“I l conto alla rovescia per la prossima catastrofe è già partito”, mi ha detto Dennis Kelleher, presidente dell’associazione non profit Better markets. Nelle ultime settimane ho sentito opinioni simili da economisti, agenti di borsa, funzionari del congresso e del governo statunitense. L’amministrazione di Donald Trump ha promesso di approvare una serie di norme favorevoli alle criptovalute, ed è altrettanto probabile che allenterà le restrizioni a cui sono sottoposte le aziende di Wall street. Questo, sostiene la Casa Bianca, porterà a un’era di inattesa prosperità per gli Stati Uniti, consolidando la posizione del paese come cervello dei mercati finanziari globali e cuore del sistema degli investimenti. “Io immagino un’America che domina il futuro”, ha detto Trump a luglio. “Sto studiando un piano per fare in modo che gli Stati Uniti siano la capitale delle criptovalute del pianeta e la superpotenza mondiale del bitcoin”. Le previsioni degli esperti del settore finanziario sono un po’ diverse: all’inizio ci sarà un boom, forse anche grande, con un’impennata del prezzo del bitcoin, dell’ether e di altre criptovalute; le società finanziarie faranno profitti e gli investitori statunitensi si arricchiranno; poi arriverà il crollo, probabilmente rovinoso, con aziende che chiudono, il governo chiamato a intervenire per stabilizzare i mercati e molti statunitensi alle prese con pignoramenti e insolvenze.
Mi occupo di bitcoin da più di dieci anni e ho seguito l’ultima crisi finanziaria e i suoi strascichi, così mi sono fatta un’idea di cosa potrebbe succedere. Le attività finanziarie legate alle criptovalute tendono a essere estremamente volatili, molto più dell’immobiliare, delle materie prime, delle azioni e delle obbligazioni. Incoraggiati da Washington, gli statunitensi investiranno nelle criptovalute; il loro valore salirà e scorreranno fiumi di denaro; poi, inevitabilmente, crollerà e tanto i piccoli risparmiatori quanto gli investitori istituzionali (quelli che gestiscono di professione grandi capitali) saranno spazzati via.
Gli esperti con cui ho parlato non hanno contestato questa mia ricostruzione. Ma se fosse tutto qui, mi hanno detto, gli Stati Uniti e il mondo potrebbero considerarsi fortunati. Il pericolo non è tanto che le norme favorevoli alle criptovalute esporranno milioni di statunitensi a truffe e volatilità degli investimenti, quanto piuttosto che influenzeranno l’intero settore finanziario. Questo favorirà l’opacità, rendendo più difficile il lavoro degli investitori nel valutare i rischi e assegnare il giusto valore ai prodotti finanziari. Il tutto mentre l’amministrazione Trump è impegnata a ridurre le regole e i controllori.
Le criptovalute si diffonderanno. E i mercati finanziari tradizionali cominceranno a somigliare a quelli delle criptovalute: più selvaggi, meno trasparenti, più imprevedibili, con ricadute da migliaia di miliardi di dollari per anni a venire. “Ho il timore che nei prossimi tre o quattro anni le cose andranno benissimo”, dice Eswar Prasad, economista della Cornell university ed ex funzionario del Fondo monetario internazionale. “Il problema è quello che verrà dopo, quando dovremo raccogliere i pezzi delle manie speculative scatenate da quest’amministrazione”.
Da anni Washington “sta facendo una guerra mai vista alle criptovalute e al bitcoin”, ha detto quest’estate Trump agli imprenditori del settore. “Prendono di mira le vostre banche, soffocano i vostri servizi finanziari. Impediscono agli statunitensi comuni di trasferire denaro sulle vostre piattaforme di scambio. Vi additano come criminali”. E poi ha aggiunto: “È successo anche a me, perché ho detto che le elezioni erano truccate”.

Trump non ha torto quando dice che le criptovalute esistono in un universo finanziario parallelo. Molte aziende del settore non possono rispettare le leggi statunitensi (o scelgono di non farlo), quindi per i piccoli investitori è difficile usare i loro servizi (Binance, la più grande piattaforma per lo scambio di criptovalute al mondo, non vuole rivelare neanche a quale giurisdizione appartiene e indirizza i clienti statunitensi a una sua piccola controllata negli Stati Uniti). Banche come la Morgan Stanley e la Wells Fargo offrono pochissimi prodotti cripto e fanno investimenti minimi (o nulli) in criptovalute e nelle aziende del settore. Il problema non è che le banche non vogliono partecipare alla festa, è che finora le norme gliel’hanno impedito, e le autorità di vigilanza le hanno scoraggiate.
Questa situazione ha frenato i flussi di denaro verso le criptovalute. Ma è stata una politica saggia, perché ha impedito che una serie di fallimenti e oscillazioni folli del valore destabilizzassero il sistema finanziario tradizionale. Nel 2022 il settore cripto ha perso duemila miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato su tremila, osserva Kelleher. “Se un crollo finanziario simile avesse colpito qualsiasi altro settore ci sarebbe stato un contagio. Invece non è successo niente, perché c’erano due sistemi paralleli quasi completamente scollegati tra loro”.
Le normative annunciate cuciranno insieme i due sistemi. Certo, nessuno sa esattamente quali leggi saranno approvate dal congresso e firmate da Trump. Ma una buona guida è il Financial innovation and technology for the 21st century act (Fit21), una legge approvata l’anno scorso dalla camera dei rappresentanti prima di arenarsi al senato. La proposta di legge è stata oggetto di un’intensa attività di pressione dei sostenitori delle criptovalute, pronti a investire miliardi e a distribuire fondi al punto di spendere 170 milioni durante la campagna elettorale del 2024. Il testo è una lista dei desideri del settore. Il Fit21 assegna alla Commodity futures trading commission (Cftc, l’agenzia che vigila sui mercati dei titoli derivati) invece che alla Securities and exchange commission (Sec, l’autorità di vigilanza della borsa statunitense) il compito di vigilare sulla maggior parte dei patrimoni e delle aziende del settore cripto, e chiede alla Cftc di raccogliere molte meno informazioni sulla struttura e lo scambio dei prodotti cripto rispetto a quelle che le società d’intermediazione finanziaria forniscono alla Sec.

Oltre a regole meno stringenti, gli esperti si aspettano anche meno controlli. La Cftc vigila prevalentemente su prodotti finanziari usati dalle aziende come copertura dai rischi e scambiati tra operatori, quindi su prodotti che non sono proposti ai risparmiatori privati. L’agenzia ha circa un quinto del bilancio e un settimo dei dipendenti della Sec. E in generale, ci si aspetta un allentamento dei vincoli che impediscono alle banche tradizionali di tenere a bilancio criptovalute e alle aziende cripto di accedere all’infrastruttura finanziaria del paese. Secondo Prasad, sarebbe un regime “da sogno” per il settore.
Arginare l’influenza cinese
Trump e la sua famiglia hanno investito nelle criptovalute, ma il presidente ha fatto sapere di voler creare una riserva “strategica” in bitcoin per arginare l’influenza cinese (in realtà, questo vorrebbe dire usare miliardi di dollari dei contribuenti per assorbire beni speculativi senza alcun vantaggio strategico per gli Stati Uniti). Quanti sostenitori del Partito repubblicano investiranno in criptovalute perché lo fa Trump? Quanti giovani punteranno tutto sul bitcoin perché suo figlio Eric Trump (il terzo figlio di Donald) dice che il prezzo sta schizzando a un milione di dollari o perché il segretario al commercio dice che è il futuro? Nessuna delle cose di cui si stanno occupando il congresso o la Casa Bianca ridurrà i rischi. Chi investirà in criptovalute resterà esposto agli attacchi dei criminali informatici. Il gruppo di ricerca Chainalysis ha stimato in 24,2 miliardi di dollari il valore delle transazioni illecite avvenute solo nel 2023. Se il governo degli Stati Uniti investisse in criptovalute, aumenterebbero esponenzialmente gli incentivi per paesi come l’Iran e la Corea del Nord a interferire nei mercati. Immaginate se la Cina lanciasse un’offensiva per il 51 per cento della blockchain di bitcoin, prendendone il controllo e sorvegliando ogni singola transazione. Sarebbe un incubo per la sicurezza.
Gli statunitensi sarebbero anche esposti a truffe e imbrogli più tradizionali. La Sec ha sanzionato decine di truffatori, ciarlatani e imbroglioni, dalla piattaforma di scambio Ftx, che ha bruciato 32 miliardi di dollari, ai più infimi operatori delle criptovalute. Nessuno pensa che la Cftc abbia la forza e l’autorità per fare altrettanto. Senza contare i vuoti normativi del Fit21, che favoriscono ogni genere di traffici loschi. Un’azienda potrebbe gestire una piattaforma di scambio, comprare e vendere criptovalute per conto proprio e, allo stesso tempo, eseguire ordini per i clienti legalmente, nonostante il conflitto d’interessi.

La volatilità è il rischio più grande per gli investitori privati. Le criptovalute e i token (sorta di contratti digitali) sono “puramente speculativi”, sottolinea Prasad. “L’unica cosa che ne sostiene il valore è la fiducia degli investitori”. L’oro, almeno, ha degli usi industriali. Se scommetti sul prezzo dei bulbi di tulipano, magari ti ritrovi a casa un fiore. Con i prodotti cripto il rischio è di restare con niente in mano o anche peggio. Una buona parte degli operatori cripto prende in prestito denaro per fare scommesse. Quando quelli più esposti perdono soldi, i creditori – generalmente le piattaforme di scambio su cui gli operatori sono attivi – gli chiedono di fornire una garanzia. Per farlo, a volte gli investitori devono liquidare i loro piani pensionistici o vendere i loro bitcoin, anche quando il mercato è al ribasso. Se non trovano i soldi, l’azienda con cui sono in debito può liquidare o pignorare i loro beni.
Un recente rapporto dell’Office of financial research, un centro studi del governo statunitense, ha rivelato che alcune famiglie a basso reddito stanno “usando i guadagni delle criptovalute per accendere nuovi mutui”; quando i prezzi delle criptovalute scenderanno, le case di queste famiglie saranno a rischio.
A quanto pare molti investitori privati non si rendono conto di questi pericoli. La Federal deposit insurance corporation (Fdic, l’agenzia governativa che assicura i depositi bancari) è stata costretta a dichiarare che non tutela i patrimoni legati alle criptovalute. Il Financial stability oversight council (un’agenzia che vigila sulla stabilità del sistema finanziario statunitense) ha espresso preoccupazione perché le persone non si rendono conto che le aziende cripto non sono soggette agli stessi controlli delle banche. Ma se ci investe Trump, che pericolo ci sarà mai?
L’oro degli sciocchi
La preoccupazione principale delle autorità di vigilanza e degli economisti, tuttavia, è che il caos sui mercati cripto possa far saltare il sistema finanziario tradizionale, provocando un crollo del credito e rendendo necessario l’intervento del governo, come nel 2008. Dove un tempo Wall street vedeva l’oro degli sciocchi, ora vede una miniera. Dieci anni fa Ray Dalio, del fondo d’investimento Bridgewater, definì le criptovalute “una bolla”; oggi pensa che siano “una gran bella invenzione”. Larry Fink, del fondo BlackRock, in passato ha parlato dei bitcoin come di “un indice del riciclaggio di denaro”; oggi lo considera “uno strumento finanziario legittimo”, che la sua azienda ha già cominciato a proporre ai clienti, sia pure indirettamente. All’inizio del 2024 la Sec ha cominciato ad autorizzare i gestori di fondi a vendere alcune tipologie di investimenti cripto. A novembre la BlackRock ha lanciato un fondo in bitcoin che viene scambiato in borsa; un fondo pensionistico pubblico ha già investito i sudati risparmi dei suoi pensionati. Anche banche come Barclays, Citigroup, JP Morgan e Goldman Sachs stanno entrando nel mercato delle criptovalute. Miliardi di dollari della finanza tradizionale stanno sbarcando sui mercati finanziari decentralizzati, e altri miliardi seguiranno quando le autorità lo permetteranno. Cosa potrebbe andare storto? Niente, se le aziende di Wall street stanno valutando correttamente il rischio legato a questi beni. Tutto, se invece non lo stanno facendo.
Anche gli strumenti apparentemente più solidi sono pericolosi. Lo stablecoin, per esempio, è una criptovaluta ancorata al dollaro: uno stablecoin vale un dollaro. Questo lo rende utile come mezzo di scambio, a differenza del bitcoin e dell’ether. Le aziende che operano in stablecoin mantengono il loro ancoraggio detenendo un dollaro in beni sicuri, come i contanti e i buoni del tesoro, per ogni stablecoin emesso. In teoria.

Nella primavera del 2022 il prezzo di TerraUsd, uno stablecoin molto usato, è sceso ad appena 23 centesimi. L’azienda si affidava a un algoritmo per tenere agganciato il prezzo dei TerraUsd; è bastato che un numero sufficiente di persone vendesse i suoi stablecoin per rompere il giocattolo. Il tether, la criptovaluta più scambiata al mondo, sostiene di essere interamente garantita da depositi sicuri.
Il governo statunitense ha scoperto che fino al 2021 non lo è stata; inoltre, il dipartimento del tesoro sta valutando se sanzionare l’azienda che sta dietro il tether, che avrebbe fatto da imbuto di denaro per “il programma di armamenti nucleari nordcoreano, i cartelli della droga messicani, le aziende di armi russe, i gruppi terroristici in Medio Oriente e i produttori cinesi di sostanze chimiche usate per sintetizzare il fentanyl”, ha scritto il Wall Street Journal. “Insinuare che il tether sia anche solo sospettata di aiutare dei criminali o di eludere delle sanzioni è scandaloso”, ha risposto l’azienda.
◆ Il 14 febbraio 2025 il presidente argentino Javier Milei ha raccomandato sul social network X l’acquisto della criptovaluta $libra, spiegando che sarebbe stato un modo per investire nella crescita del paese. In realtà, spiega Die Tageszeitung, nel giro di poche ore il valore della $libra è crollato (da 4 a 0,5 dollari), bruciando i risparmi di chi si era fidato di Milei. Circa 44mila investitori hanno perso in tutto 107 milioni di dollari. Il presidente, che ha ricevuto varie denunce per truffa, ha ordinato un’inchiesta per capire chi si è arricchito con l’operazione. Al momento si sa solo che dietro la $libra c’è un finanziere, Hayden Davis, che si spaccia per “consulente di Milei” e che ha incontrato il presidente a gennaio.
Se il tether o un altro grande stablecoin vacillasse, il caos finanziario potrebbe propagarsi all’istante oltre i mercati cripto. Gli investitori preoccupati scaricherebbero lo stablecoin, innescando “il panico e una fuga che si autoalimentano”, per citare i tre studiosi che hanno ipotizzato questa situazione. L’emittente di stablecoin liquiderebbe buoni del tesoro e altri beni sicuri per pagare i rimborsi; la conseguente caduta del prezzo di questi beni sicuri avrebbe un impatto su migliaia di aziende non legate al mondo cripto. Alla fine del 2021 gli economisti stimavano che il rischio di una fuga dal tether era del 2,5 per cento. Alla faccia della stabilità.
È facile immaginare altre catastrofi: fallimenti bancari, crolli delle borse, giganteschi schemi Ponzi che vacillano. Eppure, il rischio più grande delle criptovalute ha ben poco a che fare con le criptovalute. Se il congresso approvasse il Fit21 o una legge simile, inventerebbe la nuova tipologia del “bene digitale”: in sostanza, un qualsiasi prodotto finanziario gestito su una blockchain decentralizzata. I beni digitali sarebbero esentati dalla vigilanza della Sec, così come le aziende che operano nel settore della “finanza decentralizzata”. In base al testo del Fit21, qualsiasi azienda o privato potrebbe certificare un prodotto finanziario come un bene digitale, e la Sec avrebbe solo sessanta giorni per opporsi. È un buco normativo abbastanza grande da farci passare una banca d’investimento.
Wall street sta cominciando a parlare di “tokenizzazione”, cioè di creare un registro digitale programmabile delle attività. La presunta giustificazione è l’efficienza dei capitali: la tokenizzazione faciliterebbe la circolazione del denaro. Un’altra giustificazione è la possibilità di sfruttare legislazioni più benevole: gli investimenti sulla blockchain uscirebbero dal campo di competenza della Sec e sarebbero probabilmente meno soggetti a obblighi di trasparenza, comunicazione, rendicontazione, tasse, tutela dei consumatori, antiriciclaggio e requisiti patrimoniali. Il rischio sarebbe incorporato nel sistema, il governo avrebbe meno strumenti per tenere a freno le imprese. Di questo passo la regolamentazione del settore cripto proposta potrebbe finire per mettere a repentaglio “l’intero mercato dei capitali, che vale centomila miliardi di dollari”, ha osservato Gary Gensler, ex presidente della Sec e nemico numero uno dell’industria cripto. “Potrebbe incoraggiare soggetti non in regola con le norme a scegliere il regime regolatorio a cui preferiscono sottostare”.
Un film già visto
È un film che abbiamo già visto non molto tempo fa. Nel 2000, poco prima di terminare il suo mandato, Bill Clinton firmò il Commodity futures modernization act. La legge poneva dei vincoli ai derivati scambiati in borsa, ma non toccava quelli scambiati sui mercati non regolamentati. È così Wall street poté confezionare prodotti finanziari per migliaia di miliardi di dollari, spesso garantiti dai flussi di reddito provenienti dai prestiti ipotecari, e li scambiò fuori borsa. Accoppiò i prestiti subprime con i prime, oscurando il rischio reale di un determinato strumento finanziario. A un certo punto, i consumatori cominciarono a essere in difficoltà per l’aumento dei tassi d’interesse, la stagnazione dei salari e l’aumento della disoccupazione. Il tasso d’inadempimento dei mutui schizzò alle stelle. I prezzi delle case crollarono. Gli investitori si fecero prendere dal panico. Nessuno sapeva più quale fosse il valore di qualsiasi cosa. L’incertezza, l’opacità, l’eccesso di debiti e la manipolazione dei prezzi innescarono la crisi che portò alla grande recessione. Il mercato delle criptovalute di oggi ha tutto per far scoppiare qualcosa di simile. Se il congresso e l’amministrazione Trump decideranno di non fare niente – mantenendo la Sec come principale autorità di vigilanza e imponendo alle aziende di giocare secondo le regole esistenti – il caos sarà scongiurato. Di fatto, non c’è una giustificazione logica per trattare i beni digitali in modo diverso dagli altri titoli. In base ai semplici parametri che il governo ha applicato per un secolo, quasi tutti i beni cripto sono titoli. Ma Washington sta creando vuoti normativi, non leggi.
Come amano dire i sostenitori delle criptovalute, tenetevi forte. “Molti banchieri stanno ballando in strada”, ha detto nel 2024 Jamie Dimon, della JPMorgan Chase, a una conferenza in Perù. Forse fanno bene. Non sono mai i banchieri a rimanere con il cerino in mano. ◆ fas
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 52. Compra questo numero | Abbonati