Matteo Quaglia
Volevamo magia
nottetempo, 160 pagine, 14,90 euro

Dopo poche pagine ci si complimenta di aver già capito questo romanzo breve: ci sono il titolo, una dozzina di citazioni, e l’atmosfera un po’ deprimente un po’ canzonatoria tipica dell’università. Ma siamo nella facoltà di giurisprudenza di Trieste, e in quella di lettere (per ambientazione, ma pure per eccesso di riferimenti: chi di voi ha letto recentemente troppi libri che s’imbastiscono con altri? Io, abbiate pazienza). Il protagonista incontra una nuova compagna di studi, Ludovica, il cui arrivo gli viene anticipato da un collega di facoltà. Ludovica è figura fantasmatica, spettro come tutti gli studenti che transitano nelle navate universitarie. Gli eventi accadono molto in fretta, e senza tante spiegazioni: c’è una storia che il narratore, ironico e melodrammatico, è ansioso di sbrogliare; il resto – personaggi, intrecci, ambientazioni – è volutamente appiattito. La credibilità è sospesa, su tutto incombe un’atmosfera da noir e il lettore si trova a inseguire delle ombre. Anzi, forse è più esatto dire che i fatti messi sul piatto dal narratore si alimentano per negazione o per sottrazione: la realtà costruita da Quaglia è composta da verità mediate, da silenzi e assenze, da ossessioni ingigantite e da una magia rarefatta, quasi negata. Entrambi, il narratore e l’autore, non ce la raccontano giusta, ma l’inaffidabilità che altrove mi elettrizza, qui mi esaspera. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1600 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati