(di cui non conoscete il nome)

Non sapevano di vestirsi per morire in famiglia.

Troppo lontana la cantina.

Le mani quella mattina volevano sciogliersi nel miele.

Non scordare che il fumo può apparire oltre il vetro,

con i sibili, ma disegnare sul vapore

di un tè o tagliare lente le carni bianche,

un coltello lucente per unica arma.

Ma stavolta è alla fine del digiuno che divennero,

chi madre, chi figlia, chi ragazzo,

carne da strazio.

Altrove, anche il mercante d’armi scende

in cantina: guarda il vino invecchiare,

alla luce stana sedimenti, questo è troppo giovane, un po’ acerbo.

Aspettiamo la bella veste, e meglio di Noè, il Saggio

di tutti i libri, un tempo abile tra le sue vigne,

spilliamo dall’uva il più prezioso carminio.

Quegli spari lontani, a ovest di Gaza,

li chiamarono così: dissuasione.

Dissuasione di esistere, di respirare,

di intendersi oltre i muri

come tanti, nei due campi, aspirano a fare,

di impegnarsi insieme a non vivere più ingabbiati,

incastrati, incassati dalla storia.

Otto bambini, due donne ancora,

un sabato mattina alla grande pressa

di quest’umanità smarrita per una sete antica.

La data del ritorno al giorno condiviso

fu scelta dai sapienti osservando la luna,

che di rosso talvolta incendia la sera senza bruciare.

L’Aid al Fitr, in tempi immemori, celebrava la pioggia

e l’eclissi. Ieri sono piovute solo bombe,

e il nostro mondo, non più l’astro della notte,

per molto tempo si è oscurato

al centro di un bersaglio.

Carl Norac è un poeta e autore di libri per l’infanzia belga nato nel 1960. Nel 2020 è diventato il quarto poeta nazionale del Belgio. In questa veste, dopo il bombardamento israeliano del 15 maggio 2021 costato la vita a due donne e otto bambini nel campo profughi di Al Shati, a Gaza, ha scritto questa poesia, pubblicata sul sito poetenational.be. Traduzione dal francese di Francesca Spinelli.

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Questo articolo è uscito sul numero 1419 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati