26 luglio 2018 13:19

Dice il dizionario: “Populismo, atteggiamento politico di esaltazione velleitaria e demagogica dei ceti più poveri”. Oggi il termine populista viene associato a leader politici molto diversi tra loro, come il turco Recep Tayyip Erdoğan, lo statunitense Donald Trump, l’austriaco Sebastian Kurz, l’ungherese Viktor Orbán, il polacco Jarosław Kaczyński, il britannico Nigel Farage, lo spagnolo Pablo Iglesias, l’italiano Luigi Di Maio, il ceco Miloš Zeman, il messicano Andrés Manuel Lopez Obrador, il venezuelano Nicolás Maduro, i francesi Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon.

Nel 1979 il filosofo argentino Ernesto Laclau, uno dei più attenti studiosi del fenomeno, scriveva: “‘Populismo’ è un concetto tanto ricorrente quanto inafferrabile. Se pochi termini sono stati così largamente usati nell’analisi politica contemporanea, è anche vero che pochi sono stati definiti con minore precisione. In modo intuitivo sappiamo a cosa ci riferiamo quando chiamiamo populista un movimento o un’ideologia, ma troviamo molto difficile tradurre la nostra intuizione in concetti. Questo ha portato a una sorta di pratica ad hoc: il termine continua a essere usato in modo allusivo, e qualsiasi tentativo di verificarne l’esatto contenuto è ormai abbandonato”.

D’altra parte Sylvie Kaufmann su Le Monde osserva che “la difficoltà nel definire con esattezza il populismo riflette la nostra difficoltà nel definire questi regimi apparentemente democratici, ma con tendenze autoritarie, che emergono ovunque”. Però la proliferazione dell’uso generico del termine è dannosa perché, scrive Roger Cohen sul New York Times, “è cruciale distinguere tra un nazionalista xenofobo e un elettore moderato che ha scelto Trump pensando che fosse un’opzione migliore di altre”. Anziché usare la parola “populista”, quasi sempre possiamo trovare un modo più preciso per definire un partito, un movimento o un leader politico.

Questa rubrica è uscita il 27 luglio 2018 nel numero 1266 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati

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