La sanità, l’istruzione e il festival di Sanremo. Il referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata temo non preveda un riferimento alla canzonetta. Un limite grave. Il tar della Liguria ha infatti sancito che, a partire dal 2026, la kermesse sanremese, di proprietà del comune, potrà essere affidata a qualsiasi operatore di mercato, sottraendo alla Rai il suo storico timone. Noi, custodi dei valori democratici, non possiamo tollerare che l’Ariston diventi un outlet, che Beppe Vessicchio finisca nelle mani degli americani o che la tradizionale sfilata delle forze dell’ordine sul palco si trasformi in uno spot pubblicitario gestito da privati.

Non si tratta solo di nostalgia: i proventi della settimana canora finanziano gran parte del palinsesto Rai, compresi documentari e informazione. Delegare il destino dell’ultima liturgia patriottica a un ente locale – per giunta del nord benestante – è uno schiaffo al dettato costituzionale di Calamandrei, Einaudi e Mike Bongiorno. Per questo, proponiamo che l’intero comune di Sanremo sia inglobato dalla Rai, diventando un monumento vivente del servizio pubblico. Una comunità dove Lazza e Drupi possano coesistere in armonia, indipendentemente dall’età o dall’intonazione. Anzi, rilanciamo: che ogni nuovo nato, a prescindere dall’origine, riceva un battesimo laico a via Asiago e sia registrato all’anagrafe con un doppio nome, quello di famiglia e Pippo Baudo. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1594 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati