23 marzo 2018 16:19

Il sito della tv Al Jazeera mette tra virgolette le “elezioni” quando si riferisce al voto egiziano. Il dossier dedicato all’Egitto dal quotidiano panarabo Al Araby titola “Al Sisi contro Al Sisi”. Insomma, per i mezzi d’informazione panarabi non egiziani, non c’è alcun dubbio: le elezioni del 26 marzo sono una farsa.

In Egitto, invece, dove i mezzi d’informazione sono totalmente imbavagliati, l’atmosfera è celebrativa. La prima pagina del quotidiano filogovernativo Al Ahram mostra il presidente Abdel Fattah al Sisi sorridente: “Spero che la storia mi ricorderà come colui che ha lavorato sodo e ha difeso il paese in circostanze difficili”, dice in un’intervista.

La campagna elettorale egiziana, sette anni dopo una rivoluzione che chiedeva pane, dignità e democrazia, si è svolta in assenza dei Fratelli musulmani, ai quali è stato vietato di partecipare alla vita politica.

Il loro candidato Sami Anan è stato arrestato dall’esercito subito dopo l’annuncio della sua candidatura. Khaled Ali, avvocato per i diritti umani che si era presentato nel 2012, è stato condannato a tre mesi di prigione per “offesa alla decenza pubblica” durante una protesta. Ahmed Shafik, ex primo ministro, si è ritirato a causa delle pressioni subite. Il colonnello Ahmed Konsowa è stato condannato a sei anni di prigione dopo l’annuncio della sua candidatura. Mohamed Anwar el Sadat, nipote dello storico presidente egiziano, si è anche lui dovuto ritirare. Rimane un unico candidato a sfidare Al Sisi, colui che gli egiziani chiamano al kombares, la comparsa. All’inizio della campagna sulla sua pagina Facebook come immagine di copertina c’era una foto del presidente Al Sisi, invece di un suo ritratto.

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L’entusiasmo dei mezzi d’informazione governativi non riesce tuttavia a nascondere il fatto che la libertà di espressione sia ai minimi storici. Oltre 500 siti web indipendenti sono tutt’oggi bloccati.

Per il 10 aprile è prevista l’apertura del processo contro la Bbc per notizie false: l’emittente britannica rischia di dover chiudere il suo ufficio del Cairo dopo aver pubblicato l’inchiesta The shadow over Egypt.

Il dossier si occupa delle sparizioni forzate ma anche dei casi di tortura sistematici e degli imprigionamenti avvenuti in Egitto negli ultimi anni, citando i casi di Giulio Regeni e di alcuni giovani attivisti egiziani. L’articolo multimediale cita l’Egyptian commission for rights and freedoms denunciando “almeno 1.500 sparizioni forzate negli ultimi quattro anni. Il coordinatore della campagna contro le sparizioni forzate Mohamed Lotfy spiega anche che le sparizioni sono addirittura diventate una firma del regime di Al Sisi”.

Una di queste persone scomparse è Zubeida Ibrahim: la madre aveva accettato di parlare alla Bbc della sua scomparsa, avvenuta l’8 aprile 2017. Qualche giorno dopo la messa in onda del servizio, alla fine di febbraio 2018, la ragazza è ricomparsa ed è stata invitata in tv dal conduttore filogovernativo Amr Adib e nell’intervista la ragazza ha detto di non essere stata rapita ma di essersi sposata, dichiarando di non sapere niente dell’inchiesta della Bbc. La madre è stata arrestata subito dopo.

La libertà di espressione è a rischio in Egitto anche secondo l’indice della libertà di stampa nel mondo di Reporters sans frontières (Rsf): il paese è sceso al 161° posto sui 180 presi in considerazione. Rsf ricorda anche il caso del fotografo Mahmud Abu Zeid alias Shawkan, in prigione da quattro anni e mezzo e condannato a morte il 4 marzo scorso. Secondo Rsf “chiedere la pena di morte per un fotografo che ha semplicemente documentato una manifestazione dell’opposizione è una punizione di stampo politico, non un atto di giustizia”.

Tutti i semi per una nuova rivoluzione
Intanto, la situazione economica egiziana è sempre più grave. Il prestito di 12 miliardi di dollari del Fondo monetario internazionale, inizialmente apprezzato dagli investitori e dalla comunità finanziaria, “ha portato invece ancora più sofferenza economica per la popolazione, con i prezzi dei generi alimentari alle stelle e un’inflazione sopra il 30 per cento”, spiega il Financial Times. Dopo aver sottolineato che la regione ha il tasso di disoccupazione giovanile e quello di dipendenti pubblici più alti al mondo il quotidiano britannico afferma che “il Medio Oriente sta gettando i semi per una nuova primavera”.

Se le ragioni che hanno spinto la rivoluzione in Egitto sono ancora presenti, vengono rese ancora più critiche dall’incremento delle nascite successivo alla rivoluzione del 2011, dato che la popolazione ha raggiunto i 96 milioni di persone nel 2018. In soli sette anni sono nati undici milioni di egiziani. Si tratta chiaramente di una bomba a orologeria, secondo gli analisti di Bloomberg: questo baby boom “non promette niente di buono al presidente Al Sisi, sicuro di vincere un secondo mandato alle elezioni. Una delle principali spinte della gioventù, quando ha dato il via alla rivolta contro Mubarak, era stata la mancanza di opportunità lavorative. È un problema che persiste: oltre un quarto dei giovani tra i 18 e i 29 anni è senza lavoro, secondo l’agenzia statistica egiziana, e un terzo dei disoccupati ha un diploma universitario”.

Fallimenti diplomatici a cascata
Il bilancio diplomatico di Al Sisi presidente è altrettanto disastroso: Rania al Malky, l’ex caporedattrice del giornale indipendente Daily News Egypt oggi censurato, scrive sul sito Middle East online che la popolarità del presidente è ai suoi minimi storici perché non ha saputo gestire i grandi dossier di politica internazionale: “Dalla cessione delle isole egiziane nel mar Rosso, Tiran e Sanafir, all’Arabia Saudita, alla gestione fallimentare della crisi dell’acqua legata alla costruzione della grande diga sul Nilo in Etiopia, fino all’incapacità di mettere sotto controllo il gruppo Stato islamico nel Sinai”.

Intanto, nella sua ultima intervista prima delle elezioni intitolata “Il presidente e il popolo”, diffusa dal canale filogovernativo Ontveg, Al Sisi passeggia sorridente, in camicia, tra le aiuole del rigoglioso giardino del palazzo presidenziale e arrossisce leggermente ascoltando interviste agli egiziani che lo lodano.

In quello che Al Araby definisce come uno “show comico”, il presidente uscente si è anche rammaricato dell’assenza di rivali: “Avrei voluto avere un rivale contro di me alle elezioni, ma non dipende da me. Dio sa quanto avrei voluto vedere almeno dieci candidati scelti tra i migliori egiziani perché i cittadini possano scegliere. Ma gli egiziani non sono ancora pronti. La cosa più importante ora è che i giornalisti riportino con accuratezza tutte le questioni che riguardano l’Egitto”.

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