27 maggio 2016 18:42

Con il discorso di Ratisbona del 2006, Benedetto XVI si era creato molti nemici nel mondo musulmano alludendo all’islam come a una religione nella quale si trovano cose “cattive e disumane”. In seguito, il suo appello alla protezione dei cristiani in Egitto – dopo l’attentato del 1 gennaio 2011 contro una chiesa copta ad Alessandria – era stato visto dall’Egitto come un’ingerenza nella politica nazionale: l’università di Al Azhar del Cairo, punto di riferimento dell’islam sunnita, aveva sospeso i rapporti con le istituzioni cattoliche.

All’epoca, i musulmani si erano indignati per il fatto che Ratzinger parlasse di islam con tanta superficialità e avevano deciso di sottolineare i numerosi errori storici e teologici. Trentotto studiosi musulmani di venti paesi diversi gli avevano riposto con una lunga lettera pubblicata dalla rivista giordana Islamica Magazine, sottolineando innanzitutto il bisogno di tolleranza e rispetto reciproco e puntualizzando certi termini utilizzati erroneamente dal capo della chiesa cattolica, come per esempio la parola jihad:

Vorremmo sottolineare il fatto che ‘guerra santa’ è un termine che non esiste nella lingua religiosa islamica. Jihad, deve essere ribadito, significa lotta, sforzo, e in particolare lotta in direzione di Dio. Questa lotta può prendere molte forme, incluso l’uso della forza. Tuttavia, se il jihad può essere sacro nel senso di un ideale sacro, non è necessariamente una guerra.

In un’intervista, il caporedattore del mensile aggiungeva che “l’islam ha difficoltà a far arrivare il suo messaggio. L’immagine dell’islam in occidente è veicolata dai gruppi terroristici (…). Quando invece 500 autorevoli voci musulmane rendono pubblica una decisione religiosa che rifiuta in blocco la violenza contro i civili, non ottengono nessuna copertura mediatica”.

Fin dai primi tempi del suo insediamento, papa Francesco invece non ha fatto nemmeno un passo falso mediatico verso i musulmani, al contrario. È subito diventato il “cocco” della stampa e dei social network arabi: l’account Pontifex in arabo ha 210mila follower.

Le immagini scattate a Pasqua che lo ritraggono inginocchiato davanti a un gruppo di migranti, anche musulmani, mentre lava loro i piedi, hanno fatto il giro del mondo arabo e musulmano, accompagnate da un entusiasmo raramente raggiunto da un capo della chiesa cattolica.

Un influente blogger saudita esclamava esterrefatto su Twitter: “Il papa lava i piedi di musulmani e dice che siamo tutti fratelli!”.

Durante la sua visita a Istanbul nel 2014, il papa aveva sottolineato in diverse parti del suo discorso che il Corano è un libro di pace, ed era stato ripreso da molti commentatori musulmani. Il sito musulmano Oumma ricordava anche un suo discorso del 2013 dove si presentava come “costruttore di ponti, in modo particolare con l’islam”. Più recentemente, la stampa ha sottolineato l’importanza simbolica di aver portato a Roma tre famiglie musulmane dopo la sua visita a Lesbo.

L’incontro con Al Tayeb

In questo contesto, la visita dell’imam di Al Azhar Ahmed al Tayeb è stata accolta con enfasi: il quotidiano giordano Al Ghad ne parla come di un incontro storico e Al Manar, organo ufficiale di Hezbollah in Libano, se ne rallegra aggiungendo anche che si tratta di “un incontro particolarmente importante dopo dieci anni di gelo diplomatico”.

Il quotidiano libanese An Nahar apprezza in particolare l’umiltà di Francesco verso la questione dell’interpretazione, che può essere sbagliata anche nelle fede cattolica. Il giornale riprende le parole del papa al quotidiano cattolico francese La Croix:
“Non credo che oggi ci sia paura dell’islam in sé, ma del gruppo Stato islamico e della sua guerra di conquista, tratta in parte dall’islam. L’idea di conquista è inerente all’anima dell’islam, è vero. Ma si potrebbe interpretare, con la stessa idea di conquista, la conclusione del vangelo di Matteo, dove Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni”.

Dal canto suo, Ahmed al Tayeb, nominato da Hosni Mubarak capo dell’università islamica nel 2010, non è proprio un liberale: non ha sostenuto la rivoluzione egiziana, ma ha invece appoggiato il golpe militare del presidente Abdel Fattah al Sisi. Ha represso in più momenti l’opposizione degli studenti vicini ai fratelli musulmani. Per lui, però, quest’incontro va ben al di là delle questioni nazionali.

Per Tayeb l’obiettivo è chiaramente quello di provare a cambiare l’immagine dell’islam nel mondo grazie all’appoggio di altri leader religiosi che hanno, invece, un impatto mediatico positivo: nel comunicato stampa dell’università di Al Azhar pubblicato sul sito di Al Arabyia, Al Tayeb spiegava alla vigilia del suo viaggio a Roma: “Il mondo intero aspetta quest’incontro per inviare un messaggio di pace capace di bloccare la strada ai predicatori della violenza, del terrorismo e dell’estremismo”.

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