“Molto è accaduto nel mondo negli ultimi anni: catastrofi naturali, crolli finanziari, terremoti politici e guerre di conquista e vendetta. Eppure nessun disastro è paragonabile a Gaza: niente ci ha lasciato con una sensazione così pesante di dolore intollerabile, sgomento e senso di colpa”. Così scrive in questo libro torrenziale e accorato Pankaj Mishra, saggista indiano, interprete del nostro tempo dotato di una visione ampia e documentata, che si chiede perché il mondo, soprattutto quello che occupa posizioni di potere, è rimasto a guardare il consumarsi di questo massacro. Per rispondere si mette in scena, dall’infanzia trascorsa in un’élite indiana che ammirava il sionismo fino alla maturità, in cui si è trovato a testimoniare i crimini dell’occupazione in Cisgiordania. Traccia quindi un’erudita storia culturale della relazione tra gli intellettuali e Israele, riconducendo in ultima analisi il conflitto mediorientale alla cosiddetta linea del colore, l’atteggiamento degli occidentali nei confronti delle popolazioni un tempo colonizzate. A pesare nel silenzio di fronte alla tragedia è, secondo Mishra, lo squilibrio cresciuto nel corso del novecento tra la condanna dei totalitarismi e la mancanza di un rifiuto altrettanto forte del colonialismo e del razzismo, uno squilibrio che, al di là della durata dei vari cessate il fuoco, non pare destinato a diminuire. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1605 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati