22 dicembre 2017 11:48

“Ora ai vertici del partito ci sono tre gangster, uno sospettato di esserlo e un presidente ostaggio di una leadership poco trasparente”, ha dichiarato Zackie Achmat, attivista della lotta all’aids e candidato al premio Nobel, quando ha saputo che Cyril Ramaphosa, ex rappresentante sindacale e imprenditore, è stato eletto presidente dell’African national congress (Anc), il partito al potere in Sudafrica.

È difficile accogliere con gioia l’ennesima vittoria di un miliardario, ma le persone di buon senso in Sudafrica sono quantomeno sollevate: poteva andare peggio. Poteva vincere Nkosazana Dlamini-Zuma (Ndz), ex moglie del presidente Jacob Zuma, un uomo profondamente corrotto che ha permesso, o addirittura incoraggiato, la diffusione della corruzione tra le alte cariche dell’Anc.

Non ci sono prove che Ndz sia a sua volta corrotta, ma molti erano convinti che se avesse ottenuto il potere avrebbe protetto l’ex marito, il quale ha d’altronde buone possibilità di andare in carcere alla fine del suo mandato presidenziale. Zuma deve rispondere di 18 accuse di corruzione, truffa, crimine organizzato, riciclaggio di denaro sporco ed evasione fiscale a proposito di 783 pagamenti.

Vittoria di margine
A ottobre la corte suprema d’appello ha ripristinato le accuse, che Zuma aveva cercato di far annullare o di rinviare indefinitamente grazie ai suoi poteri presidenziali. Il suo ex consigliere finanziario, che è finito in prigione per aver effettuato questi pagamenti, sostiene che testimonierà contro Zuma se necessario.

Zuma contava di essere protetto da Ndz (i due hanno quattro figli insieme). La candidatura della donna è stata sostenuta anche da buona parte degli esponenti di spicco dell’Anc, che hanno contribuito ad affossare l’economia insieme a lui. Ma Cyril Ramaphosa si è mostrato più scaltro e il 19 dicembre è stato proclamato presidente dell’Anc con un margine ridotto.

Se Ramaphosa diventerà presidente, ci sono buone possibilità che la corruzione e le violazioni della legge diminuiscano

Non è ancora a capo del Sudafrica, ma negli ultimi 23 anni, dopo la fine dell’apartheid, il presidente dell’Anc è sempre diventato il presidente del paese. Zuma può teoricamente rimanere al potere fino alle prossime elezioni, previste per il 2019, ma l’ultima volta che il presidente dell’Anc è cambiato, il partito ha immediatamente “richiamato” il capo dello stato in carica in quel momento (Thabo Mbeki) e dato l’incarico all’uomo nuovo (Zuma). Stavolta potrebbe succedere la stessa cosa. Oppure no.

Se Ramaphosa diventerà presto presidente, ci sono buone possibilità che la corruzione e la costante trasgressione della legge finiscano presto, o perlomeno diminuiscano. I miliardari non hanno bisogno di rubare. E se gli investitori locali e stranieri si convinceranno che Ramaphosa non è solo onesto, ma anche competente, allora forse l’economia farà registrare più dell’attuale crescita dell’1 per cento all’anno.

Lo stato in ostaggio
Sarebbe una bella cosa, perché è da tempo che il Sudafrica non conosce una vera crescita economica. Ma è tutt’altro che garantito, perché Ramaphosa è ostacolato dai “top six” del Comitato esecutivo nazionale (Nec), una sorta di consiglio dei ministri, almeno metà dei quali sono vicini a Nkosazana Dlamini-Zuma.

Due di loro, David Mabuza, oggi vicepresidente del Nec, e Ace Magashule, attuale segretario generale, sono indubbiamente dei “filibustieri”. Per lungo tempo hanno amministrato due grandi province, Mpumalanga e Free State. Sono entrambi inspiegabilmente ricchi. E hanno entrambi rapporti stretti con i Gupta, una famiglia d’immigrati indiani molto ricca che ha una tale influenza su Zuma da essere stati accusati di tenere in ostaggio lo stato.

Mabuza è stato anche accusato di essere a capo di una milizia privata, e tra i suoi oppositori nella provincia di Mpumalanga il tasso di mortalità è insolitamente alto. Anche i detrattori di Magashule hanno avuto qualche problema di salute. I due uomini sono di sicuro parte del problema, non la soluzione.

È meno chiaro chi sia il terzo “gangster” citato da Zackie Achmat, si potrebbe pensare a Jessie Duarte, oggi vice di Magashule. Anche lei ha rapporti stretti con i Gupta e non perde occasione per difendere Zuma. Tutti e tre sono stati eletti nel corso dell’ultimo congresso. Ramaphosa non può licenziarli e quindi ha le mani legate o, quantomeno, uno spazio d’azione molto limitato.

Zuma avrà quindi probabilmente a disposizione un altro anno per pensare al suo tornaconto e indebolire l’apparato giudiziario e la polizia prima delle elezioni previste per il 2019. Anche dopo tale data c’è da chiedersi fino a che punto Ramaphosa potrà spingersi a fare pulizia all’interno del partito.

Due baluardi contro il caos
La grande ironia della cosa è che Ramaphosa è più ricco di tutti questi ladri messi insieme. Se avesse potuto semplicemente dargli tutto il denaro che hanno rubato (circa quaranta milioni di dollari nel caso di Zuma, una cifra più bassa per la maggior parte degli altri), Ramaphosa sarebbe ancora ricco e molti di questi delinquenti avrebbero svolto il compito per il quale sono stati eletti.

Alcuni di loro avrebbero potuto addirittura fare bene il loro lavoro e in tal caso il Sudafrica sarebbe oggi un luogo diverso. Ma se Ramaphosa lo avesse fatto, avrebbe probabilmente finito per cercare di corrompere i tribunali e i mezzi d’informazione straordinariamente liberi del paese, e oggi queste due istituzioni sono l’unico baluardo per evitare che il paese sprofondi nel caos.

Come mi ha detto qualche anno fa un vecchio amico, da sempre nell’Anc, “se mi avessero detto nel 1984 (nel punto più oscuro dell’apartheid) quel che sarebbe diventato oggi il Sudafrica, sarei stato felicissimo. Se me l’avessero detto nel 1994 (l’anno delle prime elezioni libere del paese), mi sarei disperato”. Il giusto atteggiamento, naturalmente, sarebbe una sana via di mezzo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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