Una delle domande più dolorose e importanti che noi bielorussi ci facciamo è: perché la nostra lotta non è ancora riuscita ad abbattere il sistema autoritario che ci governa? Dopotutto i presupposti sembravano esserci tutti: un numero straordinario di sostenitori del cambiamento, l’eroismo di migliaia di persone, e l’impegno non solo dei presunti leader politici e dei personaggi pubblici ma di ogni singolo partecipante alle manifestazioni e alle altre proteste, a cui tutti aderivano non per la gloria o per farsi pubblicità, ma in nome della verità. Inoltre, quando sono cominciate le proteste, l’economia era in una fase di stagnazione e si era creata una situazione già descritta da Lenin: non solo chi era alla base della piramide sociale, ma anche le persone ai vertici non volevano più vivere come in passato. Persone di tutte le generazioni e di tutte le professioni si sono unite per un obiettivo comune come non era mai successo. Eppure, anche avendo a disposizione tutti gli ingredienti per far scoppiare una rivoluzione, non ce l’abbiamo fatta. Perché? Perché in Bielorussia la rivoluzione non ha mai trionfato? Oggi abbiamo davvero una possibilità di vittoria? Se la risposta è sì, qual è questa possibilità?

Voglio dirlo subito: non credo che la geopolitica o l’economia abbiano un peso determinante nella secolare lotta dei bielorussi. Si tratta indubbiamente di fattori importanti, ma non cruciali. Se fosse stata una questione solo politica o economica, il cambiamento sarebbe già arrivato lo scorso autunno. La chiave va invece cercata in quello che è generalmente chiamato “carattere nazionale”.

Il concetto si presta inevitabilmente a generalizzazioni rischiose. Ma credo che nel caso dei bielorussi – i quali, a differenza dei loro vicini, hanno sviluppato in ritardo una coscienza nazionale, eppure oggi stanno dando agli altri l’occasione di riflettere sul significato del termine “nazionale” – qualche semplificazione possiamo permettercela.

Eviterò quindi una riflessione analitica e mi lancerò direttamente nel vortice del discorso, senza nessuna pretesa di scientificità. Mi limiterò a osservazioni basate sulla mia conoscenza della storia e della letteratura bielorussa.

L’arte di adattarsi

Il carattere nazionale dei bielorussi è determinato dalla posizione geografica del paese, tra occidente e oriente. Qui la civiltà orientale e quella occidentale, in qualche modo rappresentate dalle chiese ortodossa e cattolica, s’incontrano e convivono: è questa la base della nostra tolleranza culturale e della nostra apertura verso gli altri. Queste caratteristiche consentono una convivenza pacifica e permettono ai bielorussi, quando si trovano in mezzo agli stranieri, di adattarsi senza difficoltà. A seconda delle circostanze, i bielorussi sono diventati dei perfetti russi, cileni, ucraini, cechi o polacchi. Un bielorusso sa essere chiunque, e proprio per questo rimane un bielorusso. Un sentiero che porta in un luogo sconosciuto è un classico topos della letteratura bielorussa, come però anche l’isoletta in mezzo alla palude o la casetta nel bosco, spazi chiusi e protetti che fanno da contraltare all’incertezza del viaggio.

La seconda circostanza che ha plasmato l’identità dei bielorussi è che, a causa della sua posizione, il loro paese è stato spesso un campo di battaglia per le forze straniere. Basta un malinteso tra l’occidente e l’oriente perché la Bielorussia si ritrovi nel mezzo di un conflitto combattuto da altri. In questa terra la pace non c’è mai stata: la guerra appartiene alla nostra memoria collettiva. Per questo noi bielorussi siamo abituati a veder cambiare chi ci governa. Ma chi ha il potere non è mai “uno di noi”, è sempre percepito come un estraneo, che dev’essere tollerato e da cui, se si vuole sopravvivere, ci si deve nascondere.

Una delle prime manifestazioni contro il regime di Aleksandr Lukašenko. Minsk, 20 agosto 2020 - Iva Zimova, Panos/Luz
Una delle prime manifestazioni contro il regime di Aleksandr Lukašenko. Minsk, 20 agosto 2020 (Iva Zimova, Panos/Luz)

Questa strategia di sopravvivenza è scritta nel subconscio della popolazione ed è motivata anche da fattori climatici: non è facile coltivare la terra in Bielorussia. I suoi abitanti sanno di non poter influire sulla grandine, la pioggia, le tempeste di neve o il gran caldo. La necessità di arrangiarsi, di adattarsi e allo stesso tempo di cooperare con le forze della natura nasce proprio da qui. Non a caso nell’universo mitologico bielorusso i personaggi delle fiabe non combattono, ma scendono a patti con i mostri e le streghe.

I bielorussi sono un popolo contadino: abitano nelle città da appena 150 anni. La conversione della Bielorussia tradizionale alla cultura urbana è avvenuta molto tardi: negli anni venti metà della popolazione di Minsk era costituita da ebrei; a Smaljavič, la mia città natale, prima della seconda guerra mondiale sette abitanti su dieci erano ebrei. Il contadino bielorusso è restio ad abbandonare la terra. Ecco perché i valori dei bielorussi non sono così diversi da quelli delle società rurali tradizionali: il rispetto della proprietà privata, l’abitudine al lavoro duro, la capacità di comprendere la lentezza dei processi di trasformazione e il paziente spirito di adattamento. Tutto questo rende molto difficile la concordia reciproca: ogni contadino ha la sua opinione sui modi e i metodi di coltivazione, la sua “verità di vita”, basata su un argomento incontestabile: “è così che faceva mio nonno”.

A proposito di nonni e patriarcato, devo sottolineare che nel sistema di valori bielorusso il ruolo principale non spetta al maschio. Storicamente e culturalmente le donne hanno una posizione estremamente importante, come confermano le caratteristiche delle figure femminili nel folclore e nella letteratura bielorussi: determinazione, caparbietà, grinta e un’invincibile vitalità. Mentre l’uomo è costantemente in guerra e non può decidere del proprio destino, la donna deve prendersi cura di ciò che la circonda senza fare affidamento su aiuti esterni. È solo lei la responsabile del proprio spazio. I personaggi principali delle opere epiche della prima fase della nostra letteratura sono le donne, che incarnano i valori della resistenza, della forza e dell’implacabilità.

In generale i bielorussi sono introversi: avendo conosciuto l’insicurezza di vivere in balia di processi storici incontrollabili, hanno imparato a ricorrere a una sorta di “emigrazione interiore”, a nascondersi dentro di sé, a confinarsi in uno spazio psicologico incerto ma dotato di un proprio ordine. Per i bielorussi l’azione collettiva è possibile solo sulla base di un obiettivo specifico che abbia un limite temporale, di modo che poi possano tornare con sollievo alle loro reali o immaginarie “faccende domestiche”. Secondo i bielorussi il sistema migliore per coltivare la terra è quello che si basa su una rete di fattorie vicine ma autonome, mentre il peggiore è il kolchoz, la fattoria collettiva sovietica.

Un altro valore nazionale bielorusso è l’ordine, l’Ordnung. Qualunque esso sia, è sempre migliore dell’anarchia: la storia è imprevedibile, ed è sempre decisa da altri, perciò anche una minima parvenza di ordine dà un senso di sicurezza.

Luce e tenebra

Non importa stabilire quali caratteristiche del nostro carattere nazionale sono positive e quali negative, qual è la nostra forza e quale la nostra debolezza. Ognuna di queste qualità è ambivalente e ci dà forza e debolezza. È più importante, invece, capire come queste caratteristiche influenzano la crisi in cui ci troviamo. Non voglio dilungarmi sull’eroismo dei bielorussi. Molto è già stato detto sulla solidarietà, l’empatia, la dedizione e l’aspirazione al bene che hanno mostrato durante le proteste. Ormai vediamo solo il lato migliore di noi stessi. Dovremmo però anche cercare di spiegarci la cosa più singolare: perché non abbiamo ancora vinto?

Credo che la ragione principale per cui la vittoria politica tarda ad arrivare stia in primo luogo nella nostra disponibilità a collaborare con il male, che siano i diavoli delle favole, gli occupanti stranieri o i poliziotti di Aleksandr Lukašenko. I bielorussi hanno due diversi concetti di ordine e li tengono separati: l’ordine nel proprio orticello, di cui sono i padroni, e l’ordine al lavoro, dove il padrone è qualcun altro. Sono capaci di vivere contemporaneamente in due sistemi di valori opposti senza impazzire. Queste “due anime” della Bielorussia – per usare un’espressione di uno dei massimi scrittori bielorussi, Maksim Haretski – oggi sono ben visibili. Alle proteste hanno partecipato non solo giovani informatici, medici o atleti, ma anche impiegati pubblici, funzionari governativi e perfino giudici. La domenica scendono in piazza per protestare contro le violenze e le bugie del regime, il lunedì mattina si cambiano e vanno al lavoro, dove falsificano la realtà e vessano i cittadini, in base agli ordini ricevuti dall’alto. Questa capacità di sdoppiarsi senza sentirsi in imbarazzo è la specialità nazionale. Conoscevo insegnanti che un fine settimana portavano gli studenti a Kurapaty, il luogo delle esecuzioni di massa durante il terrore staliniano, e quello dopo organizzavano gite alla cosiddetta linea Stalin, le fortificazioni difensive costruite dai sovietici prima del 1939. Ho conosciuto guide che hanno lavorato in entrambi i posti.

Sarebbe un errore pensare che la società bielorussa oggi sia divisa in luce e tenebra. Nella maggior parte delle persone, luce e tenebra coesistono naturalmente. Se riteniamo che tutti quelli che hanno partecipato alle manifestazioni nell’ultimo anno stiano dalla nostra parte, ci sbagliamo. Oggi sono con noi, domani contro, e il giorno dopo di nuovo dalla nostra parte. È così che funziona. Non ci si può fidare dei sondaggi e dividere la società bielorussa in un 97 per cento favorevole al cambio di regime e in un 3 per cento contrario a ogni novità, perché la somma delle due parti supererà sempre il 100 per cento.

In secondo luogo, i bielorussi vogliono che un ordine sia immediatamente sostituito da un altro ordine. Il solo pensiero di un periodo di confusione, anche brevissimo, e l’idea di rimanere senza una leadership per qualche tempo gli risulta insopportabile. Anche i sei mesi ritenuti necessari come periodo di transizione prima di un eventuale nuovo voto presidenziale sono un tempo estremamente lungo per persone la cui intera esistenza è stata segnata dall’incertezza.

Infine c’è il fatto che un bielorusso non è capace di pensare oltre i confini della propria terra: si è responsabili dell’ordine nel proprio giardino, quello del vicino può anche ricoprirsi di erbacce.

Da sapere
Arresti e torture

Nell’ultimo anno in Bielorussa c’è stata una lunga ondata di proteste contro il regime del presidente Aleksandr Lukašenko. La mobilitazione è cominciata dopo il voto presidenziale del 9 agosto 2020, segnato da gravissimi brogli e irregolarità. Il regime ha sempre risposto con una brutale repressione, che si è perfino intensificata negli ultimi mesi, con gli arresti e le torture di decine di giornalisti, attivisti e semplici cittadini. Il 3 agosto l’attivista Vitalij Šišov, che si era rifugiato a Kiev, in Ucraina, è stato trovato impiccato a un albero in un parco vicino alla sua abitazione. Secondo diverse ong attive nel campo della difesa dei diritti umani, Šišov potrebbe essere stato ucciso dai servizi segreti di Minsk. Le tensioni bielorusse sono arrivate anche alle Olimpiadi di Tokyo. Il 5 agosto la velocista bielorussa Krystsina Tsimanouskaja ha ricevuto protezione umanitaria in Polonia. Le autorità bielorusse avevano cercato di rimpatriarla a forza per le critiche espresse contro il suo allenatore. Dall’inizio delle proteste gli arresti sono stati più di 35mila.

Il 23 maggio il regime di Lukašenko aveva fatto atterrare a Minsk un volo Ryanair diritto a Vilnius per arrestare il giornalista e attivista Roman Protasevič, che si trovava a bordo. Il dirottamento è costato alla Bielorussia nuove sanzioni da parte di Unione europea, Regno Unito, Canada e Stati Uniti. Negli ultimi due mesi Minsk ha inoltre facilitato l’afflusso di migranti iracheni e afgani verso la Lituania per innescare una crisi politica e sociale nel paese baltico, dove hanno trovato asilo molti oppositori di Lukašenko. Il 9 agosto, in occasione del primo anniversario dell’inizio delle proteste, i paesi occidentali hanno varato un ultimo pacchetto di sanzioni. Anche se di dimensioni minori rispetto alle grandi mobilitazioni di un anno fa, nel paese le manifestazioni continuano. In un commento pubblicato il 13 agosto dal Financial Times, la leader dell’opposizione bielorussa, Svetlana Tichanovskaja, ha scritto che i “paesi democratici hanno l’obbligo morale di sostenere” la lotta dei bielorussi e ha aggiunto che “la dittatura di Lukašenko è destinata a crollare”. ◆


Una volta che avremo vinto, saremo sorpresi di vedere quante persone hanno davvero aspettato e voluto i cambiamenti. Forse proprio il 97 per cento. Con lo stesso stupore oggi ci chiediamo da dove provenga la monolitica rigidità del regime. Il punto è questo: quelli che, nonostante i conflitti interiori, sono disposti a mantenere l’ordine attuale sono sicuramente più della metà della popolazione. Ma solo dalle 9 alle 17 dei giorni feriali. Al di fuori di questo orario, anche loro vogliono un cambiamento.

La nostra evoluzione

Il termine “rivoluzione” non è il più appropriato per definire gli eventi bielorussi. Ci sono altre parole: protesta, manifestazione, azione. Oggi il paese sta attraversando non un cambiamento rivoluzionario, ma un processo evolutivo. Una trasformazione enorme, compressa nel tempo, ma di portata eccezionale. Somiglia un po’ ai dolori della crescita, quando le ossa si sviluppano più velocemente dei muscoli.

Per vincere, i bielorussi devono prima di tutto prendere coscienza di sé, comprendere le proprie specificità e il loro modo di reagire, personalmente e collettivamente, agli eventi. Così potranno essere guidati dai fatti, non dalle emozioni (ammesso che il carattere nazionale possa essere considerato un fatto). Questa è una condizione essenziale anche nello sviluppo dell’individuo: prima di muoverti verso un obiettivo, devi capire e accettare te stesso per come sei.

Ecco perché sono sicura che la cosa più importante oggi sia l’attività culturale, educativa, la comprensione di sé attraverso la lettura, lo sforzo di parlare il bielorusso. Ma dobbiamo anche capire le ragioni di quelli che oggi, in preda alle emozioni, consideriamo nemici. Sono bielorussi come noi, hanno solo applicato l’antico meccanismo di sopravvivenza e adattamento alle circostanze. Che ci piaccia o no, è questo il sistema che ci ha permesso di sopravvivere per secoli a qualsiasi disastro: davanti all’autorità di turno, un bielorusso sa fare buon viso a cattivo gioco e, proprio grazie a questo, rimane se stesso.

In ultimo – ma non è meno importante – non dobbiamo parlarci con parole vuote. Non importa se siano insulti o parole di sostegno. I bielorussi sono pragmatici, non si lasciano irretire dalle ideologie. Per sostenere una certa forza politica devono vedere nel suo programma obiettivi concreti e comprensibili. Se questo non succede, bisogna dare ai cittadini una visione delle cose chiara.

I protagonisti dell’attuale lotta politica, che alimentano la speranza di cambiamento e della nascita di un nuovo ordine, non devono dimenticare che i bielorussi sono molto diffidenti. Non serve aspettare che comincino a credere in qualcosa, meglio fare appello al loro bisogno di Ordnung e fornirgli garanzie in questo senso. Inoltre, ogni bielorusso dovrebbe allargare i confini della propria responsabilità. La Bielorussia non è solo i duecento metri quadri di giardino davanti a casa e la dacia in campagna. Qualunque cosa accada nella sfera politica e statale non bisogna fare distinzioni tra ciò che “mi riguarda” e ciò che “è politica”. “Tutto mi riguarda”, perciò sono responsabile di tutto. E i bielorussi sono abituati a difendere ciò che è “loro” fino alla fine.

È anche importante capire che questo processo di evoluzione riguarda tutti. È un lavoro duro ma necessario che dobbiamo fare su noi stessi. Quando avremo capito che stare su entrambi i lati della barricata non serve, dovremo superare il nostro sdoppiamento interiore. L’evoluzione del carattere nazionale dipende anche da un’attività concreta che dobbiamo fare in prima persona. E infine: succede che le rivoluzioni falliscano. L’evoluzione, però, non si ferma. È un processo irreversibile. L’evoluzione è spietata e ottimista al tempo stesso: chi non si evolve muore, chi sopravvive continua a svilupparsi. Oggi vedo chiaramente che i bielorussi si stanno evolvendo. Per questo credo che la vittoria arriverà. ◆ ab

Anna Sevjarynets è un’insegnante e scrittrice bielorussa.

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Questo articolo è uscito sul numero 1423 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati