Nella polvere è la storia di una coppia londinese che va, piuttosto controvoglia, a una grande festa di tre giorni nel deserto in Marocco, organizzata ogni anno da Dally e Richard, una coppia gay, nella loro sontuosa tenuta. Mentre guidano nella notte, David e Jo litigano. David ha bevuto e quando due ragazzi si affacciano sulla strada, probabilmente con l’intenzione di rubare, David ne investe uno e lo uccide. L’altro si dà alla fuga. Caricano il corpo in macchina e ripartono verso la festa. L’arrivo di un cadavere nel bagagliaio di un’auto getta in subbuglio la servitù e i padroni di casa. La festa va avanti, ma la notizia si diffonde. I padroni di casa prendono in mano la situazione e chiamano la polizia, che è conciliante. I parenti del ragazzo morto lo sono molto meno. Osborne dispiega il suo talento nel creare uno scenario febbrile e spaventoso: banchetti, cocaina, gente che nuota nuda. Questa decadenza suscita la reazione dei marocchini, che invidiano e disprezzano gli occidentali. Ma lo scontro di valori è un tema minore nel libro. Al centro di questa storia macabra ci sono Jo e David. David è un medico dell’alta società di Chelsea che ha perso di recente una causa per negligenza; sta anche perdendo i suoi pazienti, forse perché è alcolizzato. Jo lo ammira sotto molti aspetti, ma comincia a detestarlo perché sta diventando sempre più testardo e pericoloso. La famiglia del morto gli chiede di andare in un remoto avamposto ai margini del Sahara per assistere alla sepoltura e fare espiazione. Richard e Dally sono ansiosi di riprendere la festa. Jo vuole andare con lui, ma David non lo permette. Nel corso di una lunga notte alcolica scoprirà che la sua vita è cambiata. Justin Cartwright, The Guardian
Il romanzo d’esordio di Shannon Pufahl è un libro sul west americano degli anni cinquanta, sul gioco d’azzardo e sull’amore gay. È raccontata con una voce antica ma non nostalgica, uno stile cinematografico che evita i cliché di genere o il sentimentalismo. La storia comincia nel 1956, con i giovani sposi Muriel e Lee appena arrivati a San Diego dal Kansas. Lee spinge Muriel a vendere la casa della madre morta, in modo che possano comprarsi un terreno. Muriel trova i soldi, ma da una fonte diversa: le scommesse sui cavalli. Il fratello di Lee, Julius, arriva da Las Vegas, dove ha vissuto negli ultimi due anni, giocando d’azzardo e guardando i test della bomba atomica nel deserto. Poi andrà a Tijuana in cerca del suo amante. Muriel prova per Julius un’attrazione viscerale ma indefinita. Dopo una prima parte concitata, il romanzo rallenta e si dipana in una specie di montaggio parallelo: due storie d’amore, nessuna delle quali molto romantica. Due passioni gemelle, perché Julius e Muriel sono l’uno l’ombra dell’altra. Sono storie del dopoguerra, ma non affreschi d’epoca. Nel finale, la rivelazione alla quale Muriel e il lettore arrivano non è nuova, ma è senza tempo. Lucie Shelly, The New York Times
Gli eroi sono passati di moda in letteratura. Il mondo disincantato moderno o postmoderno ha bisogno solo di antieroi. Chi vuole raccontare una vita straordinaria in positivo deve inventarsi qualcosa, per esempio scegliere lo stile dell’epica antica, come fa Anne Weber in Annette, un poema eroico. L’autrice padroneggia con sicurezza anche le forme più arcaiche di narrazione. L’eroina del libro è l’avventuriera umanista Anne Beaumanoir, nata nel 1923, combattente della resistenza francese, comunista per un periodo e impegnata contro la guerra d’Algeria. Il ricorso all’epica consente a Weber di mettere una distanza dai fatti narrati e dare al male un volto archetipico. Una delle cose più belle del libro è la visione acuta della storia, che non indulge mai nel pedagogismo politico-morale. Anne vive ora nel villaggio francese di Dieulefit, dove Weber l’ha incontrata e ascoltata e ha trasposto il suo racconto in una canzone meravigliosa.
Joseph Hanimann, Süddeutsche Zeitung