06 settembre 2016 10:33

Rodrigo Duterte è sotto pressione dopo l’attentato che ha colpito la “sua” città natale di Davao il 2 settembre, in cui ci sono stati 14 morti e decine di feriti. Si tratta senza dubbio della più grande sfida dal suo arrivo al potere, alla fine di giugno.

Il nuovo inquilino di palazzo Malacanang ha affermato che l’attacco rappresentava un “atto di terrorismo” – subito attribuito dal segretario alla difesa agli islamisti del gruppo Abu Sayyaf, nato nel 1991 da una scissione con il Fronte moro di liberazione nazionale – e ha dichiarato “lo stato di non diritto” (un livello di emergenza appena inferiore alla legge marziale) in tutto il paese.

Questo dispositivo prevede il rafforzamento dei poteri dell’esercito, tra cui la possibilità di effettuare controlli in zone urbane, fare perquisizioni, imporre il coprifuoco e stabilire posti di blocco. Uno scenario che fa temere una forte riduzione delle libertà civili.

Prosegue la guerra totale
Gli specialisti ritengono che la manovra di Duterte potrebbe di fatto offrirgli la possibilità di continuare e ampliare la guerra totale intrapresa contro la criminalità, in particolare contro i narcotrafficanti.

In poco più di due mesi quasi duemila consumatori e spacciatori di droga sono stati uccisi, precisa il quotidiano statunitense Los Angeles Times. Le esecuzioni extragiudiziali si sono moltiplicate, così come la repressione della polizia. Lo stesso Duterte ha avvertito “che ci saranno molti morti finché non saranno cacciati tutti gli spacciatori dalle strade”.

Scrive Federico D. Pascual Jr, sul Philippine Star, che l’attentato del 2 agosto ha cambiato la situazione. Ora sarà più difficile per Barack Obama criticare il presidente filippino sulla situazione dei diritti umani. In ogni caso il presidente statunitense non ne avrà la possibilità perché l’incontro tra i due dirigenti previsto a Vientiane (Laos) in margine al vertice dell’Associazione dei paesi del sudest asiatico (Asean) è stato annullato, dopo che il 5 settembre l’uomo forte di Manila ha insultato Obama, per poi scusarsi in seguito.

Aryeh Neier, uno dei fondatori dell’ong Human rights watch, critica il “regno del terrore” di Duterte, e denuncia un sistema che facilita i regolamenti di conti e che si sottrae impunemente alle normali procedure giudiziarie.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it