23 agosto 2016 16:16

La psicoanalisi freudiana è di gran moda in Argentina. Nel paese si registra il più alto numero di psicologi pro capite e la psicoanalisi è un’opzione di cura standard per i bambini. Non stupisce quindi che anche nelle carceri i detenuti abbiano la loro dose di psicoanalisi freudiana una volta a settimana.

Almeno questo è ciò che succede in un carcere di Buenos Aires, in cui la psicologa e ricercatrice Alicia Iacuzzi dirige un programma da trent’anni. Ci sono altri servizi di salute mentale per detenuti con un approccio più lacaniano, basati cioè sul lavoro dello psicanalista e psichiatra francese Jacques Lacan, ma, secondo Iacuzzi, Sigmund Freud fornisce le linee guida più appropriate per la terapia in carcere.

“Lacan scrive che l’inconscio è strutturato come il linguaggio”, spiega. “Ma molti dei problemi che riscontro qui in carcere sono prelinguistici e la teoria lacaniana non basta a spiegarli”. Se le terapie cognitive o comportamentali possono modificare il modo in cui un paziente agisce, la psicoanalisi freudiana, che sonda l’inconscio a caccia di emozioni nascoste, cerca di focalizzarsi su problemi più profondi.

La maggior parte dei detenuti ha sofferto di trascuratezza emotiva e molti mostrano segnali di personalità borderline

Iacuzzi si assicura che durante la terapia non siano presenti guardie carcerarie, in modo tale da non far sentire vulnerabili i detenuti, con i quali sostiene di non aver mai avuto problemi.

“Le persone che stanno in carcere sono state trascurate per tutta la vita. Perciò il fatto di avere all’improvviso qualcuno che le ascolti, che dia loro uno spazio per parlare, le fa sentire importanti come nessuno ha mai fatto prima, né la famiglia né la società”.

La maggior parte dei detenuti con cui lavora hanno sofferto di trascuratezza emotiva e molti mostrano segnali di personalità borderline.

“La trascuratezza emotiva e l’abbandono lasciano dei segni sulla psiche”, prosegue. “Molti pazienti piangono durante la terapia. Credo che sia dovuto anche al fatto che sono una donna. Anche se questo può rappresentare uno svantaggio sotto altri punti di vista, in questo contesto fa emergere un’attitudine materna che li aiuta a immergersi in quei dolori infantili per i quali non sono stati capaci di piangere”.

Progetto pilota

La paternità è un altro grosso problema per molti detenuti, aggiunge Iacuzzi. “Molti detenuti lasciano i figli e le famiglie senza un padre”, dice. Grazie alla terapia hanno la possibilità di affrontare la paternità e i modi di assumere il loro ruolo anche dal carcere.

Nel carcere maschile Servicio penitenciario 16 ci sono duecento detenuti. Qui Iacuzzi fa terapia individuale e di gruppo. Comincia tutti i giorni alle 7 del mattino con sedute di terapia di gruppo per le guardie carcerarie, avviate dopo che un agente aveva protestato osservando che se ai detenuti veniva offerta la psicoanalisi, allora la voleva anche lui. La terapia di gruppo per i detenuti dura un’ora, dalle 8 alle 9, dopo di che Iacuzzi e i suoi colleghi svolgono le sedute individuali per il resto della giornata. La psicologa afferma che l’80 per cento circa dei detenuti richiede la terapia.

Vorrebbe offrire a ciascuno di loro una seduta settimanale, ma a volte la sua agenda è talmente piena che può prendere appuntamenti solo ogni due settimane. Ci sono anche gruppi di ascolto aperti a Natale e a Capodanno.

Iacuzzi sostiene di impegnarsi molto per sviluppare un rapporto personale con i detenuti, e questo potrebbe spiegare in parte la domanda.

“Ricevo chiunque entri in prigione, perciò riesco ad avere un colloquio con loro e a conoscerli fin dall’inizio”, dice. “E non mi limito a stare nel mio ufficio. Vado in giro e parlo ai detenuti, alle guardie, ai medici. Ecco perché tutti sono interessati a venirmi a trovare nel mio ufficio”.

Un approccio più umano non guasta. “Cerchiamo di guardare oltre i reati commessi dai detenuti e di focalizzarci sulla loro parte sana”, dice.

Secondo Iacuzzi il suo programma è molto meno burocratico rispetto ai servizi di salute mentale presenti nella maggior parte delle carceri argentine e il governo vuole usare il suo modello come progetto pilota per estenderlo ad altre carceri di Buenos Aires.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito su Quartz.

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