23 giugno 2017 10:08

Negli ultimi anni diversi autori hanno cercato di entrare, sull’esempio del titolo del libro dello scrittore francese Michel Eltchaninoff, nella testa di Vladimir Putin. Il presidente russo – al potere nel suo paese da 17 anni e quindi uno degli uomini forti di un’epoca pericolosa – ossessiona, affascina, terrorizza o seduce in tutto il mondo, sfruttando la propria immagine e una comunicazione accuratamente controllata.

Ecco un altro tentativo di avvicinarsi il più possibile a Putin, fatto questa volta da un importante regista statunitense, Oliver Stone, che già in passato si era occupato di Kennedy (con Jfk), di Nixon, di Fidel Castro e così via. Ma questa volta non si tratta di un biopic o di una docufiction, ma di una lunga intervista di quattro ore filmata in più occasioni tra il 2015 e il 2017, montata e messa in scena dallo stesso Stone con un Putin più che disponibile.

Negli Stati Uniti la messa in onda della serie sulla rete Showtime è stata accompagnata da inevitabili polemiche. Stone è stato accusato, non ingiustamente, di un’eccessiva condiscendenza nei confronti del presidente russo e di un approccio che non lascia molto spazio al rigore storico, poiché le dichiarazioni di Putin non sono sottoposte né a un fact checking né a un contraddittorio, neanche da parte del regista che ribatte solo di rado.

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Stone è troppo visceralmente contrario al sistema americano, all”imperialismo” in tutte le sue varianti dell’ultimo mezzo secolo (analizzate con cura nei suoi film), per non essere contento – infatti ride spesso accanto a Putin – nel sentire la requisitoria spesso implacabile del suo ospite. Inoltre i mezzi d’informazione statunitensi hanno rivelato che suo figlio Sean lavora per Russia Today, uno dei giornali di propaganda del Cremlino.

La stessa polemica scoppierà probabilmente in Francia quando, il 26 giugno, la rete pubblica France3 trasmetterà la serie di quattro episodi accompagnata – scelta felice – da un dibattito di esperti, o quando sarà trasmessa in Italia, in data ancora da stabilire.

Ma al di là o nonostante il suo regista, questo film rimane un documento eccezionale – a condizione di utilizzare alcune precauzioni. Quest’opera infatti offre la possibilità non solo di entrare nella “testa di Putin”, quanto meno per quello che ci vuole dire, ma anche di analizzare il personaggio, raramente visto così, dietro le spesse mura del Cremlino.

Si tratta anche di un’occasione per riflettere sulla situazione di tensione e di conflitto nella quale si trova il mondo, 25 anni dopo le speranze suscitate dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine dell’Unione Sovietica.

La visione di Putin dell’ultimo ventennio è quella di un impegno non mantenuto da parte degli americani

Per quattro ore Putin, l’ex agente del Kgb in Germania dell’Est diventato incredibilmente presidente di una Russia nel baratro dopo il pietoso intermezzo di Boris Eltsin, ci fornisce la sua versione – la sua “narrazione” secondo l’espressione di moda – della nuova guerra fredda, che si discosta molto da quello che si è sentito nei corridoi della Nato o presso i vicini diretti della “grande Russia”.

Forse lo si può considerare paranoico – del resto come può una spia di professione non esserlo un po’? – ma la sua visione dell’ultimo ventennio è quella di un impegno non mantenuto da parte degli americani di trattare la Russia come un partner e non come un avversario.

Il “peccato ereditario” è stato la promessa fatta, secondo lui, da George Bush padre a Mikhail Gorbaciov dopo la caduta del muro di Berlino e durante l’accordo internazionale sulla riunificazione della Germania nel 1990: la Nato non si sarebbe estesa al di là della frontiera orientale della Germania riunificata.

Conosciamo il seguito, poiché l’insieme dei paesi dell’Europa centrale e orientale, così come i tre paesi baltici, l’Albania e diverse ex repubbliche jugoslave (il Montenegro solo dal mese scorso) sono oggi membri dell’Alleanza atlantica e probabilmente anche la Georgia e l’Ucraina lo sarebbero stati se non ci fosse stato il rifiuto della Francia e della Germania nel 2008.

L’esistenza di questa promessa è negata da parte occidentale e Putin riconosce nel film di Stone che si trattava solo di un impegno verbale. È interessante vedere il disprezzo ironico sul volto di Putin quando dice che Gorbaciov avrebbe dovuto esigere un impegno scritto: “Gorbaciov si è accontentato di parlare con gli americani e ha considerato che questo bastasse. Ma le cose non funzionano così”.

Alla fine della guerra fredda Václav Havel, diventato presidente di quella che era ancora la Cecoslovacchia, aveva proposto la dissoluzione contemporanea delle due alleanze militari, la Nato e il Patto di Varsavia, uno slancio pacifista coerente con l’entusiasmo di quel 1989.

Ma Havel non è stato ascoltato e la crudele realtà strategica per Putin è che il Patto di Varsavia è stato sciolto, ma la Nato no. “Bisogna chiedersi a cosa serve la Nato”, dice Putin. “Ho l’impressione che per giustificare la sua esistenza la Nato abbia bisogno di un nemico e così sta continuamente cercandone uno o delle provocazioni per poter designarne uno (…). Oggi la Nato è solo uno strumento della politica estera americana. Gli Stati Uniti non hanno alleati, solo vassalli”.

La lenta erosione della fiducia ha portato direttamente alla crisi e poi alla guerra in Ucraina. Anche qui la versione di Putin contraddice quella degli occidentali e degli stessi ucraini, quanto meno quelli di Kiev. Putin, incoraggiato da uno Stone che non ha bisogno di essere convinto, descrive gli eventi di Maidan nel 2014 come un “colpo di stato”, mentre l’occidente parlava di rivoluzione allo scopo di allontanare l’Ucraina dalla Russia.

I piccoli uomini verdi in Crimea
Ovviamente Putin non ha torto a ritenere che gli americani hanno agito contro lui a Kiev, basta ricordarsi della vicesegretaria di stato americana Victoria Nuland, nota neoconservatrice, e del suo “fuck the Eu” (’fanculo l’Europa) del 2014, in una conversazione intercettata dai servizi russi e subito messa online.

L’Unione europea aveva valutato con cura tutte le implicazioni strategiche del suo accordo di associazione economico con l’Ucraina nel 2013? Accordo che avrebbe accelerato la crisi con Mosca. Inoltre l’Europa, conoscendo la situazione economica dell’Ucraina, aveva i mezzi per realizzare le sue ambizioni?

In ogni modo la vendetta di Putin è arrivata senza esitare, con l’annessione della Crimea che non è stata affatto quella favola che Putin racconta a Stone, ma è stata possibile grazie soprattutto all’intervento dei “piccoli uomini verdi”, inviati nella provincia molto prima del referendum sull’annessione alla Russia organizzato una volta ottenuto il controllo militare della regione.

La tappa successiva è stato la rivolta del Donbass, l’insieme delle regioni russofone dell’Ucraina orientale, che hanno fatto fino a oggi circa 10mila morti e creato una pericolosa situazione di stallo diplomatico.

Putin fornisce una delle chiavi della crisi quando ricorda i 25 milioni di russi diventati “stranieri” dall’oggi al domani con la dissoluzione dell’Unione Sovietica in sedici stati indipendenti nel 1991, mentre fino a quel momento erano cittadini di uno stesso paese. Il signore del Cremlino è il loro protettore, come si vede in Moldova, in Georgia o in Ucraina, e questa è una delle ragioni della grande diffidenza dei tre stati baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) – membri dell’Ue e della Nato – nei confronti di questa Russia disinibita.

Questa conversazione molto dettagliata di Putin con Stone sull’Europa orientale, sulla Siria o sulla minaccia di annientamento nucleare in caso di conflitto, permette di chiedersi come uscire dalla situazione di scontro di questa nuova guerra fredda.

Tentativi di dialogo
Dopo almeno un decennio di erosione della fiducia e di crisi a ripetizione, c’è probabilmente l’opportunità di invertire la tendenza. L’equilibrio diplomatico mondiale è in pieno fermento, con un’America contraddittoria, un’Europa che cerca di ritrovare coerenza e unità nonostante la Brexit e infine delle minacce comuni come il jihadismo e la necessità di stabilizzare i confini dell’Europa.

Il nuovo presidente francese Emmanuel Macron ha cercato a Versailles di mettersi in evidenza come uno dei nuovi protagonisti della scena internazionale procedendo a un delicato esercizio con Putin: al tempo stesso tendergli la mano ed esprimergli in modo chiaro e netto alcuni profondi elementi di disaccordo. Da allora i due paesi si sono riparlati, in particolare sulla Siria che può diventare un argomento tanto di scontro quanto di cooperazione. Questo dialogo deve assolutamente continuare.

Le quattro ore di intervista con Putin hanno il vantaggio di mostrare che non bisogna farsi troppe illusioni su un dirigente determinato a riportare il suo paese al rango di grande potenza rispettata, nonostante la sua decadenza e le sue debolezze. Ma anche che non bisogna considerare la Russia come un “nemico” perpetuo, malgrado Putin e forse proprio grazie a lui.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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