16 novembre 2017 12:15

“Promuovere il carbone in un vertice sul clima è come promuovere il tabacco a un convegno sul cancro”, ha dichiarato Michael Bloomberg, l’ex sindaco di New York. Ma è esattamente quello che ha fatto Donald J.Trump. Ha inviato una squadra di diplomatici e responsabili energetici statunitensi all’annuale vertice mondiale sul clima, che si tiene quest’anno a Bonn, in Germania, per esaltare le virtù del carbone “pulito”.

Bloomberg, che è oggi inviato speciale dell’Onu per i cambiamenti climatici, ha ragione. Il pubblico, durante la presentazione degli Stati Uniti, era infastidito nei confronti degli oratori, e li ha anche presi in giro.

Un tempo le persone preoccupate del riscaldamento climatico si chiedevano se il governo degli Stati Uniti avrebbe osato sfidare la lobby dei combustibili fossili in patria. Oggi i negazionisti dei cambiamenti climatici sono al governo negli Stati Uniti. Ma forse la cosa non è così grave.

Sostegno senza precedenti
I motivi sono vari. Uno è che l’utilizzo di carbone su scala globale è in netto declino, dato che il costo delle energie rinnovabili è crollato. Semplicemente, non è più competitivo, e quest’anno la Cina e l’India hanno cancellato i progetti di costruzione di centinaia di nuove centrali a carbone. Anche negli Stati Uniti, la percentuale di elettricità proveniente dal carbone è crollata dal 51 per cento del 2008 ad appena il 31 per cento dello scorso anno, e le aziende statunitensi del carbone stanno fallendo.

Il secondo motivo è che la decisione di Trump di fare uscire gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi del 2015 non ha avuto alcun impatto sul piano internazionale. Il timore che altri paesi ritrattassero il loro impegno si è dimostrato infondato, e gli Stati Uniti sono letteralmente l’unico paese al mondo a non aver sottoscritto il trattato.

In realtà Christiana Figueres, ex capo negoziatrice per il clima delle Nazioni Unite, aveva addirittura ringraziato Trump per il suo tentativo di mandare a rotoli l’accordo di Parigi. “La cosa ha generato un’ondata di sostegno senza precedenti a favore del trattato”, ha dichiarato. “Ha rafforzato il sostegno mondiale alle azioni a favore del clima, e per questo possiamo essergli grati”.

Trump, infine, è stato relegato ai margini da un nuovo patto, annunciato a Bonn il 13 novembre, che unirà i 15 stati degli Stati Uniti impegnati in una decisa azione climatica insieme ai governi del Canada e del Messico, in un’alleanza continentale che s’impegnerà a eliminare progressivamente l’energia a carbone, rafforzando quella pulita e i trasporti ecologici. Buona parte del contributo ai tagli di emissioni che Trump aveva ritrattato saranno compensati da queste iniziative statunitensi promosse al livello statale.

Sistema in accelerazione
Ci sono altri motivi d’inquietudine, naturalmente. Ci sono sempre. Dopo tre anni in cui, pur rimanendo ad alti livelli, le emissioni di anidride carbonica erano rimaste stabili, adesso hanno ripreso a salire. E si è verificato un inspiegabile aumento di emissioni di metano nei tropici, non causato dall’uso di combustibili fossili, il che ha spinto alcuni scienziati a sospettare che uno dei temuti processi di retroazione abbia cominciato a manifestarsi.

Gli effetti di retroazione sono lo spauracchio che aleggia su tutta la questione dei cambiamenti climatici. È possibile fare tutto come si deve, far progressivamente calare le emissioni, essere avviati alla fine del riscaldamento climatico appena prima che la temperatura globale raggiunga i due gradi centigradi d’aumento, e poi all’improvviso tutto il sistema mondiale si rivela comunque in accelerazione. Il riscaldamento già provocato dagli esseri umani potrebbe aver innestato un’altra fonte naturale di riscaldamento che non possiamo arrestare.

Continuiamo a vivere pericolosamente, e non è chiaro se potremo bloccare le emissioni in tempo

Il consenso tra gli scienziati è che il rischio di scatenare processi di retroazione si amplifichi con l’avvicinarsi dell’aumento di due gradi centigradi della temperatura globale, ed è questo il motivo per il quale tutti i governi hanno promesso di non superare mai tale soglia. Ma potrebbe esserci qualche innesco sconosciuto nel sistema in grado di scatenare un riscaldamento fuori controllo anche a una temperatura media globale molto più bassa: tutto questo processo, come dicono gli scienziati, è “non lineare”.

Continuiamo quindi a vivere pericolosamente, e non è ancora chiaro se saremo in grado di bloccare le emissioni abbastanza velocemente da arrestare in tempo l’aumento delle temperature. Ma ci sono alcuni importanti cambiamenti in vista che faciliteranno il taglio delle emissioni: i sostituti della carne, la carne creata in laboratorio, i veicoli elettrici e un ulteriore e rapido calo del prezzo di energie rinnovabili come quelle solare ed eolica.

Oggi inoltre esiste una unità d’intenti che prima mancava: la lunga battaglia tra paesi ricchi e poveri su chi fosse il responsabile del problema e su chi dovesse pagare è perlopiù alle spalle. E sebbene il presidente cinese Xi non si sia presentato di persona a Bonn, la Cina sta decisamente prendendo le redini degli sforzi.

Nessuno a Bonn è felice della defezione degli Stati Uniti nella battaglia contro i cambiamenti climatici, ma il panico è rientrato. Il vertice di Bonn si è concentrato sulle regole per valutare il rispetto delle promesse fatte dai vari paesi sui tagli delle emissioni. Ha dovuto anche immaginare come organizzare le revisioni quinquennali a cui i paesi dovranno adeguarsi progressivamente per applicare obiettivi di riduzione sempre più ambiziosi.

Alla chiusura del vertice, il 17 novembre, non ci saranno nuovi ed eccitanti annunci o svolte, ma non è di questo che abbiamo bisogno. La grande svolta è stata quella di Parigi nel 2015, e l’obiettivo adesso è rispettare le promesse. Fin qui, tutto bene.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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