21 giugno 2017 18:20

Il fotografo statunitense Ryan McGinley segue e innova con stile personale una tradizione segnata da Nan Goldin, realizzando una serie di scatti autobiografici nel Lower Manhattan di fine anni novanta.

McGinley, i suoi amici e i suoi amanti sono al centro del suo progetto più importante finora, The kids were alright. Parafrasando una canzone degli Who, il fotografo, nato nel 1977, documenta senza filtri la sua vita tra il 1998 e il 2003, alternando momenti di noia e piacere, eccesso e introspezione. Visti uno dopo l’altro, questi momenti restituiscono un quadro emotivo profondo, in grado di catturare quell’energia vitale unica e tipica dei vent’anni.

The kids were alright nasce ai tempi della Parsons design school, nel Greenwich village di New York, dove McGinley studia fotografia. Ogni notte scatta una ventina di rullini: “In quel periodo era molto importante documentare la mia vita perché nel mio giro ero l’unico a farlo”. Nel 1999 ha abbastanza materiale per concepire un libro e autoprodurlo: lo manda a musei, galleristi e fotografi. A soli 26 anni si ritrova così ad avere una personale al Whitney museum.

Il progetto è esposto fino al 20 agosto al museo di arte contemporanea di Denver e include anche 1.500 polaroid, mai mostrate finora. Riguardando a distanza di tanti anni queste foto, McGinley afferma di avere provato dolore e catarsi allo stesso tempo: “Sono orgoglioso di queste foto, soprattutto quando sono crude. La mia vita era proprio così”. Per il fotografo The kids were alright ha rappresentato l’inizio di un processo di liberazione, con cui ha potuto rivelare al mondo ciò che è veramente, senza dovere usare le parole.

La mostra è accompagnata anche da un catalogo pubblicato da Rizzoli Usa.

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