Il Rio Grande do Sul, uno stato nel ricco sud del Brasile, è abituato a passare dalle piogge torrenziali alla siccità, perché in questa zona si scontrano masse d’aria tropicali e polari. Ma non aveva mai vissuto piogge così devastanti come quelle che vanno avanti dall’inizio di maggio.

Piove sul bagnato. Gli abitanti di questo stato, detti gauchos, hanno dovuto affrontare tre inondazioni in otto mesi. Il 2 maggio Thalia Silveira, 21 anni, stava con due cugini a Eldorado do Sul quando l’acqua ha cominciato a salire. I vicini le hanno detto di scappare. Hanno raggiunto un rifugio, ma sono dovuti andare via anche da lì perché l’atmosfera era molto tesa: “C’era gente che beveva e litigava”, racconta. “Ora è il momento di ricostruire. Siamo vivi. È la cosa più importante”, dice qualche giorno dopo in uno dei pochi luoghi della città non sommerso, un tratto della strada BR-290 che è diventato un punto d’incontro per l’evacuazione in barca o in elicottero.

Praticamente tutto lo stato del Rio Grande do Sul, al confine con l’Uruguay e l’Argentina, è allagato. Più di 500mila persone hanno lasciato la loro casa, alcuni sindaci stanno pensando di ricostruire le città su un terreno più alto, moltissime famiglie hanno perso tutto. “La gente sta valutando se emigrare”, ha detto al telefono Natalie Unterstell, presidente del centro di studi di politica climatica Talanoa. La catastrofe ha messo a nudo la fragilità delle infrastrutture e ha fatto capire a politici e cittadini che bisogna agire subito.

Il presidente Luiz Inácio Lula da Silva (del Partito dei lavoratori) ha visitato lo stato due volte, ha promesso importanti aiuti economici e ha detto che le inondazioni “sono un avvertimento per il mondo. La Terra ci sta presentando il conto”. Lula sa che il suo governo sarà giudicato per il modo in cui gestisce questa crisi. La sua politica ambientale è molto meno ambiziosa di quello che vorrebbero gli attivisti brasiliani, anche se lontana anni luce dal negazionismo climatico del suo predecessore Jair Bolsonaro.

Secondo l’ultimo bilancio, nelle alluvioni sono morte almeno 150 persone e altre 127 risultano disperse. La situazione è ancora critica: i soccorsi e la distribuzione degli aiuti sono complicati perché le piogge hanno fatto crollare strade e ponti. L’aeroporto principale è inutilizzabile.

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L’appello di Anitta

Karina Bruno Lima, 36 anni, fa un dottorato in climatologia all’università federale del Rio Grande do Sul. “L’ultimo disastro è avvenuto per una combinazione di fattori: il fenomeno climatico del Niño, che porta pioggia; la corrente umida dall’Amazzonia; e un blocco atmosferico con una massa d’aria calda sul Brasile centrale”, spiega.“Ma c’è anche il fattore umano. Un’atmosfera e oceani più caldi generano energia per questi eventi estremi legati alla pioggia. Molte città sono costruite vicino all’acqua e non sono preparate ad affrontarli”.

Lei stessa ha dovuto lasciare la sua casa a Porto Alegre, dove le dighe non hanno resistito alla peggiore inondazione dal 1941. Le strade del centro sono fiumi e i soccorritori si muovono in canoa. Si è rifugiata a Passo Fundo, una zona rurale a quattrocento chilometri dalla capitale. Secondo Lima, “la gente deve capire che la situazione richiede soluzioni complesse, e gli amministratori devono ascoltare gli avvertimenti che la scienza lancia da decenni”.

La cantante più internazionale del Brasile, Anitta, ha pubblicato un video su Instagram incolpando direttamente il parlamento per aver approvato “leggi che promuovono la deforestazione, i pesticidi e l’invasione delle terre indigene”. “Alle prossime elezioni non votate i negazionisti del clima”, ha chiesto ai suoi 65 milioni di follower. Una dichiarazione forte a cinque mesi dalle elezioni amministrative.

La calamità ha riportato sotto i riflettori l’enorme potere della lobby agricola in Brasile e i tentativi legislativi di eliminare alcune norme ambientali. Il Rio Grande do Sul è la quinta economia del paese e produce il 70 per cento del riso, un alimento onnipresente sulla tavola di qualsiasi brasiliano, insieme ai fagioli. I supermercati hanno razionato le vendite e il governo importerà un milione di tonnellate di riso per evitare che gli scaffali rimangano vuoti e i prezzi s’impennino. Lula ha approfittato della catastrofe per ribadire che i paesi ricchi, che hanno distrutto le loro foreste per industrializzarsi, devono sostenere con fondi e tecnologia il Brasile e gli altri paesi meno ricchi, che invece le hanno preservate.

Sul tetto

Le climatologhe Lima e Unterstell insistono sul fatto che, una volta superata l’emergenza, serviranno politiche di mitigazione e adattamento. Occorre ridurre drasticamente le emissioni per frenare il riscaldamento globale. E questo, sottolineano, “è incompatibile con l’apertura di nuovi progetti petroliferi”, come Lula vuole fare in Amazzonia e come si augura l’azienda statale Petrobras. Bisogna anche costruire infrastrutture in grado di resistere a eventi climatici sempre più estremi: “A Porto Alegre le dighe hanno ceduto perché non era stata fatta manutenzione e nessuno sapeva come far funzionare le pompe dell’acqua”, dice Unterstell.

Migliaia di funzionari, poliziotti, militari e volontari hanno salvato più di 76mila persone e diecimila animali. Come ogni tragedia, anche quella del Rio Grande do Sul ha il suo simbolo: un cavallo di nome Caramelo, rimasto per sei giorni su un tetto di una fattoria sommersa dall’acqua. Dopo essere stato avvistato da un elicottero della tv O Globo, è stato sedato e portato in salvo con un gommone.

Mentre i gauchos pregano perché smetta di piovere, nel nordest del Brasile le persone sperano che arrivi la pioggia. E gli abitanti del centro del paese non si staccano dal ventilatore a causa di un’ondata di caldo con temperature superiori ai 30 gradi, insolite per l’autunno tropicale.◆fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1563 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati