◆ È una cosa meravigliosa che sia in continua crescita il desiderio di mettere per iscritto la propria esperienza. Ed è altrettanto bello che questa scrittura diffusa si accompagni alla speranza di eccellere. Più persone scrivono, più persone lo fanno con grandi ambizioni, meglio è. Su questo non ci piove. E non bisogna strapparsi i capelli perché si è in troppi appesi alla navicella esile della letteratura col rischio che naufraghi. Qualche capolavoro verrà comunque fuori, è sempre successo, succede, succederà. Nessuno ha il diritto di dire: non buttare il tuo tempo a scrivere, lascia perdere. Il problema è caso mai tenere alta la coscienza che non basta raccontare fatterelli propri o di conoscenti. L’impresa è un po’ più complicata. Una volta si usavano formule tipo: bisogna andare oltre il piano personale, bisogna trascenderlo, e se non lo trascendete avete fallito. Il dubbio che ci attanagliava era: l’ho trasceso, il piano personale, non l’ho trasceso, riuscirò a trascenderlo? Il linguaggio è cambiato, il problema è rimasto. Un modo per acquietarsi – provvisoriamente – l’ha messo a punto soprattutto Emmanuel Carrère. Ogni suo libro mette in scena – racconta – il punto di innesto del piano personale nell’altro da sé: un criminale, un cialtrone, un evento memorabile, Paolo di Tarso, eccetera. Carrère non si nasconde il problema, lo esibisce. Gli dobbiamo essere grati.
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Questo articolo è uscito sul numero 1423 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati