20 febbraio 2017 18:02

La madre di S, un ragazzino di 12 anni, ha risposto urlando all’avvocato mandato dal ministero palestinese per i prigionieri: “Come può pensare che io paghi 5.000 shekel (1.250 euro) di multa? Perché dobbiamo finanziare l’occupazione?”.

L’avvocato ha dovuto rinegoziare l’accordo con il procuratore militare israeliano: invece del rilascio immediato con una multa astronomica, ha ottenuto 17 giorni di prigione con una multa di 500 shekel (125 euro). Il ragazzino ha lanciato veramente i sassi? Il documento dell’accusa dice di sì, ma non cita né il luogo né l’ora dell’episodio e non ci sono testimoni, a parte il poliziotto che ha interrogato S, che ha negato. Rifiutare l’accordo, però, avrebbe significato restare in prigione per un periodo più lungo. Quindi era meglio dichiararsi colpevole. Per il giudice militare israeliano è tutto normale. Un ragazzino palestinese è colpevole per definizione e merita di andare in prigione.

Sono andata a trovare la famiglia di S a Bir Zeit prima della scarcerazione. Sono andata con loro al checkpoint, che si trova a 800 metri dalla prigione. S è stato rilasciato la sera. Suo padre, suo fratello e altri parenti aspettavano dalla mattina. Poi mi sono unita a un corteo di automobili che ha percorso le strade di Ramallah suonando il clacson per festeggiare. Questa accoglienza è riservata a tutti i prigionieri, ma stavolta l’entusiasmo era maggiore perché si trattava di un ragazzino confuso, strappato alla sua famiglia da un despota senza cuore.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è stata pubblicata il 17 febbraio 2017 a pagina 106 di Internazionale con il titolo “Presunto colpevole”. Compra questo numero| Abbonati

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