In Russia agosto è il mese dei disastri. Un tempo erano causati dalla natura, dalla criminalità, da tecnologie superate. Oggi dallo stato. Il 22 agosto il ministro della giustizia ha incluso il canale tv Dožd (Pioggia) e il sito di giornalismo d’inchiesta Važnye istorii (Storie importanti) nella lista degli agenti stranieri (cosa che implica rigorose restrizioni burocratiche e continui controlli).
Il team di Važnye istorii ha fatto sapere che continuerà a lavorare, ma Dožd non potrà resistere senza pubblicità. La decisione è un brutale e ipocrita atto di censura, e porterà alla chiusura dell’ultima importante tv indipendente rimasta in Russia. Dožd viene punita per il fatto che i suoi giornalisti fanno il loro lavoro. La tv ha trasmesso le immagini delle proteste a Chabarovsk, ignorate dai canali di stato, e ha raccontato le manifestazioni di solidarietà all’oppositore Aleksej Navalnyj, mostrando la polizia che picchiava i dimostranti. Questo è giornalismo, ed è diverso dalla propaganda.
Com’è possibile che nella Russia di oggi chi fa questo mestiere con professionalità sia considerato una spia? Davvero i russi si meritano solo la propaganda di stato, che usa i soldi dei contribuenti per distrarre la popolazione dai veri problemi del paese? Cosa pensa di tutto questo Dmitrij Medvedev, il leader del partito al potere Russia unita, autore dello slogan “la libertà è meglio della non libertà”? E senza Dožd chi racconterà in modo onesto ai russi le elezioni legislative di settembre? Le solite domande retoriche d’agosto. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1424 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati