Per riuscire a farsi assumere da Alibaba, Tim si è dato da fare per anni. Cresciuto in una piccola città della provincia dello Zhejiang, si è sforzato di essere sempre tra i primi della classe. Quando studiava ingegneria informatica in una delle migliori università della Cina, sapeva che le grandi aziende tecnologiche raramente scelgono chi non ha esperienze di lavoro, perciò si è dovuto impegnare per ottenere degli stage alla Tencent e alla ByteDance, le due aziende proprietarie rispettivamente di WeChat e Tik Tok, e da neolaureato ha sostenuto quattro tornate di colloqui e un esame scritto prima di ricevere finalmente un’offerta. Dopo aver lavorato per qualche mese nel campus di Alibaba a Hangzhou, Tim è stato invitato a una riunione insieme agli altri quattro laureati assunti con lui. “Alla fine dell’anno”, gli ha detto il caposquadra, “uno di voi perderà”.
L’idea del “perdente” è una caratteristica del sistema di valutazione di Alibaba. I dipendenti ricevono un salario base, e alla fine dell’anno fiscale quasi tutti ottengono un bonus generoso. I perdenti – quelli che la direzione classifica agli ultimi posti – incassano poco o niente indipendentemente da quanto sono produttivi. Spesso lo interpretano come un invito ad andarsene. Tim si è sentito invadere dalla rabbia quando ha capito che lo stavano mettendo contro i suoi stessi compagni di squadra. Più tardi i nuovi assunti hanno discusso della loro nuova realtà. Trovavano “stupido e ipocrita” da parte del caposquadra sostenere che il sistema li avrebbe aiutati a crescere. “Le persone di grande talento possono trarre vantaggio da un ambiente molto competitivo, mentre la gente comune se la cava meglio in un clima di collaborazione”, dice Tim. “Una volta credevo di appartenere al primo gruppo di persone, ma mi sono reso conto di far parte del secondo”. Gli altri avevano lottato quanto lui per arrivare lì, e ora che ce l’avevano fatta “trovavano intollerabile quel posto”. Hanno smesso di parlare e sono tornati al lavoro.
Metodi sotto accusa
La graduatoria forzata è solo uno dei tanti aspetti critici che negli ultimi mesi hanno portato al centro dell’attenzione i metodi usati nelle grandi aziende tecnologiche cinesi. Le accuse di sovraccarico di lavoro, maltrattamenti e insulti sono diventate oggetto di dibattito nazionale. Nel dicembre scorso la morte di due giovani dipendenti di Pinduoduo, un concorrente di Alibaba – uno collassato tornando a casa dal lavoro, l’altro morto suicida – ha versato benzina sul fuoco. Queste vicende hanno spinto gli sviluppatori di software cinesi a lanciare una campagna, chiamata 996 Icu, per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulle loro condizioni di lavoro. Il nome della campagna si riferisce a una battuta che circola nell’ambiente: se lavori dalle nove del mattino alle nove di sera per sei giorni alla settimana, come pretendono certi manager, ti ritroverai presto in terapia intensiva (intensive care unit, Icu, in inglese.) Negli ultimi due anni, 996 Icu ha raccolto accuse di maltrattamenti dai dipendenti di più di duecento aziende.
Anche se non tutti gli ingegneri informatici lavorano in condizioni così brutali, la noia e la fatica provocate da una mansione ripetitiva e poco creativa li ha portati a identificarsi con gli operai e i braccianti. Molti si definiscono “contadini del codice” e chiamano i giganti tecnologici “grandi fabbriche”. Alcuni dipendenti paragonano le aziende tecnologiche a “città fortificate”, un’allusione a un romanzo satirico degli anni quaranta che criticava il matrimonio e altri aspetti della società borghese della Cina: quando sei fuori vuoi entrarci, ma quando sei dentro, vuoi uscirne.
Le aziende digitali che hanno un contatto diretto con i consumatori, come Alibaba, Tencent e Meituan (leader delle consegne di pasti a domicilio), sono non solo una componente essenziale dell’economia cinese ma anche le società quotate in borsa di gran lunga più preziose del paese (Alibaba e Tencent insieme valgono più di 1.100 miliardi di dollari). Intorno al 2010 hanno cominciato a creare quello che sarebbe diventato il primo mercato mondiale del mobile first, contribuendo a trasformare l’immagine globale della potenza cinese. Ma dopo un decennio di crescita esplosiva è emersa una frattura generazionale. Mentre i lavoratori più anziani hanno un interesse, sia economico sia culturale, nel lavoro che fanno, molti giovani nati dopo il 1995 temono di aver perso la loro occasione. Questa nuova generazione non ne vuole più sapere di giornate di lavoro lunghissime e competizione sfrenata. Insomma, vogliono mettere fine a tutto quello che i loro predecessori consideravano essenziale.

I fondatori del settore tecnologico cinese si sono ispirati molto agli imprenditori statunitensi. Zhang Yiming, direttore generale della ByteDance, ha preso il suo motto – “è sempre il primo giorno” – da Jeff Bezos di Amazon e cita spesso Jack Welch, ex capo della General Electric. Alibaba cura l’appartamentino in cui Jack Ma ha fondato l’azienda come una sorta di sacrario del lavoro, non diversamente dalla statunitense Hp, che ha acquistato e ristrutturato il garage di Palo Alto dove Bill Hewlett e Dave Packard crearono l’azienda. Anche nelle lamentele sulla vita da “contadini del codice” ci sono echi lontani degli sviluppatori della Silicon valley che a metà degli anni novanta si autodefinivano “scimmie del codice”.
Anche i giganti tecnologici occidentali si sono misurati con problemi seri sul lavoro, dallo sfruttamento delle risorse umane alla discriminazione razziale e di genere. La principale differenza tra aziende come Facebook e la Apple e le loro controparti cinesi sono la velocità e la portata. Dal 2019 al 2021, per esempio, la ByteDance è passata da 60mila a centomila dipendenti. Alibaba nell’ultimo anno ha più che raddoppiato il numero dei lavoratori, fino a superare i 250mila. In confronto, Google ha impiegato quattro anni per raddoppiare il suo staff fino a raggiungere quota 140mila. In altri termini, questioni che potrebbero decidersi in un periodo di cinque anni possono concentrarsi nell’arco di dodici mesi.
“Le aziende tecnologiche cinesi non invecchiano mai”, spiega Kai-Fu Lee, un investitore cinese di fama mondiale. Lee ha fondato la Microsoft Research Asia, dove hanno cominciato i fondatori di molti colossi tecnologici cinesi. A suo giudizio le aziende a contatto con i consumatori sono caratterizzate da un approccio quasi costante da lean start-up “startup snella”, per ridurre tempi e costi di un progetto, che richiede rapidi cambiamenti di obiettivi. Invece di partire con un’idea prestabilita di cosa vogliono i consumatori, le aziende sperimentano un prodotto, lo modificano in base alla risposta del mercato e continuano a svilupparlo rapidamente. “Meituan è cominciata come un Groupon cinese. Ora consegna prodotti alimentari, cibi pronti e medicine”, dice. “Ma in questo ambiente gladiatorio non ha mai potuto abbassare la guardia e ha dovuto cambiare continuamente”.

Involuzione
In Cina si discute molto su cosa si perde con questo inseguimento dell’ipercrescita. Gli utenti di internet hanno adottato un termine tornato di moda: “involuzione”. L’antropologo Clifford Geertz l’aveva reso popolare negli anni sessanta in un’opera che descriveva gli aspetti inconsueti di un’economia rurale a Java, in Indonesia. Geertz affermava che nel corso dei secoli era affluita una quantità sempre crescente di manodopera, ma la produzione era rimasta costante. Non si era registrata nessuna innovazione. Geertz l’aveva definita “involuzione”.
Nel 2018 e 2019 il termine è diventato popolare anche in Cina grazie a Cao Fengze, un dottorando della miglior scuola cinese d’ingegneria, quella dell’università Tsinghua. I post di Cao raccontavano di un’intensa competizione tra compagni di classe per l’ammissione alle migliori università. La conseguenza di una concorrenza così aspra per così pochi posti, sosteneva, è che gli studenti lavorano sempre più duramente senza alcun vantaggio. “Ogni sforzo non è altro che un tentativo di spingere in là l’ennesimo fiocco di neve”, ha scritto Cao alludendo al proverbio “ogni fiocco di neve è responsabile della valanga”. Per lui l’involuzione è una catastrofe. Cao ha centinaia di migliaia di follower che si definiscono “la scuola di Cao”, ed è persuaso che alla radice dell’involuzione ci sia la lotta per risorse limitate. La metafora della competizione per le risorse è una delle più pervasive nella società cinese. Tendenzialmente le discussioni sui problemi del paese culminano con l’affermazione “ci sono troppe persone in Cina”.
Le aziende tecnologiche cinesi che si rivolgono ai consumatori hanno sicuramente beneficiato del gran numero di persone che vivono in Cina – tutti potenziali utenti – e probabilmente anche della competizione forzata. Per i loro progetti più promettenti, molte aziende organizzano “corse di cavalli” in cui assegnano lo stesso obiettivo a diverse squadre. Alla fine della corsa l’azienda incorona un vincitore o lascia che lo facciano gli utenti scegliendo tra i prodotti che si fanno concorrenza nel mercato. Varie squadre interne, per esempio, hanno fatto a gara per creare la versione finale di WeChat, l’applicazione di messaggistica e pagamenti digitali di Tencent che è diventata parte integrante della vita quotidiana cinese.
Tendenzialmente le discussioni sui problemi del paese culminano con l’affermazione “ci sono troppe persone in Cina”
I cosiddetti “vivai” o “progetti a porte chiuse” sono un altro tentativo di ricreare un’atmosfera da startup. Alla ByteDance, per esempio, una decina circa di ingegneri, progettisti e product manager si isolano in una stanza per un mese e lavorano senza interruzione. Un’immagine dell’azienda per illustrare il concetto sottolinea che oltre ai pasti vengono serviti tè pomeridiani e spuntini di mezzanotte. “Dillo alla tua famiglia e ai tuoi amici”, ordina il direttore ai lavoratori in una vignetta, “stai per entrare in un periodo molto speciale”.
Nel 2014 il vivaio gestito da Alibaba ha portato alla creazione di DingTalk, un’app per lavorare in gruppo che oggi è la più diffusa per la comunicazione aziendale. Quasi fosse un pellegrinaggio, Alibaba manda i dipendenti che partecipano a questi progetti nell’angusto appartamento di Hangzhou dov’è nata l’azienda, e le squadre impegnate nei progetti speciali vivono e lavorano per diversi mesi di fila negli appartamenti che Alibaba possiede nello stesso isolato, senza quasi mai uscire. Ma per quanto l’innovazione sia esaltata, la mancanza di creatività nel lavoro è un’esperienza comune per la maggior parte dei tecnici. “Non hanno il tempo di trovare nuove idee o di controllare in che direzione va il loro lavoro”, dice un dipendente della ByteDance. “Il carico mentale per le mansioni da svolgere nel loro ambito ristretto è tale che non hanno spazio per pensare ad altro”.
Secondo un dirigente della Tencent, spremere i dipendenti spesso è una deliberata conseguenza del sistema di gestione, più che un’inefficienza. “Se alcuni prodotti hanno successo, non è necessariamente perché la tecnologia è migliore”, dice. “È solo perché hanno più gente che sgobba”. Molti sviluppatori, dice, in realtà svolgono compiti ripetitivi sintetizzati nel detto “creare, leggere, aggiornare e cancellare”, come cambiare infinite volte minimi dettagli di un’interfaccia utente. “La crescita dei giganti tecnologici cinesi non dipende da vere innovazioni, ma dall’intensità del lavoro. È molto difficile automatizzare certe parti della produzione di software”, dice Xiang Biao, professore di antropologia sociale all’università di Oxford. “La gerarchizzazione non ha a che fare con l’efficienza o la giusta ricompensa, ma con il controllo. Questo metodo da solo basta a distruggere tutta la solidarietà tra colleghi. Genera obbedienza e timore per il superiore”.
Nonostante le leggi sulla tutela del lavoro di epoca socialista, le amministrazioni locali non vietano alle aziende di imporre gli straordinari
Alle dieci e mezzo di un martedì sera, il marciapiede davanti alla sede della Tencent a Shenzhen è affollato di dipendenti con cordini azzurri intorno al collo. Alcuni sono in fila per l’autobus, mentre altri aspettano un passaggio. Alle loro spalle, il pannello illuminato di una pubblicità del governo consiglia di “rilassarsi” e “allentare la pressione”, accanto a vignette di adulti che fanno volare gli aquiloni e si divertono con lo skateboard.
Jun, 23 anni, lavora per la Tencent Cloud ed è in fila con gli altri. Dice che metà della sua squadra è ancora in ufficio e fa notare che i dipendenti più anziani con figli riescono a tornare a casa prima. Aggiunge che è contento di lavorare molte ore in cambio di uno stipendio più alto. Lo stipendio iniziale di un tecnico, bonus compresi, può arrivare a 300-400mila yuan all’anno (fra 39mila e 52mila euro), più del doppio di quanto prendono in media gli ingegneri laureati alla Tsinghua. Per lui una giornata lavorativa di dodici ore è accettabile perché i dipendenti della Tencent hanno comunque il fine settimana libero, a differenza di quanto avviene in molti altre grandi aziende tecnologiche. E il viaggio per tornare a casa è breve. Come tutti i dipendenti che lavorano fino a dopo le otto di sera, riceve un voucher per uno spuntino notturno, che usa per comprare un pasto al McDonald’s al piano di sotto. Altri sono più esigenti. Su un tavolo per le consegne dei pasti ordinati online davanti all’entrata della Tencent c’è un intero pollo sfilacciato. La ricevuta indica che è stato ordinato alle 21.59. Quanto al lavoro, Jun ritiene difficile entrare nel gruppo di dipendenti che “usano davvero la testa”. Si è conquistato il posto battendo ottanta laureati in ingegneria, ma l’azienda “assume laureati per lavori che potrebbero fare anche i diplomati”, dice. Quando gli chiedo perché, Jun risponde “involuzione”.
Divario generazionale
In un ristorante alla periferia di Hangzhou partecipo a una lunga discussione su come la seconda generazione di tecnici, a cui appartiene anche Jun, si stia adattando o scontrando con la cultura del lavoro delle aziende digitali cinesi. Sono a tavola con Jason, un uomo sui 35 anni che lavora nel commercio online di Alibaba da dieci, e con la moglie Cathy, una loquace product manager dell’Ant Group, il ramo di Alibaba dedicato ai pagamenti digitali. Hanno comprato una casa poco lontano da qui con un prestito dell’azienda e si definiscono “gente di Ali”. “Il problema che come azienda ci troviamo ad affrontare è come trasmettere la cultura Ali ai nuovi dipendenti”, dice Cathy. Jason aggiunge che il sistema di reclutamento dell’azienda prevede un addetto alle risorse umane che “annusa la cultura. Si può fiutare la cultura Ali addosso a una persona”. Cathy spiega che questa cultura consiste nel “fare cose che hanno un valore per gli altri e al tempo stesso coltivare e migliorare se stessi”. Ricorda che quando si è trovata in difficoltà per un passaggio di ruolo, Jason ha fatto ricorso alla cultura Ali, dicendole che quel cambiamento era un’occasione per sfidare se stessa.
Cathy ammette che c’è un divario generazionale tra la loro mentalità e quella delle nuove reclute, che per lo più non hanno vissuto gli anni della crescita rapida e delle quote azionarie. Dice che i dipendenti più giovani si sentono frustrati perché è molto più difficile raggiungere “la libertà economica”. La coppia concorda che questo può rendere la generazione nata dopo il 1995 più difficile da gestire. “Non apprezzano le critiche, vogliono sentirsi realizzati”, dice Cathy. “Non sono disposti a soffrire come lo eravamo noi”.

Tim, il nuovo assunto che ha passato anni a competere con gli altri per arrivare ad Alibaba, definisce i valori dell’azienda “più simili alla ‘zuppa di pollo’”, un’espressione idiomatica per indicare una storia senza senso raccontata solo per rabbonire l’ascoltatore. Un altro termine che usa per descrivere il rapporto dei manager anziani con i dipendenti più giovani è pua, acronimo di pick-up artist, artista del rimorchio. Insieme ai colleghi, lo usa soprattutto per descrivere i manager che continuano a promettere opportunità di carriera, al punto di creare una relazione disonesta o addirittura abusiva. Pua è un altro neologismo. Negli ultimi tempi in Cina lo spazio linguistico per lamentarsi dei superiori si è molto allargato.
Impiego statale
Negli ultimi due anni, ancora prima della pandemia, i mezzi d’informazione locali si sono concentrati su una tendenza sorprendente che si osserva tra i migliori laureati del paese, attratti sempre più spesso da carriere in un settore in antitesi rispetto a quello tecnologico: la pubblica amministrazione.
Lily, 26 anni, del Guangdong, è una di loro. L’anno scorso aveva accettato un posto a Bilibili, un portale di video online che descrive come la casa dei “bidimensionali” come lei (gli appassionati di anime, cartoni animati e giochi). Ma ben presto Lily aveva cominciato ad avere dei dubbi sulla sua nuova vita a Shanghai. Bilibili stava crescendo rapidamente – quattro mesi dopo l’assunzione di Lily lo staff era raddoppiato – e i manager facevano aumentare la pressione. La responsabile della sua squadra veniva da una società concorrente con un’aggressiva cultura aziendale. “Ogni volta che criticava qualcosa”, ricorda Lily, “ne faceva una questione che riguardava te personalmente, e ti faceva sentire uno schifo”. La salute di Lily aveva cominciato a risentire del troppo lavoro. Soffriva di acufeni, vertigini ed era finita in ospedale. “Oltre a quelli che se ne andavano c’erano quelli che cadevano in depressione”, racconta a proposito della sua squadra. “Non avevo semplicemente l’energia per pensare ad altre opzioni”. E così ha lasciato il lavoro, è tornata a casa ed è diventata una dipendente statale. “Non ho più la costante sensazione di pericolo che provavo allora”.
L’esperienza di Lily potrebbe diventare più comune. Nel 2019 l’università di Pechino ha rivelato che di tutti i laureati dell’anno che avevano firmato accordi d’impiego approvati dall’università, il 17 per cento aveva scelto di lavorare per il Partito comunista cinese o altri comparti della pubblica amministrazione, mentre quattro anni prima erano stati l’11 per cento. In totale, calcolando chi aveva scelto istituzioni gestite dallo stato e aziende pubbliche, tre quarti dei laureati erano entrati “nel sistema”. Nello stesso periodo, la percentuale di laureati assunti in aziende private come quelle tecnologiche si era dimezzata.
◆ I giovani cinesi hanno coniato un neologismo per indicare il crescente disincanto rispetto a una cultura del lavoro sempre più oppressiva. Invece di cercare di stare al passo con le aspettative della società o di combatterle, molti semplicemente tang ping, “si sdraiano”, tirano a campare impegnandosi al minimo in un lavoro poco soddisfacente. Il termine è stato usato per la prima volta in un post online da un ragazzo che rivendicava di vivere bene il fatto di essere disoccupato da due anni, rifiutando di inseguire l’idea di successo imposta dalla società (lavorare duramente, sposarsi, comprare una casa). In poco tempo sono nati gruppi dedicati al tang ping con migliaia di iscritti. Chiaramente le autorità considerano questo stile di vita una minaccia alla produttività. Sixth Tone
Nel 202o un tecnico ha scritto un editoriale non firmato su un giornale locale dicendo che invidiava gli amici impiegati in aziende statali o straniere. “Molti di noi sono prosciugati, e i dirigenti ‘anziani’ di medio livello si limitano a tenere duro”, ha scritto, sintetizzando il sentimento di molti suoi colleghi. “Solo perché abbiamo posato i mattoni di un incredibile boom economico non significa che ci permetteranno mai di varcare il cancello”.
Finora in Cina le discussioni sulle pratiche lavorative nel settore tecnologico sono avvenute per lo più sui social network. Malgrado le leggi sulla tutela del lavoro di epoca socialista, le amministrazioni locali non vietano alle aziende di imporre gli straordinari. Di fatto, molte sembrano più inclini ad assecondare le aziende, su cui contano per la crescita economica e il gettito fiscale. E se negli ultimi sei mesi il governo centrale ha accusato le aziende tecnologiche di una serie di violazioni delle norme finanziarie e antitrust, non ci sono state altrettante denunce per il trattamento dei lavoratori.
Ma alla fine del 2020 i mezzi d’informazione cinesi hanno dato ampio spazio ai contenuti di un’email trapelata da Alibaba a firma della sua responsabile delle risorse umane, Tong Wenhong. Con una mossa insolita, Tong ammetteva che era stato “il periodo più impegnativo” nei 21 anni di storia dell’azienda, e prendeva atto della “immensa” controversia sulle graduatorie forzate. È sembrato che i più alti dirigenti di Alibaba avessero avviato una riflessione sui loro problemi, denunciati a gran voce dai dipendenti più giovani. Tong continuava annunciando che la graduatoria forzata sarebbe stata allentata. Non tutte le squadre avrebbero dovuto assegnare lo status di perdente al 10 per cento in fondo alla graduatoria. Quest’anno Alibaba ha anche distribuito più azioni ai dipendenti giovani. “Il talento è la risorsa più importante del gruppo. Crediamo che una cultura del lavoro aperta e trasparente sia cruciale per promuovere l’innovazione”, ha scritto un portavoce al Financial Times. “Il robusto e competitivo sistema di remunerazione dell’azienda riflette la nostra chiara priorità di coltivare la prossima generazione di talenti”.
Con grande sorpresa di Tim, le promesse sono state mantenute. Nessuno dei suoi colleghi è stato bollato come perdente. Di fatto, hanno tutti ricevuto bonus soddisfacenti. “Questa è l’unica conclusione giusta”, commenta, ma non si sente riconoscente perché, dice, il suo datore di lavoro avrebbe dovuto comportarsi così da subito. “I giovani nell’azienda sono sempre di più, lo stile di gestione dovrà cambiare”. Tim mi stava parlando al telefono un martedì sera, poco prima di mezzanotte. Negli ultimi mesi ha avuto tempo per chiacchierare solo a quell’ora. ◆ gc
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Questo articolo è uscito sul numero 1419 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati