Come si può descrivere il momento che stiamo vivendo da alcune settimane in Europa, ovvero da quando gli Stati Uniti di Donald Trump hanno voltato le spalle alle alleanze del passato? L’intellettuale britannico Timothy Garton Ash, sul quotidiano britannico The Guardian, ha proposto una formula: “Viva il churchillismo-gaullismo”.
Ma cos’è nella sostanza il churchillismo-gaullismo? Secondo l’inventore dell’espressione, si tratta di uno stato d’animo più che di una dottrina. Protagonisti di un’alleanza complicata, l’ex premier britannico e il capo della Francia libera incarnano prima di tutto uno spirito di resistenza che si è forgiato in un momento buio della storia europea.
Ma perché invocare il nome dei due grandi leader del passato? Perché l’Europa si trova orfana della protezione degli Stati Uniti, stretta nella tenaglia tra Washington, tornata imperiale e solitaria, e la rinascita russa, che minaccia il fianco orientale. Il vecchio continente, in questo contesto, è minacciato dal virus del “vassallaggio felice”, per usare le parole del presidente della repubblica italiana Sergio Mattarella. Da questo punto di vista, Parigi e Londra hanno una responsabilità particolare.
Quando i tempi sono difficili, Francia e Regno Unito ritrovano vecchie sintonie. Anche se Londra ha scelto di tirarsi indietro con la Brexit, oggi si riavvicina al continente per organizzare la risposta all’abbandono statunitense.
Potenze nucleari e membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, i due paesi hanno una tradizione di impegno internazionale. Oggi, Parigi e Londra hanno assunto un ruolo di leadership europea che era in palio.
A loro si aggiungeranno certamente la Germania del prossimo cancelliere tedesco Friedrich Merz, che ha manifestato la volontà d’indipendenza (in una svolta storica per il paese), e la Polonia, potenza in crescita sul fronte orientale.
Ma le analogie storiche evidenziano presto i loro limiti. Prima di Churchill e De Gaulle, erano stati chiamati in causa i “sonnambuli” alla vigilia della prima guerra mondiale (per riprendere il titolo del libro dello storico Christopher Clark), la conferenza di Monaco per placare Hitler o ancora la famosa questione della possibilità di “morire per Danzica”, che oggi è diventata quella di “morire per Kiev”. La storia è spesso chiamata in causa e anche manipolata.
Eppure, la situazione attuale è sostanzialmente inedita. I paralleli storici sono utili, certo, ma non forniscono una risposta definitiva. Bisogna armarsi, con il rischio di scatenare una guerra, o è meglio evitare di farlo, rischiando però di capitolare davanti a chi non esita a utilizzare la forza? La storia fornisce argomenti ai sostenitori di entrambe le tesi, che si riflettono nei dibattiti pubblici.
Da questo dilemma nasce il ricorso a figure incontestabili come Churchill e De Gaulle, in cui si ritrovano anche quelli che li avrebbero contrastati se fossero ancora in vita.
Far parlare i morti è sempre inopportuno, ma nessuno può ragionevolmente dubitare di quale sarebbe la loro risposta oggi: quella della resistenza e del sostegno all’Ucraina aggredita.
Questa settimana Thimothy Garton Ash pubblica in Francia un saggio intitolato Europes, con la “s” plurale, in cui racconta il continente dopo il 1945 e il suo desiderio di “difendere, migliorare e ingrandire un’Europa libera”. Una causa che, a suo dire, è “degna di speranza”. Un appello assolutamente attuale, che Churchill e De Gaulle avrebbero sicuramente condiviso nel contesto di oggi.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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