Qualcuno ha dovuto guardare il film di Wes Anderson Grand Budapest Hotel per scoprire un gigante come lo scrittore austriaco Stefan Zweig? A me è successo. È successo prima d’innamorarmi della società delle chiavi incrociate e di quella Mitteleuropa e poi di leggere Il mondo di ieri , L’agonia della pace , la Novella degli scacchi . Libri impressionanti per la lucidità della testimonianza, dello smascheramento delle sospensioni dell’umano che il nazionalismo e la guerra impongono. Quando si parla di Europa bisognerebbe rifarsi a questo europeo esemplare, che già denunciava la recinzione delle frontiere dopo il 1914 come la sconfitta dell’umanità, che definiva l’opportunismo il nemico universale e l’Europa l’ultima Grecia della storia. Un lutto insostenibile la perdita del suo mondo, che lo spinse a togliersi la vita insieme alla moglie il 22 febbraio 1942 in esilio in America Latina. Però quanta civiltà, quanta partecipazione al suo tempo e quanto umorismo. Basta leggere Momenti fatali , apprendere dell’anziano Goethe innamorato di una ragazza, dell’autore della marsigliese morto senza percepire nessun diritto d’autore, della battaglia di Waterloo decisa della pedanteria di un maresciallo, per sorridere di quanto ogni evento storico sia soggetto al caso e al ridicolo. Il suo senso di meraviglia era intatto di fronte alle sorti umane, perché “dietro a ogni finestra è in attesa un destino”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati