L’impressionante collasso dell’esercito afgano, che ha consentito ai taliban di entrare a Kabul il 15 agosto nonostante vent’anni di addestramento e miliardi di dollari in aiuti statunitensi, è cominciato con una serie di trattative nei villaggi rurali tra il gruppo armato e alcuni funzionari governativi di basso livello. Gli accordi, proposti per la prima volta all’inizio del 2020, sono stati spesso descritti dai funzionari di Kabul come dei “cessate il fuoco”, ma in realtà, secondo un ufficiale afgano e un funzionario statunitense, i leader taliban stavano offrendo denaro in cambio della consegna delle armi da parte delle forze governative.
Secondo le interviste rilasciate da più di una decina di ufficiali, poliziotti, uomini delle truppe speciali e altri militari afgani, nel corso dell’anno e mezzo successivo le trattative sono passate al livello distrettuale e poi rapidamente ai capoluoghi di provincia, e sono culminate con una straordinaria serie di rese negoziate dell’esercito.
In poco più di una settimana i combattenti taliban hanno invaso una decina di capoluoghi di provincia e sono entrati a Kabul senza incontrare resistenza, provocando la fuga del presidente Ashraf Ghani e il crollo del suo governo. Nei distretti che circondano la capitale, e nella città stessa, le forze di sicurezza sono semplicemente scomparse.
Al calar della notte, i posti di blocco della polizia sono stati abbandonati e i taliban hanno cominciato a girare liberamente per le strade.
La rapidità con cui l’esercito si è arreso ha lasciato sbalorditi molti funzionari statunitensi e osservatori stranieri, costringendo il governo statunitense ad accelerare drasticamente l’evacuazione del personale della sua ambasciata a Kabul.
L’accordo fatale
I taliban hanno approfittato dell’incertezza seguita all’accordo con gli Stati Uniti siglato nel febbraio 2020 a Doha, in Qatar, che prevedeva il completo ritiro degli americani dal paese. Le forze afgane si sono rese conto che presto non avrebbero più potuto contare sulla potenza aerea statunitense e su altri fondamentali tipi di supporto sul campo, e hanno cominciato a cedere alle proposte dei taliban. “Alcuni volevano solo i soldi”, dice un ufficiale delle forze speciali a proposito dei primi soldati che hanno accettato di incontrare i taliban. Ma altri, spiega, hanno interpretato il ritiro completo promesso dagli Stati Uniti come la “garanzia” del ritorno dei taliban al potere e volevano assicurarsi di essere dalla parte dei vincitori.
Il 17 agosto i taliban hanno tenuto la prima conferenza stampa dopo la presa di Kabul. A parlare è stato soprattutto Zabihullah Mujahid, portavoce del gruppo, che si mostrava in pubblico per la prima volta. Mujahid ha detto che i diritti delle donne saranno rispettati “nell’ambito della legge islamica”, senza specificare cosa intendesse, e che alle donne sarà consentito andare a scuola e lavorare. I taliban hanno detto che non ci saranno ritorsioni contro chi ha combattuto contro di loro e hanno annunciato un’amnistia per i dipendenti del governo appena caduto e per chi ha collaborato con gli occidentali negli ultimi vent’anni. I mezzi d’informazione privati, hanno aggiunto, rimarranno indipendenti ma i giornalisti “non dovrebbero agire contro i valori nazionali”. Inoltre non permetteranno che l’Afghanistan diventi di nuovo la base per attaccare altri paesi. Le rassicurazioni dei taliban sono state accolte con sospetto. “Sembrano gli stessi, solo che parlano inglese meglio di prima”, ha commentato il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, aggiungendo però che è necessario dialogare con i taliban. I ministri degli esteri dell’Unione europea hanno specificato che la collaborazione con il futuro governo afgano dipenderà dall’instaurazione di una realtà pacifica e inclusiva e dal rispetto dei diritti fondamentali degli afgani, incluse le donne. La Cina e la Russia hanno tenuto aperte le loro ambasciate a Kabul (anche se Mosca ha ridotto il personale) decise a proteggere i loro interessi e i loro cittadini nel paese e a incoraggiare i taliban a seguire “una politica religiosa moderata e stabile”, oltre a mantenere buoni rapporti con i vicini. Per far fronte all’imminente esodo di profughi dall’Afghanistan, l’Unione europea cercherà di favorire l’accoglienza fuori dai suoi confini. L’Albania, il Kosovo e la Macedonia del Nord hanno offerto rifugio temporaneo agli afgani diretti negli Stati Uniti, mentre il Canada e il Regno Unito hanno detto che accoglieranno 20mila profughi ciascuno. Bbc, Politico, Scmp
L’accordo di Doha, che aveva lo scopo di mettere fine alla guerra in Afghanistan, ha invece demoralizzato i militari, facendo emergere la propensione di molti funzionari a lasciarsi corrompere e la loro scarsa lealtà nei confronti del governo di Kabul. Alcuni agenti di polizia si sono lamentati di non ricevere lo stipendio da almeno sei mesi. “Hanno visto quell’accordo come la fine di tutto”, continua l’ufficiale riferendosi alla maggioranza degli afgani allineati con il governo. “Il giorno stesso in cui è stato firmato abbiamo visto il cambiamento. Ognuno cercava solo di salvare se stesso. Era come se Washington avesse deciso di lasciarci fallire”.
Le rese negoziate hanno lentamente preso piede nei mesi successivi all’accordo di Doha. Poi, in aprile, quando il presidente statunitense Joe Biden ha annunciato che le forze americane si sarebbero ritirate dall’Afghanistan senza condizioni durante l’estate, le capitolazioni hanno cominciato ad aumentare rapidamente.
Nessuna resistenza
Mano a mano che i taliban estendevano il loro controllo, i distretti ancora nelle mani del governo hanno ceduto senza più combattere. Kunduz, la prima città chiave invasa dai miliziani armati, è caduta l’8 agosto. Giorni di trattative mediate dagli anziani delle tribù hanno portato a un accordo di resa che ha consegnato ai taliban l’ultima base controllata dal governo. Poco dopo i negoziati nella provincia occidentale di Herat hanno portato alle dimissioni del governatore, di alti funzionari del ministero dell’interno e dell’intelligence e di centinaia di soldati. L’accordo è stato concluso in una sola notte. Nell’ultimo mese anche nella provincia meridionale dell’Helmand c’è stata una resa di massa. E mentre i taliban si avvicinavano alla provincia sudorientale di Ghazni, il suo governatore è fuggito sotto la loro protezione per poi essere arrestato dalle autorità governative mentre tornava a Kabul.
La lotta dell’esercito afgano contro i taliban ha coinvolto diverse unità d’élite capaci e motivate, che spesso però sono state mandate a soccorrere unità dell’esercito e della polizia peggio addestrate che hanno ripetutamente ceduto alla pressione dei taliban.
Un ufficiale delle forze speciali di stanza a Kandahar, che era stato incaricato di proteggere un varco di frontiera importante, dice di aver ricevuto da un comandante l’ordine di arrendersi. “Non sparate un solo colpo”, ha imposto il superiore mentre i taliban sciamavano nell’area. La polizia di frontiera si è arresa immediatamente, lasciando sola l’unità delle forze speciali. Non volendo arrendersi né combattere in condizioni d’inferiorità, gli uomini dell’unità hanno deposto le armi, si sono tolti la divisa e hanno abbandonato la loro postazione. “Mi vergogno di quello che ho fatto”, dice il primo ufficiale. “Ma se non fossi fuggito, sarei stato venduto ai taliban dal mio stesso governo”.
Quando abbiamo chiesto a un ufficiale di polizia la causa dell’evidente mancanza di motivazione dei suoi uomini, ci ha spiegato che non ricevevano lo stipendio da mesi, quindi le offerte di denaro dei taliban erano diventate sempre più allettanti. “Senza gli statunitensi non c’era più il timore di essere accusati di corruzione. La loro partenza ha fatto emergere i traditori nelle nostre forze armate”, dice un ufficiale di polizia. Secondo diversi suoi colleghi, dietro al collasso c’è più la corruzione che l’incompetenza. “Onestamente, non credo si possa risolvere la situazione. Penso che abbiano bisogno di qualcosa di completamente nuovo”, dice Ahmadullah Kandahari, un ufficiale delle forze di polizia di Kandahar. Nei giorni precedenti alla presa della città, all’inizio di agosto, la stanchezza degli agenti era diventata evidente. Bacha, un comandante di 34 anni, se ne stava isolato da più di tre mesi. Si era ingobbito e i suoi abiti erano ridotti in cenci. Spiega che il ritiro prolungato aveva ferito il suo orgoglio, ma non ricevere lo stipendio l’ha portato alla disperazione. “L’ultima volta che ci siamo visti, i taliban offrivano 150 dollari a chiunque fosse disposto ad arrendersi e a unirsi a loro”, dice. “Sa qual è il prezzo adesso?”. Non ride, e molti dei suoi uomini si sporgono in avanti ansiosi di sentire la risposta. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1423 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati