Il cambiamento climatico non minaccia solo l’Europa, ma anche l’Unione europea. Il nord del continente dovrà affrontare alluvioni e incendi, anche se il riscaldamento dovesse rimanere entro gli 1,5 o 2 gradi in più rispetto alla media precedente all’era industriale, i limiti previsti dagli accordi di Parigi. Ma il sud sarà martellato dalla siccità, dal surriscaldamento delle città e dal declino dell’agricoltura, che approfondiranno una delle principali spaccature dell’Unione europea. Sono le conclusioni di un’inchiesta basata su più di cento articoli scientifici, interviste con climatologi e una bozza trapelata del prossimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) delle Nazioni Unite, un documento di 4.200 pagine che contiene la valutazione scientifica più avanzata degli effetti della crisi climatica sul nostro mondo.
La versione preliminare del rapporto dell’Ipcc, che dovrebbe essere pubblicato nel 2022, prevede un secolo di sconvolgimenti climatici, soprattutto nei paesi poveri. Le conclusioni generali dovrebbero essere confermate nel documento finale, ma alcuni numeri e termini potrebbero cambiare quando il rapporto passerà al vaglio dei governi. I principali esperti internazionali di clima avvertono che miliardi di persone sono a rischio di scarsità cronica di acqua e decine di milioni sono minacciate dalla fame, e che le terre vicino all’equatore diventeranno inabitabili per il caldo se non si prendono provvedimenti per difenderci dagli shock climatici e ridurre rapidamente le emissioni di gas serra. Ma solo perché le cose potrebbero essere peggiori altrove non vuol dire che l’Europa sia al sicuro. “L’intera popolazione europea non ha ancora una consapevolezza sufficiente”, dice Piers Foster, uno degli autori del rapporto. “Gli europei non sanno come il cambiamento climatico li colpirà direttamente”. Gli studi più recenti mostrano che ogni parte dell’Europa cambierà, specialmente se non si prendono immediatamente contromisure adeguate, e che questi sconvolgimenti amplificheranno le disparità già esistenti, con profonde conseguenze per il progetto politico continentale.
Forni di cemento
Durante la canicule, l’ondata di caldo del 2003, le città europee arrostirono i loro abitanti. Era l’agosto più caldo da almeno cinquecento anni: temperature di quasi 40 gradi interessarono gran parte del continente per settimane. Si stima che morirono 80mila persone. In tutti gli scenari previsti, estati come quella del 2003 diventeranno terribilmente normali. Secondo le stime di Bruxelles, con 1,5 gradi di riscaldamento un quinto della popolazione dell’Unione europea e del Regno Unito affronterà temperature simili ogni anno. Con tre gradi il dato sale a più di metà della popolazione.
Il calore fa letteralmente uscire di testa. Alcuni ricercatori italiani hanno trovato una forte correlazione tra le emergenze psichiatriche e le temperature. A Mosca i suicidi sono raddoppiati durante l’ondata di caldo del 2010. A Madrid gli episodi di violenza domestica e i femminicidi si moltiplicano quando la temperatura supera i 34 gradi. Le notti torride provocano l’insonnia.
Non ci stiamo rendendo la vita più facile. Una percentuale sempre più alta di europei vive in enormi crogioli di cemento che concentrano il calore. Le città sono spesso 5 o 10 gradi più calde rispetto alle campagne circostanti. Se non si fa qualcosa per ridurre le emissioni globali, le città europee potrebbero riscaldarsi di altri 6-10 gradi. Al sud l’incremento sarà maggiore. A Roma e in altre città mediterranee il calore diventerà così intenso che i tradizionali sistemi architettonici basati sulla ventilazione naturale non funzioneranno più.
Non è un buon momento per fare esperimenti sulla sopportazione del calore. Non solo milioni di persone migrano dalle zone rurali verso città di cemento, ma l’Europa sta anche diventando più vecchia e vulnerabile. A causa dei progressi della medicina e del calo delle nascite gli europei con più di 65 anni dovrebbero superare i 40 milioni entro il 2050, nonostante il calo complessivo della popolazione. Gli anziani hanno più probabilità di morire per stress termico o colpi di calore. I loro organismi sono logorati dal caldo, diventando più esposti all’asma o a malattie cardiovascolari e respiratorie. Ai giorni più caldi corrispondono picchi di ricoveri per problemi legati all’età.
Finora il mondo si è riscaldato di poco più di un grado. Ma nel 2010 il caldo ha ucciso 54mila persone in Russia e in Europa centrale. Otto anni dopo, durante una terribile ondata di caldo che il cambiamento climatico ha reso cinque volte più probabile, le vittime sono state 104mila, il bilancio più alto tra tutte le regioni del mondo in quell’anno. Secondo The Lancet solo in Germania il numero dei decessi dovuti al caldo era pari a due terzi di quello registrato in India, che ha una popolazione 16 volte più grande.
A bassi livelli di riscaldamento, le morti sono concentrate nell’Europa meridionale e centrale. Se l’incremento raggiungerà i 3 gradi, duecento milioni di europei, non solo nel sud ma anche al nord e nel Regno Unito, saranno a rischio elevato di stress termico. Senza rapidi cambiamenti negli ambienti urbani, l’Unione europea stima che il caldo estremo ucciderà 95mila persone all’anno, più di trenta volte la media attuale.
Ovviamente ci sono cose che possiamo fare. La risposta immediata è l’aria condizionata, che però comporta altri problemi. L’uso di energia per raffreddare gli edifici nei paesi mediterranei, che è già un’importante fonte di emissioni, raddoppierà entro il 2035. Nell’Europa meridionale una nuova disuguaglianza del condizionamento si sta creando tra chi può permettersi di sconfiggere il caldo e chi no. L’Europa è destinata a diventare un continente caldo. Anche se i nordeuropei dovranno affrontare aumenti meno significativi, devono cominciare a pensare come i meridionali: gli edifici progettati per trattenere il calore d’inverno fanno la stessa cosa in estate.

Addio al grano
La buona notizia, almeno per una parte degli agricoltori europei, è che il cambiamento climatico creerà dei vincitori. Inverni più caldi, stagioni di crescita più lunghe e più precipitazioni faranno sì che alcune parti d’Europa, soprattutto nel nord, produrranno di più rispetto a oggi. Ma per altre parti del continente un mondo più caldo sarà un disastro. Il cambiamento climatico traccerà una cortina della pioggia attraverso l’Europa. Le latitudini più elevate diventeranno più umide, mentre il sud si prosciugherà. Le siccità saranno più frequenti ed estreme, diffondendosi tra le pianure dell’Europa meridionale e centrale.
A 2 gradi di riscaldamento il 9 per cento della popolazione europea potrebbe ritrovarsi in competizione per riserve idriche insufficienti. Secondo l’Ipcc in Europa meridionale più di un terzo della popolazione avrà meno acqua di quanta gliene serve. Se la temperatura aumenterà di 3 gradi, le regioni europee afflitte dalla siccità passeranno dal 13 al 26 per cento.
Le aree affacciate sul Mediterraneo saranno le più colpite: nei casi più estremi la porzione di territorio regolarmente afflitta da siccità si espanderà dal 28 al 49 per cento. I periodi aridi saranno anche più lunghi: quasi metà di ogni anno, rispetto ai due mesi di oggi. In alcune parti della penisola iberica la siccità potrebbe durare più di sette mesi all’anno.
Il calo delle precipitazioni renderà più difficile coltivare molte colture di base in Europa meridionale. Gli agricoltori vedranno le colture tradizionali fuggire verso nord di fronte all’avanzata del Sahara, che sta già scavalcando il Mediterraneo. A 2 gradi di riscaldamento i biomi agricoli si sposteranno verso nord a una velocità compresa tra i 25 e i 135 chilometri ogni dieci anni. La resa del grano nell’Europa meridionale, dove viene coltivato da migliaia di anni, calerà del 12 per cento, mentre al nord crescerà del 5 per cento. Negli scenari più estremi, la produzione di grano al sud crollerà addirittura della metà. Ma anche a 1,5 gradi sarà quasi impossibile coltivare il mais in gran parte della Spagna, della Francia, dell’Italia e dei Balcani senza ricorrere all’irrigazione. Un giorno i migliori pomodori potrebbero essere quelli tedeschi, una catastrofe culturale per l’Italia.
Gli agricoltori più previdenti stanno cercando di trattenere l’acqua sui loro terreni costruendo piccole dighe o piantando alberi. Le aziende che hanno accesso all’irrigazione resisteranno più a lungo. Ma quando sulle sponde del Mediterraneo la carenza d’acqua diventerà cronica, queste soluzioni non funzioneranno più.
Già oggi in tutto il continente i terreni agricoli vengono abbandonati. Secondo l’Unione europea al sud la crisi climatica è un altro fattore che allontanerà le famiglie dalla terra, forse spingendole verso città sempre più calde. Le comunità rurali e le loro tradizioni stanno morendo. Terreni coltivati per generazioni inselvatichiscono, creando nuovi habitat ma anche riempiendo il territorio di combustibile secco e aumentando il rischio di grandi incendi. Nel 2018 la corte dei conti europea ha stabilito che tre quarti della Spagna sono a rischio di desertificazione. A Cipro il 99 per cento del territorio potrebbe diventare una distesa di sabbia senza vita.
I ricercatori dell’università di Anversa hanno mappato il cambiamento del valore dei terreni da qui alla fine del secolo. La divisione ricalca quella tra i regni cattolici e protestanti, e le conseguenze potrebbero essere altrettanto durature. Nel nord sempre più assolato e piovoso il valore delle terre aumenterà di circa il 9 per cento per ogni grado di temperatura in più. Se le tecniche di coltivazione non saranno adeguate al nuovo clima, in gran parte della Spagna, della Francia meridionale, dell’Italia e della Grecia il valore ristagnerà o calerà nei prossimi ottant’anni. La riduzione di gran lunga più forte sarà in Italia, attualmente uno dei maggiori produttori agricoli europei.

Nel frattempo, fuori dalle zone aride del sud gli agricoltori potrebbero entrare in un’età dell’oro. Man mano che le temperature salgono, in altre parti del mondo un tempo produttive, come il Punjab, il Medio Oriente, il Sahel e l’Asia sudorientale, crescerà sempre meno di tutto. L’offerta globale sarà limitata, provocando un rialzo dei prezzi che offrirà enormi guadagni all’Europa settentrionale. Mentre al sud l’agricoltura appassirà, in Irlanda, Danimarca e Paesi Bassi i coltivatori si riempiranno le tasche.
Acqua e fuoco
Neanche a casa saremo più al sicuro. Il calore, l’aridità e le precipitazioni estreme espanderanno le aree a rischio di alluvioni e incendi, mettendo in pericolo le vite e le proprietà di milioni di persone. L’aria calda trattiene più acqua. Le previsioni suggeriscono che entro la fine del secolo la maggior parte dell’Europa registrerà fino al 35 per cento in più di tempeste estreme, soprattutto al nord. Se il riscaldamento andrà oltre 1,5 gradi, circa cinque milioni di europei saranno colpiti da inondazioni ogni anno invece che una volta al secolo.
Le fogne europee non sono state progettate per il cambiamento climatico. Quando le aree cementificate sono investite da precipitazioni estreme, i sistemi di drenaggio non riescono a smaltirle. Gli edifici, il cemento e l’asfalto sigillano il terreno, lasciando poche vie di fuga all’acqua piovana. Le alluvioni sono particolarmente pericolose per le famiglie più povere, che tendono a vivere nelle aree più esposte dove i prezzi sono più bassi e non sono assicurate. Se il riscaldamento toccherà i 3 gradi entro la fine del secolo, le esondazioni dei fiumi colpiranno quasi mezzo milione di persone all’anno rispetto alle attuali 170mila. I danni potrebbero aumentare di sei volte rispetto ai 7,8 miliardi all’anno di oggi.
Anche l’innalzamento del livello dei mari sta aumentando il rischio di inondazioni gravi e permanenti sulle coste europee, soprattutto per chi vive nelle città costiere olandesi, belghe e tedesche. I costi per i governi saranno enormi, anche se riuscissero ad abbattere le emissioni e a rafforzare le difese. I danni delle inondazioni costiere potrebbero aumentare di dieci volte entro la fine del secolo, avverte l’Ipcc. Nel Mediterraneo il livello delle acque potrebbe salire fino a 1,1 metri entro il 2100, mettendo a rischio 42 milioni di persone e il 37 per cento delle coste. Le inondazioni minacciano anche il patrimonio storico europeo: Ravenna, Venezia e altri 47 siti Unesco si trovano nelle aree che saranno allagate.
Mentre alcune parti d’Europa annegano, altre bruceranno. Nel 2018 gli incendi hanno distrutto 178mila ettari nell’Unione europea, spingendosi fino all’Artico. Con l’aumento delle temperature e l’inaridimento di molte parti d’Europa, gli incendi dureranno di più e si diffonderanno più lontano. L’Europa nordoccidentale non sarà immune, ma anche in questo caso la regione mediterranea è particolarmente a rischio. In Spagna, Francia, Italia, Grecia e Croazia le foreste sono più secche e bruciano più facilmente che nel nord. Nel 2017 gli incendi hanno devastato il Portogallo, uccidendo 64 persone e scatenando una crisi politica.
Gli incendi sono un problema anche per una delle soluzioni climatiche preferite da Bruxelles: è inutile immagazzinare l’anidride carbonica negli alberi se poi vanno in fumo.
Chi salvare e chi no
Per essere un continente così ossessionato dalle sue divisioni, l’Europa ha fatto ben poca attenzione al modo in cui il cambiamento climatico sta aggravando una delle sue più grandi spaccature. L’Ipcc e la Commissione europea avvertono che la crisi climatica approfondirà la disuguaglianza tra nord e sud, la stessa che ha quasi inghiottito l’eurozona nell’ultimo decennio. “Penso che questa sarà la sfida più grande alla coesione dell’Unione europea che abbiamo mai visto”, dice Dara Murphy, ex ministro irlandese degli affari europei. “Ancora più grande della crisi finanziaria del 2008”.

Anche gli analisti della Commissione europea sono preoccupati. Nel 2020 hanno pubblicato un rapporto secondo cui l’impatto economico della crisi climatica sarà molto più grande nel sud che nel nord, soprattutto a causa dei decessi legati al caldo. Secondo il rapporto dell’Ipcc, tra il 2000 e il 2015 l’Europa ha perso trecento miliardi di euro all’anno a causa del cambiamento climatico. A 3 gradi “le perdite economiche per l’Europa saranno diverse volte più grandi” che a 1,5 gradi. Questo avrà l’effetto di “amplificare le attuali disparità economiche tra le regioni europee”.
La produttività del lavoro calerà, soprattutto nel Mediterraneo. A causa del caldo lavorare all’aperto è già difficile e potenzialmente letale. Il 25 giugno Camara Fantamadi, un bracciante agricolo di 27 anni originario del Mali, è svenuto ed è morto mentre tornava a casa in bicicletta dopo aver raccolto pomodori in Puglia. La regione ha reagito ordinando alle aziende di interrompere il lavoro durante le ore più calde dei giorni più caldi.
A differenza delle recessioni cicliche, il deficit causato dal riscaldamento si ripeterà ogni anno. A 2 gradi sarà una realtà nociva che il nord dovrà sopportare. Ma al sud, che ha già problemi a rispettare i limiti imposti da Bruxelles sul debito, sarà un freno permanente alla crescita. Questo “potrebbe diventare un problema strutturale per l’Unione europea”, dice il politologo Desmond Dinan.
Le autorità europee cominciano a rendersi conto che ridurre le emissioni dell’Unione non basterà a salvarla dagli incubi climatici. A febbraio la Commissione europea ha presentato una nuova strategia di adattamento che fornirà gli strumenti per rispondere. Ma “la velocità dell’adattamento non è adeguata a quella del cambiamento climatico”, dice il rapporto dell’Ipcc, aggiungendo che nemmeno lo sforzo più determinato potrebbe prevenirne completamente gli effetti. Tutti gli esperti consultati credono che i nordeuropei, più fortunati, prima o poi saranno chiamati a sostenere i loro boccheggianti vicini meridionali, così come le regioni produttrici di combustibili fossili hanno ricevuto sussidi per aiutare i lavoratori a trovare impieghi meno inquinanti.
Quel momento potrebbe arrivare prima di quanto molti pensano. In Spagna le campagne sono già consumate dal deserto, e la ministra per la transizione ecologica Teresa Ribera ha il compito di frenare l’avanzata delle sabbie. Se l’Europa non investe subito nella protezione delle aree più colpite, dice, rischia uno “scenario da incubo” e “un terribile dibattito politico, in tutto il continente”, su quali posti cercare di salvare e “quali dovremo abbandonare”. “Spero che l’Europa meridionale non sia lasciata al suo destino”, ha aggiunto. ◆ gac
◆ Tra il 3 e il 4 luglio 2021 il peggior incendio della storia di Cipro ha bruciato più di 50 chilometri quadrati di foreste e campi sui monti Troodos, distruggendo decine di abitazioni e uccidendo quattro persone. Il rogo è stato favorito dalla siccità e da un’ondata di caldo che ha portato le temperature oltre i 40 gradi per giorni, ed è stato domato solo grazie agli aerei antincendio inviati da altri paesi europei. Bbc

Gli autori di questo articolo sono Karl Mathiesen, Kalina Oroschakoff, Giovanna Coi e Arnau Busquets Guàrdia.
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Questo articolo è uscito sul numero 1417 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati