20 agosto 2018 10:08

“Nessuno compra mobili durante una crisi”, si lamenta Konstantinos Vourvoulakis. Lui e suo padre vendevano mobili artigianali ma dal momento che i loro clienti avevano sempre meno denaro, hanno dovuto chiudere il negozio nel 2014. Loquace e di carattere solare, l’uomo ha cominciato a guidare un taxi, portando in giro i turisti per Atene e offrendo consigli di viaggio. Ma dubita di poter essere presto in condizioni di permettersi a sua volta una vacanza.

I problemi di debito pubblico della Grecia hanno scatenato una crisi economica durata più della grande depressione negli Stati Uniti. Nel 2009 il nuovo primo ministro aveva ammesso che i dati sul disavanzo di bilancio erano stati sottovalutati per anni, ed erano forse il doppio di quelli dichiarati inizialmente. Le agenzie di rating avevano allora declassato il suo debito. I tassi d’interesse si erano impennati. Nel 2010 il governo si era rivolto all’eurozona e al Fondo monetario internazionale (Fmi) per avere un aiuto. I prestiti erano stati concessi a condizione che la Grecia effettuasse tagli alla spesa e riforme strutturali.

Il 20 agosto 2018 per la Grecia si chiude l’ultimo dei tre pacchetti di salvataggio. Sia i suoi creditori sia il suo governo ritengono che le finanze pubbliche siano migliorate abbastanza da poter nuovamente prendere in prestito denaro dai mercati. La riduzione del debito decisa a giugno dovrebbe contribuire a rendere meno traumatico questo ritorno. La durata di alcuni prestiti è stata prorogata, mentre per altri è stato alleggerito il tasso d’interesse. Un cuscinetto monetario di 24 miliardi di euro, necessario a coprire le esigenze di bilancio della Grecia per quasi due anni, dovrebbe inoltre rassicurare gli investitori.

Un quinto della forza lavoro e due quinti dei giovani sono disoccupati

Ma le finanze pubbliche e l’economia devono ancora fare molta strada prima di ritrovare la normalità. La spesa pubblica è ancora pesantemente limitata. Il governo greco si è posto degli obiettivi fin troppo ambiziosi: un avanzo primario (escludendo cioè il pagamento degli interessi) del 3,5 per cento del pil entro il 2022, un risultato che solo pochi paesi non produttori di petrolio hanno ottenuto negli ultimi trent’anni, e una media del 2,2 per cento entro il 2060. Nei primi anni i creditori monitoreranno i progressi della situazione ogni tre mesi.

Euclid Tsakalotos, il ministro delle finanze, crede che la Grecia raggiungerà tali obiettivi, liberando risorse di bilancio per finanziare il taglio delle tasse e maggiori investimenti e spese sociali.

Ma il peso del debito pubblico della Grecia, il 180 per cento del pil, significa che la fiducia dei creditori nelle finanze pubbliche del paese potrebbe calare in caso di obiettivi mancati, crescita lenta o rapido aumento dei tassi d’interesse. In una relazione del 31 luglio, l’Fmi ha affermato che potrebbe essere necessario un altro alleggerimento del debito.

Dopo anni di contrazione economica, seguiti da stagnazione, l’economia sta di nuovo crescendo. Ma Vourvoulakis e la maggior parte dei suoi concittadini devono ancora sentirne i benefici. In termini reali, il pil e gli investimenti sono molto al di sotto dei picchi precedenti alla crisi. Un quinto della forza lavoro e due quinti dei giovani sono disoccupati.

I greci che hanno la fortuna di avere un lavoro ricevono comunque salari ridotti e pagano tasse più alte che in passato. Centinaia di migliaia di persone, perlopiù giovani e qualificati, hanno lasciato il paese in cerca di una vita migliore.

La crisi ha evidenziato i problemi profondi del modello economico greco, che si era affidato troppo su tassi d’interesse bassi, alimentando sprechi nella spesa pubblica e nell’edilizia, e troppo poco sulle esportazioni. Gli stipendi erano di gran lunga eccessivi rispetto alla produttività, il che ha reso il paese meno competitivo di tanti altri dell’eurozona. La burocrazia statale e i tribunali erano corrotti e inefficienti. La Grecia era un paese da cui investitori stranieri e nuove aziende si tenevano alla larga.

Oggi la situazione sta migliorando, anche se lentamente. Le esportazioni sono cresciute, in parte grazie al raddoppio del numero di turisti che visitano la Grecia (anche se le esportazioni della Spagna e dell’Irlanda, altri due paesi in difficoltà dopo la crisi finanziaria, sono cresciute maggiormente). La competitività è aumentata grazie al calo dei salari nominali, una soluzione dolorosa, ma l’unica possibile all’interno di un’unione monetaria con bassa inflazione.

Tagli controproducenti
Il taglio alle spese deciso dal governo è stato drastico, e secondo molti economisti controproducente. La pressione fiscale è oggi più alta che in buona parte dei paesi dell’Unione europea, rileva Miranda Xafa del Centre for international governance innovation, e sta probabilmente soffocando la crescita.

La soglia dell’esenzione d’imposta è più alta dello stipendio medio dei lavoratori del settore privato, il che significa che le entrate pubbliche dipendono da un piccolo numero di contribuenti. Il tasso marginale per i greci che guadagnano quarantamila euro o più (compresi i contributi previdenziali) è di circa il 70 per cento. Xafa ritiene che l’evasione possa essere in crescita, mentre i lavoratori autonomi non dichiarano i loro guadagni. Su insistenza dei suoi creditori, il governo allargherà la base imponibile nel 2020.

Fare affari in Grecia rimane più difficile che in qualsiasi altro paese europeo

La crescita è ancora deludente. Il pil è cresciuto dell’1,4 per cento nel 2017 e dovrebbe crescere di circa il 2 per cento quest’anno. L’Fmi non è ottimista rispetto al potenziale dell’economia, in parte a causa di una popolazione che invecchia rapidamente.

Il sistema bancario è ancora in difficoltà. Quasi la metà dei prestiti esistenti è in sofferenza e le banche non sono molto propense a offrire nuovi crediti. Si trovano oggi in una posizione migliore per vendere crediti deteriorati, ma per capire il valore delle garanzie e quali aziende indebitate sopravviveranno servirà tempo. Anche se gli obiettivi delle banche saranno centrati entro la fine del 2019, i crediti inesigibili rappresenteranno comunque un terzo della contabilità totale.

Un futuro incerto
Il principale ostacolo per la crescita, tuttavia, è che in Grecia fare affari rimane più difficile che in qualsiasi altro paese europeo. Si pensi alla privatizzazione da otto miliardi di dollari di Hellenikon, la sede del vecchio aeroporto di Atene. L’affitto dei terreni era stato messo a bando nel 2011 e in seguito ottenuto da un consorzio d’investitori greci, cinesi e degli Emirati Arabi Uniti, che lo vogliono trasformare in villaggio vacanze. Ma i ritardi, le discussioni sui termini dell’accordo e le indagini da parte delle autorità ambientali hanno fatto sì che i vincitori dell’appalto debbano ancora cominciare i lavori.

Nel programma di Tsakalotos c’è il miglioramento sia del contesto imprenditoriale sia della giustizia e dell’amministrazione pubblica. Ma le voci critiche dubitano dell’effettiva volontà di riforma del suo governo. La Grecia è salita rapidamente nella classifica Doing business (fare affari) della Banca mondiale fino al 2015, fino a quando un governo di coalizione guidato da Syrizia, un partito della sinistra radicale, è salito al potere. Il governo ha fatto marcia indietro su alcune delle riforme dei suoi predecessori, come la liberalizzazione di ordini professionali altamente regolamentati e la limitazione della contrattazione salariale collettiva. L’Fmi teme che l’aumento dei salari possa essere nuovamente scollegato dagli aumenti di produttività.

Con le elezioni generali previste nell’ottobre 2019, il governo potrebbe rinunciare ad altre riforme al fine di ottenere il sostegno di alcuni gruppi d’interesse. Gli economisti sospettano che sia i mercati finanziari sia i creditori siano interessati soprattutto agli obiettivi fiscali perseguiti da Tsakalotos. Questo potrebbe far passare in secondo piano alcune riforme importanti e politicamente difficili.

La strada è ancora in salita. “Abbiamo una grande storia”, dice Vourvoulakis mentre guida la sua auto nella città vecchia di Atene. “Ma non so se avremo un buon futuro”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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