
The Guardian
Un mondo altrove affronta la rivoluzione messicana, l’esilio di Lev Trockij a Città del Messico, la prima guerra mondiale e la caccia alle streghe del maccartismo degli anni cinquanta. È un’opera ambiziosa che abbraccia un periodo storico affascinante, ma manca della forte caratterizzazione che rendeva così interessante il romanzo precedente, L’albero velenoso della fede. La storia è raccontata da Harrison Shepherd, un ragazzo mezzo americano e mezzo messicano apparentemente insignificante, nato da una madre girovaga nelle zone rurali del Messico degli anni venti del novecento. Dopo un incontro casuale in un mercato con “una regina azteca dai feroci occhi neri” – Frida Kahlo – viene assunto come domestico dall’artista e dal marito, il muralista Diego Rivera, impegnato a portare avanti la rivoluzione culturale del Messico. Questo è l’ingresso di Shepherd nella prima linea della storia – e lì resta, diventando segretario di Rivera e successivamente del suo ospite, l’esiliato Lev Trockij. Nel frattempo annota tutti gli avvenimenti quotidiani in una serie di diari. Kingsolver – o meglio, Shepherd – tratteggia le varie personalità stravaganti della famiglia: anzitutto Frida che nasconde una tragica serie di disturbi fisici e mentali e poi Diego, un “grosso rospo”, che la tradisce compulsivamente. Trockij, o “Lev” (qui lo chiamano semplicemente così), emerge come una figura scintillante e santa, guidata da un purissimo amore per l’umanità. La domanda che aleggia nella mente del lettore, tuttavia, è cosa aggiunga alla storia la narrazione di Shepherd. Per troppe pagine di questo libro resta in silenzio e agisce solo come portavoce di altri personaggi non di fantasia. La sua presenza in diversi momenti chiave della storia del novecento sembra artificiosa. Solo alla fine, quando diventa il centro dell’azione, emerge come una vera personalità. La mancanza di un vero narratore rende traballante il romanzo. In Un mondo altrove Kingsolver lascia che sia la storia a forgiare i suoi personaggi invece del contrario. Il cervello è iperstimolato dal racconto di quell’epoca tumultuosa. Il cuore un po’ meno. Alice O’Keefe,
The Guardian (2009)
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Questo articolo è uscito sul numero 1603 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati