Con Donald Trump alla Casa Bianca l’Europa vorrebbe diventare più indipendente dagli Stati Uniti, soprattutto sul piano della difesa. Eppure negli ultimi cinque anni nel commercio di armi c’è stata una tendenza opposta. Tra il 2020 e il 2024, principalmente a causa della guerra scoppiata in Ucraina nel 2022, i paesi europei che fanno parte della Nato hanno più che raddoppiato le importazioni di armi rispetto al periodo 2015-2019. A partire dal 2020 sono aumentate in particolare quelle dagli Stati Uniti, che sono passate dal 52 al 64 per cento.

Sono i risultati del rapporto annuale dello Stockholm international peace research institute (Sipri) presentato il 10 marzo 2025. “Nel commercio delle armi le due sponde dell’Atlantico hanno legami profondi”, afferma il ricercatore olandese del Sipri Pieter Wezeman. “Negli ultimi cinque anni le importazioni dagli Stati Uniti sono aumentate. Gli stati europei che fanno parte della Nato hanno ordinato a Washington quasi cinquecento aerei da combattimento e diversi altri armamenti. Insomma, si tratta di un legame molto difficile da spezzare”.

Wezeman collabora con il Sipri dal 1994 in qualità di specialista in materia di difesa e ha notato che l’interesse verso il suo lavoro è cresciuto notevolmente. “Fino a quattro o cinque anni fa, ogni tanto ci chiedevamo se l’industria bellica europea non fosse un po’ noiosa”. Oggi invece i ricercatori si chiedono se l’uso della parola peace, pace, nel nome dell’istituto sia ancora corretto. Secondo Wezeman sì. “La pace dipende anche dal mercato degli armamenti. I paesi si devono porre domande importanti, per esempio di quali armi hanno davvero bisogno, se non si spingono troppo oltre nel comprarle, se non sia necessario fare degli accordi per tenerle sotto controllo. E noi diamo un contributo alla discussione”.

Wezeman e i suoi colleghi mantengono aggiornate tutte le informazioni di pubblico dominio sulle transazioni internazionali di armi pesanti. Magari non dispongono proprio di tutti i dati, ma i loro rapporti sono esaustivi e forniscono un quadro attendibile delle tendenze del mercato. Le conclusioni principali sono che, nonostante la guerra in Ucraina e i disordini in Medio Oriente, nel periodo 2020-2024 l’esportazione globale di armi non è aumentata rispetto al 2015-2019; che il ruolo del maggior esportatore di armi, gli Stati Uniti, è diventato ancora più rilevante; e che l’Ucraina è oggi la principale importatrice al mondo.

Il mercato mondiale

Tra il 2020 e il 2024 il volume complessivo dei trasferimenti di armi in tutto il mondo è stato un po’ inferiore ai cinque anni precedenti. L’aumento del 155 per cento delle importazioni nei paesi europei è stato compensato dal calo in altre regioni. Nella classifica dei primi dieci paesi esportatori, la Francia ha spodestato la Russia al secondo posto. Dopo l’invasione dell’Ucraina, Mosca ha cominciato a produrre molte più armi per conto proprio perché le sono servite quando Kiev si è rivelata un osso più duro del previsto e le sanzioni internazionali hanno ostacolato le esportazioni. Per quanto riguarda la Cina, in passato ha comprato molte armi all’estero, ma ormai soddisfa quasi interamente da sola il suo fabbisogno, in parte perché gli Stati Uniti non le vendevano armi e anche perché la qualità degli armamenti russi lasciava a desiderare. Secondo Wezeman “la Cina era rimasta molto indietro nel campo della tecnologia militare. Non c’era praticamente nessun altro, a parte la Russia, disposto a fornirle armi. Ormai però l’industria nazionale cinese ha fatto importanti passi avanti”.

Tra il 2020 e il 2024 l’Arabia Saudita è stata ancora il cliente principale degli Stati Uniti, ma poiché nei cinque anni precedenti il governo del principe ereditario Mohammed bin Salman aveva comprato molte armi ora la domanda è diminuita.

Ucraina
A Kiev tornano gli aiuti americani

Washington ha annunciato l’11 marzo 2025 di aver revocato le restrizioni agli aiuti militari e sulla condivisione di informazioni d’intelligence con l’Ucraina, che ha accettato la proposta di un cessate il fuoco di trenta giorni. L’accordo è stato raggiunto durante i colloqui che si sono svolti a Gedda, in Arabia Saudita, tra Kiev e Was­hington. “A questo punto la palla è nel campo russo”, ha detto il segretario di stato Marco Rubio.

Secondo la Reuters gli statunitensi avevano minacciato di escludere Kiev dall’accesso al sistema satellitare Starlink, gestito dalla SpaceX di Elon Musk. Il 9 marzo il consigliere di Donald Trump aveva scritto su X che “l’intera linea del fronte ucraino crollerebbe” senza il sostegno dei satelliti. La Polonia, principale finanziatrice dell’Ucraina per l’uso di Starlink, aveva fatto sapere di essere pronta a cercare soluzioni alternative, scrive Politico. “La SpaceX ha reso disponibile la rete Starlink all’Ucraina dopo l’invasione russa del 2022, quando i collegamenti internet e telefonici erano stati in gran parte interrotti”, spiega Nrc Handelsblad. “Con 6.382 satelliti in orbita a un’altitudine di 400 chilometri, il sistema di Musk è parte integrante dell’infrastruttura militare di Kiev”: i centri di comando lo usano per comunicare con le unità al fronte e per pilotare i droni. La maggior parte delle unità dell’esercito ucraino dispone di una propria antenna.

Ora l’azienda francese di comunicazioni satellitari Eutelsat afferma di essere pronta a farsi carico del traffico internet in Ucraina con il sistema OneWeb, che ha 634 satelliti operativi ad altitudini più basse, in grado di coprire la stessa superficie di Starlink ma meno efficaci, soprattutto sulla velocità delle comunicazioni. Intanto, ci sono novità anche sotto il profilo militare. Dopo una presenza di circa sei mesi, le forze ucraine si stanno ritirando dalla regione russa di Kursk, in seguito all’offensiva lanciata da Mosca nelle ultime settimane. ◆


Dominio statunitense

Negli ultimi cinque anni l’industria bellica statunitense ha ottenuto grandi vantaggi dalle tensioni mondiali, in particolare in Europa. L’esportazione di armamenti è aumentata del 21 per cento tra il primo e il secondo periodo analizzato e la quota totale è aumentata dal 35 al 43 per cento. I paesi clienti degli Stati Uniti sono 107. Per la prima volta in vent’anni la maggior parte delle armi statunitensi è andata all’Europa (35 per cento) invece che al Medio Oriente (33 per cento).

Gli Stati Uniti sono il fornitore per eccellenza di missili a lungo raggio e aerei da combattimento. L’F-35, attualmente il caccia più avanzato, è il motivo principale per cui l’industria europea è così legata a quella statunitense, a cui fornisce alcuni componenti. Lo stesso vale, per esempio, per il sistema antimissile Patriot. “Insomma, è una dipendenza reciproca”, spiega Wezeman. “E non si può interrompere molto facilmente. Sei anni fa, quando gli Stati Uniti hanno espulso la Turchia dal programma F-35 perché Ankara aveva firmato un accordo con la Russia, ci sono stati dei problemi nelle forniture ed è stato necessario cercare alternative ai prodotti turchi”.

La decisione europea di comprare armi così grandi e costose dagli Stati Uniti nasce da ragioni sia economiche sia politiche. “Le armi si scelgono anche in base alle alleanze che si vogliono mantenere. I Paesi Bassi, per esempio, avrebbero potuto benissimo comprare un aereo britannico, tedesco o francese, di altrettanto buona qualità, eppure è stato scelto l’F-35, anche per rafforzare il legame con gli Stati Uniti”.

Da sapere
Chi vende, chi compra
Quota delle esportazioni e delle importazioni globali di armi, percentuale, 2020-2024 - Sipri
Quota delle esportazioni e delle importazioni globali di armi, percentuale, 2020-2024 (Sipri)

“Ora magari vogliamo renderci più indipendenti, ma si può senz’altro affermare che i legami solidi hanno un vantaggio: sopravvivranno a Trump. L’anno scorso la Germania ha ordinato degli F-35. Se tutto va bene i primi saranno consegnati nel 2027, quando alla Casa Bianca dovrebbe ancora esserci Trump. Saranno usati a lungo, e durante tutto il processo di manutenzione e modernizzazione i due paesi resteranno legati. È un tipo di aereo che si può usare per venti o trent’anni, se non di più”.

Collaborazione europea

Si dice che negli ultimi trent’anni l’industria bellica europea sia andata un po’ alla deriva. Wezeman non è del tutto d’accordo: “Non userei questo termine. Il disarmo deciso alla fine della guerra fredda aveva le sue buone ragioni, ma c’è da chiedersi se ci si è resi conto in tempo che la Russia rappresentava di nuovo una minaccia e che avrebbe davvero compiuto un gesto estremo come l’invasione dell’Ucraina”. Un ramo importante del settore è ancora in buone condizioni, secondo Wezeman: mentre gli Stati Uniti sono forti nella parte aerea, l’industria europea eccelle nelle produzioni navali e nel materiale di terra, come il carro armato tedesco Leopard.

Nel periodo 2020-2024 la Francia è diventata il secondo maggior fornitore d’armi al mondo, vendute a 65 stati. Tra i due periodi analizzati, l’esportazione francese verso altri stati europei è quasi triplicata (più 187 per cento). Questo si deve soprattutto alla fornitura di aerei da combattimento alla Grecia e alla Croazia e di armi all’Ucraina. Ma è stata l’India il destinatario principale dell’esportazione francese : il 28 per cento, quasi il doppio della fetta che è andata a tutti i destinatari europei insieme (15 per cento).

I primi dieci esportatori
Variazione nelle esportazioni di armamenti tra il periodo 2015-2019 e 2020-2024, percentuale - Sipri
Variazione nelle esportazioni di armamenti tra il periodo 2015-2019 e 2020-2024, percentuale (Sipri)

La Germania ha mantenuto il suo quinto posto, con il fabbricante Rheinmetall in testa. L’Italia è stata molto attiva negli ultimi cinque anni e la sua quota nel commercio mondiale è aumentata dal 2 al 4,8 per cento. Soprattutto la Leonardo si sta facendo largo con caccia, elicotteri, sistemi radar e blindati. Recentemente ha annunciato che produrrà anche droni insieme all’azienda turca Baykar. Proprio come la Francia, anche l’Italia esporta molto verso i paesi extraeuropei, soprattutto in Medio Oriente e Nordafrica.

Secondo Wezeman nei prossimi anni l’industria bellica europea svolgerà un ruolo più rilevante anche alla luce del piano da 800 miliardi di euro presentato dalla Commissione europea per rinforzare la sicurezza del continente.

Il conflitto in Ucraina

Il fatto che l’Ucraina sia diventata la più grande importatrice di armi è la conclusione meno sorprendente dell’inchiesta del Sipri. Tra il 2019 e il 2024 il paese guidato da Volodymyr Zelenskyj ha importato cento volte più armi che nei cinque anni precedenti, soprattutto grazie ai finanziamenti dei paesi europei e degli Stati Uniti. “Questo dà un’idea di quanto fosse poco armata l’Ucraina”, dice Wezeman. Secondo il ricercatore il paese aveva un’industria bellica consistente, ma basata soprattutto su vecchia tecnologia sovietica. In tempo di guerra sono nate molte nuove aziende che producono soprattutto droni. Anche il settore tecnologico è forte. Wezeman si aspetta che l’Ucraina lo svilupperà ulteriormente alla fine della guerra.

Per quanto riguarda la Russia, il conflitto ucraino ha accelerato il calo delle esportazioni di armi perché sono necessarie al fronte, perché le sanzioni commerciali rendono più difficile per Mosca produrle e venderle, e perché gli Stati Uniti mettono sotto pressione i loro alleati per evitare che comprino armi russe, afferma Wezeman. “Due delle principali destinazioni del commercio di armi russe si stavano già defilando prima del 2022: l’India cercava altri fornitori e la Cina aumentava la produzione interna”.

La minaccia di guerra ibrida

Nei prossimi anni il commercio internazionale di armi fiorirà, Wezeman non ha dubbi. L’Europa tenterà di rendersi più indipendente dagli Stati Uniti, ma il divario tecnologico e i contratti con scadenze a lungo termine, non renderanno semplici le cose. Anche i prezzi aumenteranno spinti sicuramente dalle centinaia di miliardi che i paesi europei vogliono investire. “Ma c’è da chiedersi: è davvero così indispensabile aumentare gli armamenti tanto in fretta? Qual è la minaccia? E se la minaccia è costituita dalla Russia, com’è valutata di preciso? Si può affermare che le forze armate russe in Ucraina non hanno assolutamente funzionato secondo i piani di Mosca. Ora l’Europa rischia di agire troppo in fretta e di affrontare con armi pesanti la minaccia sbagliata”.

Wezeman vede anche il rischio che il settore militare influenzi troppo la richiesta di armi: “Io sarò anche una sorta di generale da strapazzo, ma mi chiedo se, in occidente, facciamo abbastanza per contrastare quella che probabilmente è la vera minaccia: la guerra ibrida, le operazioni di sabotaggio della Russia, i tentativi di indebolire il sistema democratico dall’interno. Non servirebbero piuttosto molti più investimenti per far fronte a queste minacce?”. ◆ oa

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Questo articolo è uscito sul numero 1605 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati