Paola Muraro archiviava su computer privati, anziché nell’azienda per cui ha lavorato per dodici anni (dal 2004 a giugno 2016), i dati fondamentali sugli impianti dei rifiuti di Roma, ora sotto inchiesta della Procura. Dati decisivi per valutare la regolarità del funzionamento di quegli impianti, il rispetto delle autorizzazioni pubbliche, l’eventuale commissione di reati. Quando i consulenti indipendenti nominati dal nuovo management dell’Ama nel 2015 hanno ripetutamente cercato quei dati negli uffici dell’azienda, hanno trovato solo carte disordinate, fogli mancanti, interi faldoni assenti e fogli A4 bisunti e dispersi. E peggio andava negli impianti: c’erano i documenti di un mese non quelli dei due successivi, in un altro mese mancavano dieci giorni, e così via. Solo dopo insistenze la Muraro li ha messi a disposizione per mail.

È quanto emerge da una serie di documenti interni dell’Ama e dalle testimonianze dei protagonisti di questa vicenda. Perché il possesso di quell’archivio era così importante? In quei dati - campionamenti, analisi, qualità dei rifiuti in ingresso e in uscita degli impianti Ama di Rocca Cencia e Salaria - c’è tutta la storia di cos’è successo nella partita dei rifiuti a Roma negli ultimi dodici anni, su cui è in gioco la tenuta della giunta Raggi, di cui la Muraro è assessora all’ambiente.

I fatti risalgono alla primavera del 2015. Il nuovo direttore generale Alessandro Filippi constata che la gestione dei due impianti Ama è fuori controllo. Nel frattempo l’indagine della Procura si approfondisce. Per l’Ama nomina due supertecnici, Giuseppe Mininni (dirigente del Cnr) e Paolo Ghezzi (responsabile scientifico del Master in Gestione e Controllo dell’Ambiente del Sant’Anna di Pisa) sia per fare chiarezza all’interno dell’azienda, sia per predisporre i documenti a fini giudiziari. I due esperti operano una «due diligence» a tutto campo, chiedono conto delle disfunzioni alla Muraro (responsabile delle autorizzazioni e del controllo degli impianti) e ai capi degli stabilimenti, relazionano allarmati con cadenza settimanale ai vertici aziendali. Va avanti così per più di un anno.

I due esperti evidenziano quattro falle nel settore di cui si occupava la Muraro. Uno: gli impianti sono stati tenuti per anni in condizioni di funzionamento pessime, dunque sottoutilizzati. Due: fino all’aprile 2015 – quando arrivano i nuovi tecnici - non si fanno controlli sui rifiuti in ingresso e dunque non si garantisce l’assenza di scarti pericolosi, che gli impianti Ama non possono assolutamente trattare. Tre: i controlli sui rifiuti in uscita sono rari e approssimativi, dunque c’è poca chiarezza sui rifiuti particolarmente pericolosi. Quattro: i depuratori dei percolati (i reflui prodotti dalle discariche di rifiuti urbani) sono fuori dall’autorizzazione.

Ci sono poi due rilievi dei consulenti indipendenti che riguardano il rapporto tra Ama e gli operatori di mercato, in danno dell’azienda. Dai due impianti escono pochi scarti combustibili (da inviare agli inceneritori) e tanti da discarica. I secondi hanno costi di smaltimento più alti perché non garantiscono alcun recupero energetico. Inoltre, scrive Mininni dopo un sopralluogo, «in via Salaria si era ricavata la sensazione di un impianto che avrebbe cessato di operare a fine anno. (…) Cosa che a me appare irragionevole, considerando la criticità del trattamento dei rifiuti indifferenziati a Roma. (…) Il gestore privato, ovviamente, ha tutto l’interesse a dimostrare che il soggetto pubblico non è capace». A Roma l’imprenditore privato che ha impianti analoghi e alternativi a quelli pubblici è Manlio Cerroni. E nel blitz in Ama del 25 luglio la Muraro intimava al presidente dimissionario Fortini di portare i rifiuti proprio lì.

Nell’audizione dell’assessora in Commissione parlamentare ecomafie - il 5 settembre, assieme al sindaco Virginia Raggi - le sarà chiesto conto anche di questa vicenda. Non in termini penali, ma di responsabilità gestionale: chi e come controllava quegli impianti? Perché i dati non erano raccolti in modo ordinato, digitalizzati, resi tracciabili alle autorità di controllo, e dunque depositati in azienda? Perché le disfunzioni furono segnalate solo dopo l’arrivo del nuovo management e dei consulenti indipendenti? E chi ne ha tratto vantaggio, dentro e fuori l’Ama?

I commenti dei lettori