17 marzo 2017 14:24

Vedendo Loving di Jeff Nichols mi è tornata in mente Radici, una miniserie televisiva statunitense del 1978. Una saga interessante, che a tratti assume i toni del polpettone, che parte dalla deportazione dall’Africa del capostipite di una famiglia di neri americani. Anche il film di Nichols lavora su certe situazioni e caratterizzazioni un po’ di maniera, senza però mai cadere nell’ovvietà più sfacciata.

Loving racconta la storia vera di una coppia multirazziale, lui bianco e lei nera, che decide di sposarsi nel 1958, cioè nel pieno della battaglia per i diritti civili degli afroamericani, in Virginia, stato segregazionista che all’epoca vietava i matrimoni misti. C’è una ricerca della prossimità dell’umano, che non è realmente da feuilleton ed è tutto il contrario di quanto un certo cinema odierno e forse ancora di più alcune serie televisive, soprattutto angloamericane, mettono in pratica. Non ci sono effetti facili e nemmeno un eccesso di situazioni commoventi del pur preferibile Radici.

C’è una costante sospensione, una dimensione intima, qualcosa di pudico e trattenuto nel film di Nichols. Le prime due sequenze sono quasi paradigmatiche del tono sul quale l’intero film è incentrato e che ne fa praticamente la sua cifra stilistica.

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La lotta contro il razzismo
Nell’oscurità della notte, nell’intimità di un focolare, una (futura) moglie annuncia al (futuro) marito di essere incinta. Poche parole, delicate, sussurrate. Segue una sequenza diurna, dove l’uomo partecipa a una corsa di macchine insieme alla rumorosa comunità nera. Per un altro genere di film, probabilmente il regista avrebbe scelto questa sequenza come inizio, dove si enuncia d’un solo colpo la comunità rappresentata, i suoi ambienti, con ritmo e forza.

Nichols invece, che si conferma un talento forse non rivoluzionario ma intelligente del cinema statunitense (consigliamo la visione dei film precedenti del cineasta, portati in Italia da Movies Inspired), sceglie questa sequenza bisbigliata per aprire il film. Enuncia la posta in ballo, un figlio frutto di un amore interrazziale consapevole, come il tema portante dell’intero film.

Un tono trattenuto e sospeso che è quasi il rovescio dell’odio bianco, più o meno esplicitamente suprematista, che pare invece sempre pieno di frustrazioni. E proprio il protagonista, Richard Loving, un cognome che è tutto un programma e che si trova messo nella situazione dei neri, sembra l’opposto del bianco intriso di livore del profondo sud (anche se va rilevato che siamo in Virginia, stato limitrofo a Washington D.C., e non in Louisiana o Alabama), per il suo comportamento schivo, vagamente remissivo, mentre invece sarà Mildred, la solare, dolce ma combattiva moglie, a esser davvero risoluta nel fare la battaglia legale fino alla corte suprema, che pronuncerà una sentenza storica, destinata a fare giurisprudenza per tutti gli altri stati.

Otto anni di battaglie, di minacce, di arresti, dove le famiglie possono essere spezzate, e che è utile ricordare nell’era di Trump e Salvini

Otto anni di battaglie, di minacce, di arresti, dove le famiglie possono essere spezzate, e che è utile ricordare nell’era di Trump e Salvini, che vogliono le deportazioni come soluzione inumana a problemi complessi. Gli stereotipi dei caratteri razziali sono in qualche modo rovesciati: il bianco Richard ha un’impostazione antisociale e non crede alla giustizia del sistema, Mildred invece fa pensare a una giovane bianca liberal, impegnata nei diritti civili.

“Laggiù a Central Point non distinguete il sopra dal sotto, è tutto un miscuglio. Un po’ Cherokee o Rappahannock, un po’ negri, un po’ bianchi. Il sangue non sa di che colore è. Sei solo nato nel posto sbagliato, tutto qui. La legge di dio ha fatto il passero passero, e il pettirosso pettirosso. C’è un motivo”, dice il capo della polizia della cittadina a un contrito e umiliato Richard, bianco di famiglia umile (lo vediamo fare l’agricoltore, il carpentiere), il cui padre “lavorava per un negro” e trasportava legname, intimandogli di non vederla più, pena un nuovo arresto con lunga detenzione.

Poco dopo Richard esce dal commissariato e guarda sullo sfondo le macchine della polizia, che sembrano una minaccia incombente. In sottofondo una piccola musica, un motivo ricorrente che percorrerà l’intero film. Il regista limita infatti al minimo i motivi musicali rock, un genere del quale avrebbe potuto fare incetta, e ripete invece insistentemente questo motivo pervasivo ma insieme intimo e sommesso, in sospensione perenne tra una possibile potenziale serenità e un potenziale, e ben più concreto, sentimento di minaccia, di catastrofe, che sembra sempre sul punto di arrivare.

La storia sullo sfondo
Nichols eccelle nelle inquadrature ampie, in panoramiche dalle pendenze naturali leggermente oblique, nel filmare sterminate piantagioni dal verde intenso e sensuale, in una luce avvolgente e livida che il regista non abbandonerà quasi mai, nemmeno nella parte del trasferimento della famiglia a Washington. Quasi a voler usare questa sorta di estate umida perenne come contrappunto alle numerose sequenze notturne, di angoscia, di paura, di domande inquiete. Una sorta di contrapposizione, anche qui sommessa, tra l’oscurità e la luce.

Gran parte del film è fatto di sequenze brevi, laconiche e sospese, di dialoghi secchi, asciutti, con una recitazione intima, sommessa. Per questo ne consigliamo fortemente la visione in lingua originale. Fanno eccezione sostanzialmente le scene con gli avvocati che aiutano gratuitamente i neri, dietro i quali c’è il movimento dei diritti civili, i bianchi liberal, l’allora ministro della giustizia Robert Kennedy, che darà loro un aiuto discreto ma determinante nel metterli in contatto con i giovani legali.

Ma tutto è incentrato su di loro, questa coppia è il perno: la marcia al Lincoln Memorial di Martin Luther King, l’assassinio di John Kennedy a Dallas, l’escalation del Vietnam, sono lasciati fuori campo, accennati o ignorati, per lasciare sempre al centro dell’obiettivo queste due persone che sognavano di edificare un piccolo grande simbolo di amore interrazziale. Una casetta tra le piantagioni.

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