lunare. Il programma dello Space launch system (Sls), principale vettore della Nasa per il ritorno sulla Luna e concorrente diretto dello Starship, è stato afflitto da ritardi e aumento dei costi.

Nel frattempo le aziende di Musk, come la SpaceX e la Tesla, sono state oggetto di multe e indagini che secondo il miliardario avrebbero ostacolato lo sviluppo dello Starship. Ora Musk avrà un’influenza smisurata nel campo dell’esplorazione spaziale. Con la sua nomina a capo del dipartimento per l’efficienza governativa, il cui compito è “eliminare le regolamentazioni eccessive e ridurre le spese inutili”, probabilmente molte indagini e interventi della Federal aviation administration spariranno. Potrebbe anche significare la fine del progetto dello Space launch system e lo spostamento dell’attenzione verso Marte.

La potenziale svolta marziana si deve in parte al fatto che “non abbiamo mai davvero puntato tutto su Artemis”, mi ha spiegato alla fine del 2024 John Shaw, ex generale delle forze spaziali degli Stati Uniti. “Ne abbiamo parlato, certo, ma dove sono le infrastrutture?”. Shaw, viceresponsabile del comando spaziale statunitense dal 2020 al 2023, è convinto che la nuova amministrazione abbia tre alternative.

Uno: mantenere la situazione così com’è, riconoscendo che gli Stati Uniti non possono permettersi di finanziare l’Sls o Artemis per competere con le ambizioni lunari cinesi.

Donald Trump ed Elon Musk assistono a un test del razzo Starship a Brownsville, in Texas, 19 novembre 2024 - Brandon Bell, Getty
Donald Trump ed Elon Musk assistono a un test del razzo Starship a Brownsville, in Texas, 19 novembre 2024 (Brandon Bell, Getty)

Due: investire di più nelle risorse necessarie per battere la Cina nella corsa alla Luna, facendo leva sullo Starship e sui programmi della SpaceX.

Tre: passare alla strategia dello “scavalcamento”, saltando la Luna e puntando direttamente a Marte come obiettivo principale per il prestigio nazionale.

In questo momento sembra che l’amministrazione sia fermamente orientata verso la terza opzione. Ma come andranno le cose dipenderà tanto dalle sue scelte quanto dalle persone che dovranno metterle in pratica. È qui che entra in scena Jared Isaacman.

A dicembre Trump ha detto che vuole questo imprenditore miliardario e astronauta al vertice della Nasa. Come Musk, anche Isaacman si è arricchito nel campo dei software per le transazioni finanziarie, prima di investire il suo patrimonio nei viaggi spaziali. È un influente collaboratore di Musk e ha già guidato due missioni della SpaceX. Isaacman, la cui nomina dovrà essere ratificata dal senato, ha promesso in un post del 4 dicembre su X che “degli statunitensi cammineranno di nuovo sulla Luna e anche su Marte”, suggerendo che le ambizioni lunari degli Stati Uniti siano ancora valide. La Nasa aveva già firmato contratti per la fornitura di sistemi di atterraggio lunare sia con la SpaceX sia con la Blue Origin, rispettivamente per 4 miliardi e 3,4 miliardi di dollari.

Tuttavia, visto che Isaacman sembra contrario alla scelta di siglare due contratti per le missioni lunari perché “il budget non è illimitato”, difficilmente i programmi andranno avanti come previsto. In realtà potremmo assistere a una svolta. Considerando i progressi tecnici, i vertici della Nasa e delle aziende del settore ritengono che i sistemi commerciali di allunaggio potrebbero essere modificati per adattarsi alla dura realtà del pianeta rosso. Le differenze atmosferiche e gravitazionali tra i due corpi celesti sono consistenti, per non parlare delle condizioni sulla superficie. Ma in entrambi i casi sono necessari sistemi ingegneristici precisi per l’avvicinamento, la discesa e l’atterraggio, oltre alla capacità di operare autonomamente.

Un cratere nella Utopia Planitia, su Marte - Cassis/Tgo/Esa
Un cratere nella Utopia Planitia, su Marte (Cassis/Tgo/Esa)

“Posso immaginare che Trump dica ‘non abbiamo bisogno di due lander lunari. Jeff, tu concentrati sulla Luna. Elon, tu occupati di Marte’”, mi ha spiegato Loverro. I legami di Isaacman con la SpaceX, rivale della Blue Origin, sono ben documentati. A giugno del 2021 l’azienda Shift4 di Isaacman ha investito 27,5 milioni di dollari nella SpaceX. Anche se l’imprenditore-astronauta ha promesso che lascerà l’incarico di amministratore delegato della Shift4 quando la sua nomina a capo della Nasa sarà confermata, ha precisato che manterrà “la maggioranza della partecipazione” nella società.

“Sono vicino alla SpaceX su molte questioni, in particolare sugli sprechi e sull’inerzia del governo e dell’industria aerospaziale”, ha scritto Isaacman su X a giugno. “Ma non la seguo ciecamente. D’altro canto è chiaro che molti si schiereranno contro la SpaceX solo a causa di Elon o per altri motivi insensati”.

Nel 2021 l’azienda di Isaacman ha comunicato in una lettera agli azionisti l’esistenza di “una partnership strategica globale quinquennale con Starlink”, la costellazione di satelliti della SpaceX che ha quasi cinque milioni di utenti. Il servizio offre una copertura internet veloce e a bassa latenza nelle aree dove i collegamenti tradizionali sono limitati o assenti, grazie a circa settemila piccoli satelliti in orbita bassa intorno alla Terra.

Ma il nostro pianeta non è l’unico mercato potenziale di Starlink. Durante un incontro organizzato il 7 novembre dal Mars exploration program analysis group della Nasa, una presentazione si è concentrata sulle future comunicazioni e servizi satellitari su Marte, ipotizzando una costellazione “Marslink” che usi “molti satelliti della SpaceX per garantire una piena visibilità e interoperatività alle unità in orbita e sulla superficie del pianeta”.

“È solo un primo passo”, ha scritto Musk su X il giorno successivo, riferendosi alla possibilità di trasmettere almeno quattro megabit al secondo tra la Terra e Marte. Una simile velocità di connessione può garantire il funzionamento basilare dei browser internet, delle email e dello streaming video a bassa qualità. “A lungo termine ci sarà bisogno di una connettività nell’ordine dei petabit al secondo”.

Un frame dal video Starship mission to mars - SpaceX
Un frame dal video Starship mission to mars (SpaceX)

Un pianeta libero

Secondo le proiezioni la Starlink dovrebbe incassare 11,8 miliardi nel 2025, con il completamento del servizio di connessione diretta ai cellulari. La sua crescita vertiginosa ha sorpreso gli esperti del settore. Ma ad alimentare i paragoni con la Virginia Company e la colonia di Jamestown nel seicento è stata la promessa di mercati extraterrestri in occasione di alcuni test realizzati anni prima. Sepolto nella licenza d’uso della versione beta dell’app Starlink c’era infatti il seguente paragrafo: “Per servizi forniti su Marte o in transito verso Marte su Starship o altri vettori per la colonizzazione, le parti riconoscono Marte come pianeta libero e accettano che nessun governo terrestre possa vantare un’autorità o una sovranità sulle attività marziane. Di conseguenza ogni disputa sarà risolta secondo princìpi di autogoverno stabiliti in buona fede al momento dell’insediamento su Marte”.

Nel 2020 poteva sembrare uno scherzo, dato che non esistevano e non esistono ancora satelliti Starlink intorno a Marte. Inoltre Musk aveva già fatto uscite simili. Eppure, in un’intervista rilasciata a Law360 nello stesso anno, il direttore degli affari legali della SpaceX David Anderman aveva rincarato la dose, affermando che stava scrivendo una costituzione per Marte.

“Penso che la SpaceX si muoverà per imporre un suo sistema legale”, aveva dichiarato Anderman al servizio d’informazione giuridica. “Sarà interessante vedere come si evolveranno le cose, con i governi terrestri che cercheranno di esercitare il loro controllo. Sono convinto che avremo un ruolo molto importante nello stabilire quali leggi saranno in vigore”.

Né Anderman né la SpaceX hanno risposto alle richieste di un commento su quelle dichiarazioni. Ma le idee, come prevedibile, hanno scatenato una tempesta di polemiche. In un articolo pubblicato su SpaceNews e intitolato “No, Marte non è un pianeta libero, a prescindere da cosa dice la SpaceX”, l’avvocato italiano Antonino Salmeri, specializzato in questioni spaziali, ha scritto che “rifiutare qualsiasi autorità terrestre sulle attività marziane è in conflitto con gli obblighi internazionali degli Stati Uniti in base al trattato sullo spazio extra-atmosferico, che naturalmente ha la precedenza sui termini d’uso contrattuali”.

In effetti l’articolo otto del trattato stabilisce che gli stati “mantengono giurisdizione e controllo” sugli oggetti spaziali registrati e su “qualsiasi loro cittadino che si trovi nello spazio o su un corpo celeste”. Si basa su un concetto conosciuto come “giurisdizione quasi-territoriale”, secondo cui uno stato continua a mantenere la sua autorità su navi, aerei e veicoli spaziali anche quando questi si trovano in regioni remote autonome o semi-autonome. Anche se le missioni della SpaceX partissero da paesi che non hanno ratificato il trattato, i suoi veicoli spaziali sarebbero sottoposti alla legge internazionale perché l’azienda è registrata negli Stati Uniti.

Un frame dal video Starship mission to mars - SpaceX
Un frame dal video Starship mission to mars (SpaceX)

“A conti fatti se Musk vuole andare su Marte e fondare una colonia, il governo statunitense sarà inevitabilmente coinvolto”, spiega Michael J. Listner, avvocato e fondatore della Space Law and Policy Solutions.

Sotto Trump, però, questo controllo potrebbe essere fortemente allentato. Oltre ad aver insistito molto sulla deregolamentazione durante la campagna elettorale, il presidente è sempre stato scettico verso gli accordi internazionali, a cominciare da quando, nel 2017, ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima. È probabile che la spinta verso Marte, affidandosi inevitabilmente ad aziende private per assorbire buona parte del rischio, offrirà alle preferite di Trump come la SpaceX enormi ricompense a scapito della concorrenza. Compresa anche una certa libertà nello stabilire come strutturare le colonie o assegnare le autorizzazioni.

Schiavi per contratto

I primi avamposti su Marte potrebbero somigliare alle città fondate dalle compagnie commerciali nei territori di frontiera degli Stati Uniti, dove i minatori, i taglialegna e i lavoratori delle ferrovie si guadagnavano da vivere in ambienti remoti e ostili. In quei luoghi isolati, in assenza di concorrenza esterna i lavoratori dovevano sostenere alti costi per gli alloggi, stipendi bassi e debiti che dovevano ripagare prima di potersi trasferire altrove.

Ma in quei casi, almeno, la possibilità di partire esisteva. Su Marte potrebbe non essere così.

L’aspetto di una colonia su Marte secondo una presentazione della SpaceX - SpaceX
L’aspetto di una colonia su Marte secondo una presentazione della SpaceX (SpaceX)

Nel 2012 un’organizzazione senza fini di lucro olandese ha annunciato il progetto “Mars one” per mandare quattro astronauti in un viaggio di sola andata verso il pianeta rosso. I volontari, condannati a non tornare mai più sulla Terra, avrebbero dovuto costruire la prima colonia indipendente. L’organizzazione è stata aspramente criticata per la sua poca attenzione alle questioni logistiche e sanitarie, e alla fine ha dichiarato bancarotta. Ma l’attenzione dei mezzi d’informazione ha portato alla ribalta il dibattito sulla natura e i pericoli dell’isolamento estremo dopo un viaggio di molti mesi, a prescindere dalle condizioni concordate all’inizio.

Anche in questo caso il parallelo con Jamestown è sorprendente. Nel seicento si arrivava nel nuovo mondo al termine di un viaggio lungo e pericoloso, con alti tassi di mortalità, strumenti di navigazione limitati e infiniti pericoli sconosciuti. Inevitabilmente quelle condizioni crearono forti tensioni fra tre gruppi: i primi coloni, preoccupati soprattutto di costruire un insediamento difendibile e autosufficiente; gli investitori lontani, ansiosi di ottenere i primi guadagni a fronte dei capitali versati; e infine la corona inglese, che tendeva a considerare Jamestown come un’estensione a lungo termine della propria influenza imperiale e una nuova fonte di profitti.

La strategia di Trump e Musk probabilmente mischierà ancora di più gli interessi nazionali e l’impresa privata, con meno attenzione ai conflitti di interessi. Ma dato che Musk è convinto che nel giro di vent’anni un milione di persone vivrà su Marte (una stima apertamente contestata anche dagli osservatori più ottimisti), sembra opportuno esaminare un po’ meglio come potrebbero essere queste colonie.

Se gli insediamenti su Marte cominceranno davvero a crescere ed evolversi, probabilmente avranno strutture sociali legali diverse e in competizione tra loro. Una colonia della SpaceX sarebbe sicuramente diversa da un insediamento progettato dalle autorità cinesi. Alla fine è probabile che gli immigrati marziani sarebbero oggetto di una contesa tra le varie colonie per accaparrarsi i talenti, la manodopera e le innovazioni.

Quello che potrebbe succedere è stato illustrato in modo efficace dal film di fantascienza del 2016 Passengers, in cui il personaggio interpretato da Chris Pratt, un ingegnere, ottiene un posto a bordo di una nave interstellare diretta verso il pianeta Home­stead II, ma per pagare il viaggio accumula un grosso debito. In un thread su Twitter (oggi X) pubblicato a gennaio del 2020, Musk ha scritto che chiunque dovrebbe avere la possibilità di raggiungere Marte, ventilando la possibilità di offrire prestiti a chi non avrà le risorse necessarie. Questa affermazione ha suscitato paragoni con la servitù debitoria degli accordi di lavoro firmati dai primi coloni americani, che accettavano di non ricevere nessun salario (o si accontentavano di un compenso minimo) in modo da ripagare i debiti contratti per ottenere un posto sulle navi. I primi coloni asserviti arrivarono a Jamestown nel 1607, per rispondere al bisogno di manodopera a basso costo nel sistema sviluppato dalla Virginia Company. I lavoratori restavano vincolati a contratti di quattro-sette anni in cambio di un posto a bordo, oltre che di vitto e alloggio all’arrivo.

Le condizioni di vita erano estremamente dure e i lavoratori potevano essere venduti o “affittati” ad altre colonie o a dirigenti lontani. Inoltre gli accordi potevano essere prolungati come forma di punizione per chi tentava di fuggire.

Una data utile ogni due anni

Marte è il secondo pianeta più vicino alla Terra dopo Venere, ma la distanza tra i due corpi celesti può variare tra un minimo di 54,6 e un massimo di 401 milioni di chilometri, perché impiegano tempi diversi per completare la loro orbita intorno al Sole: un anno marziano dura 687 giorni, quasi il doppio di quello terrestre. Il momento utile per lanciare una missione verso Marte impiegando la minor quantità possibile di energia capita ogni 780 giorni, quando i due pianeti stanno per raggiungere il punto di minor distanza relativa. Usando la traiettoria più efficiente, con le tecnologie attuali il viaggio può durare dai sette agli undici mesi. Per il viaggio di ritorno bisognerebbe attendere che i due pianeti si avvicinino di nuovo, per questo motivo una missione con equipaggio non potrebbe durare meno di tre anni. Le prossime date utili saranno alla fine del 2026 e a cavallo tra il 2028 e il 2029. Esa


Con il tempo il ricorso agli schiavi africani rese obsoleta la servitù debitoria, mentre le riforme legali introdotte nel’ottocento la eliminarono definitivamente (anche se è poi riemersa con gli immigrati asiatici nei Caraibi e in Sudamerica).

Oggi il vincolo del debito e il traffico di esseri umani sono ancora diffusi in molte aree del mondo. Questa sorta di servitù debitoria è difficile da contrastare sulla Terra, figuriamoci a 225 milioni di chilometri dal nostro pianeta. Per ora non è chiaro in che modo si potrebbe applicare concretamente un quadro legale alle colonie marziane.

Forse sarebbe necessario un supervisore legale terrestre nei primi insediamenti, incaricato di far rispettare l’ordine e riferire l’evoluzione del progetto alle istituzioni sulla Terra, nonostante i 23 minuti di ritardo nelle comunicazioni tra Marte e il nostro pianeta.

I mattoni della civiltà

Nel frattempo, considerando che Marte avrebbe bisogno di una forza lavoro molto varia per prosperare, la competizione tra gli insediamenti sembra probabile. Per chi guarda più lontano, come il presidente della Mars Society Robert Zubrin, questa competizione potrebbe aiutare ad aggirare i rischi legati all’autorità: “Chi avrà le idee migliori e creerà la forma più attraente di società accoglierà il maggior numero di immigrati”, mi ha detto Zubrin alla fine di novembre.

È possibile. Ma a giudicare dal passato, la competizione in un mondo nuovo potrebbe generare anche disuguaglianza, emarginazione e conflitti, come riconosce lo stesso Zubrin. Le sfide legate alla sopravvivenza su Marte – i cui abitanti dovrebbero affrontare l’esposizione alle radiazioni, una gravità ridotta, polveri tossiche, temperature proibitive oltre che isolamento e confinamento estremi – potrebbero esacerbare le divisioni e creare una realtà molto più distopica di quanto ammettano oggi Trump o Musk.

Eppure i mattoni per costruire una civiltà avanzata – riserve d’acqua, carbonio, azoto, idrogeno e ossigeno – esistono già. La nascita di una colonia sarebbe un momento storico, in cui gli esseri umani non sarebbero più solo terrestri ma anche marziani, con tutti i vantaggi tecnologici e scientifici che potrebbero spianare la strada a una civiltà veramente spaziale. Se pianificato adeguatamente, tutto questo potrebbe anche offrire la possibilità di migliorare le cose.

Come scrisse Thomas Paine nel 1776, avremmo “nelle nostre mani il potere di ricominciare il mondo da capo”. ◆ as

David Ariosto è un giornalista statunitense. Cura il podcast SpaceMinds.

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Questo articolo è uscito sul numero 1601 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati