In questa sua terza raccolta di racconti la scrittrice argentina Alejandra Kamiya mostra più che mai le sue origini giapponesi insieme a una forte influenza di autrici sudamericane come Clarice Lispector e Sara Gallardo. E non solo per la sua scrittura ricca d’immagini sensoriali, ma anche per la presenza costante degli animali. La scimmia racconta la storia di una donna che vive con un gorilla, nella Domanda di Rawson due cani riflettono sulla morte ed è impossibile non pensare a Cervantes e al suo Coloquio de los perros (1613). Alcuni racconti sembrano scaturire da un’immagine poetica, come L’airone: Leiva costruisce una casa su una palude così che la donna che ama possa vederla piena di uccelli. Altre storie, come Il bagno, possono essere considerate parte della tradizione argentina del racconto fantastico. Ridurre però questi racconti a un genere preciso non gli renderebbe giustizia. L’unica certezza è lo stile: una voce personale, riflessiva, sia in prima sia in terza persona, un tono poetico che sembra dare struttura al tutto. Clarice Lispector dice che scrivere è difficile “come il modo pulito e naturale con cui è fatto un fiore”. E qualcosa di simile succede nelle storie di Alejandra Kamiya. Sembrano nascere così come sono, senza artifici e in modo organico. Come l’acqua a cui allude il titolo della raccolta, lo sguardo dell’autrice circonda, attraversa e alla fine sgretola la durezza della vita.
Carolina Esses, La Nación
La pazienza dell’acqua sopra ogni pietra
Amelia aveva solo sedici anni quando la sua amica Bossy corse dalla strada per dire che ci sarebbero stati disordini. Erano già cominciati a Derry, le disse. Ma cosa c’entrava Derry con Belfast e con loro? Derry era in un altro paese, un altro pianeta. Bossy non aveva capito niente. Tre anni dopo, tra assalti e sparatorie, il tesoro più prezioso di Amelia sono i suoi proiettili di plastica, 37 in tutto. Gli assalti notturni, le sparatorie e i bombardamenti diventano una cosa comune. Gli amici uccisi vengono ricordati per un minuto, poi la vita torna alla normalità. E Amelia cresce, diventa una giovane donna turbata e anoressica. Il romanzo segue la sua vita, la sua famiglia dissestata e i suoi amici attraverso i troubles nell’Irlanda del Nord. La segue anche nel Regno Unito dove cerca di sfuggire a un passato che si rifiuta di essere seppellito e dove vive un crollo nervoso e una lenta guarigione. Amelia è il romanzo di debutto della scrittrice di Belfast Anna Burns ed è una ricostruzione commovente, precisa ma anche crudelmente divertente della vita nei giorni più neri dell’Irlanda del Nord.
Joanne Ahern, Rte
Il giorno di santo Stefano del 2022 Hanif Kureishi era a Roma con la sua compagna italiana, Isabella. A tavola si è sentito male, è svenuto e si è rotto il collo, diventando tetraplegico. Ha passato il 2023 in ospedali italiani e britannici, punzecchiato e invaso in ogni modo. Dal letto mandava aggiornamenti ai suoi lettori che dettava a Isabella e pubblicava sul suo seguitissimo Substack. Queste sue cronache sono state raccolte, editate e ampliate in un memoir. In frantumi mette subito in chiaro che l’umorismo asciutto e diretto di Kureishi è rimasto intatto: “La testa mi è rimasta incastrata lungo il fianco del letto”, scrive quasi all’inizio, “mi è sembrata una buona occasione per un po’ di contemplazione”. Mentre cerca di fare i conti con la sua nuova realtà prova invidia per i corpi integri degli altri. Spesso sembra che cerchi di far ridere Isabella nel tentativo di essere un po’ meno di peso per lei. “La parte peggiore della giornata è quando, verso sera, Isabella si mette il cappotto e se ne va. Quando la vedo uscire dalla porta so che dovrò sopravvivere alla notte da solo”. Questo piccolo sottotesto alla sua arguzia è straziante. I lettori di Kureishi troveranno In frantumi particolarmente potente; la sua voce unica, il suo senso dell’umorismo, i suoi sforzi di dare un senso alla situazione commuovono. Ora Kureishi è tornato a casa, a Londra, ma il suo mondo è cambiato per sempre. Trentacinque anni fa nel Buddha delle periferie scriveva: “Me ne stavo seduto nel centro di questa vecchia città che amavo… circondato dalla gente che amavo. E mi sentivo felice e triste allo stesso tempo. Pensavo a che caos è stato tutto quanto ma che non tutto sarà sempre così”. Non vedo l’ora di leggere tutto quello che ancora deve scrivere.
Dina Nayeri, The Guardian
Il romanzo si apre in un’ambientazione nostalgica. Nel 1975 Barbara e Tracy, rispettivamente di 12 e 13 anni, sono compagne di campeggio a Camp Emerson, sui monti Adirondack. La loro salda amicizia si interrompe solo quando un’accompagnatrice, una mattina, nota che la branda di Barbara è vuota. La storia si muove rapidamente dal dramma del campeggio alla disperazione della madre di Barbara, Alice. Non era mai stata troppo vicina alla figlia ma la sua sparizione le ricorda la scomparsa in circostanze analoghe del suo primo figlio, Bear, nel 1961. Il dio dei boschi è più di un thriller su un’adolescente persa nei boschi, parla anche di relazioni tra genitori e figli, e tra gente privilegiata e gente che non lo è. La disperazione materna di Alice è descritta in modo accurato e terribilmente realistico. E anche il campeggio in cui si svolge la storia è molto credibile. Moore ci dice che ci sono tanti modi per perderci e che un sentiero potrebbe riportarci a casa.
Kate Tuttle, The New York Times