08 novembre 2016 19:14

Dopo un anno trascorso nel Regno Unito, sono tornato negli Stati Uniti per seguire le elezioni presidenziali da una piccola città dell’Indiana, portando con me l’esperienza della Brexit. Il 24 giugno molti britannici si sono svegliati con l’impressione di vivere in un paese diverso. Il giorno prima il paese aveva scelto di uscire dall’Unione europea, e in quel momento è sembrato che le politiche della paura, dell’isolamento e della xenofobia avessero assestato un colpo devastante e duraturo alla politica britannica. Ci sono molte lezioni che possiamo trarre dal referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Europa. Per le elezioni statunitensi, voglio elencarne tre.

La prima riguarda gli elettori: non bisogna lasciare che i sondaggi determinino il nostro voto. Chi vuole che vinca Hillary Clinton dovrebbe votare per lei. Chi preferisce Jill Stein, del partito dei verdi, dovrebbe votare per Stein. È sbagliato scegliere un candidato per controbilanciare un risultato che non è ancora stato ottenuto ma che molti danno già per scontato. Non è scontato. Lo dimostra il voto sulla Brexit, che ha colto di sorpresa sondaggisti, scommettitori, speculatori e commentatori. In questo momento i sondaggi dicono che Clinton è favorita. Potrebbero avere ragione, ma la politica statunitense è in una fase estremamente instabile, quindi potrebbero anche sbagliarsi, e quando avremo la nostra risposta sarà troppo tardi per cambiare le cose.

Seconda lezione: il fatto che il messaggero sia folle non significa che il messaggio non contenga delle verità. Prima del referendum sulla Brexit i politici di sinistra hanno ridicolizzato le persone favorevoli all’uscita definendole ignoranti e intolleranti. Alcune lo erano, ma non è per questo che hanno votato contro l’Unione. Il paese ha dovuto aspettare il referendum per accorgersi delle comunità colpite dalla globalizzazione. Se avessero vinto quelli favorevoli a rimanere in Europa, le persone che erano state dimenticate sarebbero ancora dimenticate.

Lontani dalla realtà
Lo stesso discorso vale per gli Stati Uniti: se Hillary Clinton vincerà, non dobbiamo dimenticare i temi che hanno reso credibile la candidatura di Donald Trump. A Muncie, in Indiana, dove ho trascorso gran parte della campagna elettorale, i grandi stabilimenti manifatturieri hanno chiuso dopo l’approvazione del Nafta, l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada, e un terzo della popolazione si è ritrovato povero. Anche se la base di Trump non è particolarmente povera, buona parte del paese vive nella disperazione. E non è difficile capire perché.

Negli ultimi quarant’anni sono aumentati tutti i prezzi, tranne quello della manodopera. La disuguaglianza è cresciuta e la mobilità sociale si è ridotta. La strategia iniziale di Trump, basata sulla conquista delle città della cintura industriale in Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, non ha funzionato dal punto di vista elettorale, ma il candidato ha comunque individuato una faglia politica che non sparirà con un’eventuale vittoria di Clinton. Se questi problemi non saranno affrontati, in futuro un populista di destra meno stravagante e più efficace di Trump potrebbe avere successo.

Questo ci porta alla terza lezione. Trump sbaglia su molte cose, ma ha ragione quando dice che i mezzi d’informazione e la classe politica hanno perso il contatto con i cittadini. In vista del voto sulla Brexit, i leader della campagna per rimanere in Europa hanno preferito ridicolizzare l’avversario invece di affrontarlo. Hanno deriso non solo i leader del fronte opposto ma anche i loro sostenitori. Non si può convincere una persona che sta bene quando non sta bene affatto. Da Tony Blair a David Cameron, una serie di personaggi che fino al giorno prima avevano attaccato la classe operaia in tanti modi diversi ha improvvisamente cercato di convincerla che solo loro potevano salvarla. Il popolo britannico, naturalmente, non ci ha creduto.

Allo stesso modo, gli abitanti di Muncie sanno bene che alcune delle cose peggiori arrivate da Washington – come la deregolamentazione finanziaria e la guerra in Iraq – erano iniziative sostenute da entrambi i partiti con l’appoggio dei mezzi d’informazione.

La Brexit e le elezioni statunitensi sono diverse, ma hanno in comune la nostalgia nazionalista, la xenofobia

È per questo che alle primarie la contea di Delaware, dove si trova Muncie, ha votato per Trump e per Bernie Sanders. Quando i democratici sottolineano che i dirigenti repubblicani hanno deciso di mollare Trump, non capiscono che stanno rafforzando la tesi del candidato: se l’establishment, che non ha fatto nulla per voi, mi odia, vuol dire che sto facendo qualcosa di buono.

La Brexit e le elezioni statunitensi sono diverse, ma hanno dei punti in comune, come la nostalgia nazionalista, la xenofobia, la scollatura politica e le conseguenti rimostranze di classe. A Muncie ho sentito spesso i sostenitori di Trump dire che vogliono semplicemente “dare uno scossone”.

Questo senso di urgenza non sparirà in caso di vittoria di Clinton, così come la permanenza del Regno Unito nell’Unione europea non avrebbe dimostrato che la società britannica è in buona salute.

Il 24 giugno i britannici non si sono svegliati in un paese diverso. Era solo il paese che avevano smesso di riconoscere. Una sconfitta di Trump, a prescindere dalle proporzioni, non dev’essere confusa con un’accettazione dello status quo. Anche se gli Stati Uniti non sono ancora precipitati nell’abisso che ha inghiottito il Regno Unito, non significa che non si stiano avvicinando pericolosamente all’orlo del baratro.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato su The Nation.

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