30 novembre 2015 11:26

Qualche tempo fa Nino, Cracanici e altri tre ragazzi hanno – come dire – preso in prestito le scarpe da ginnastica in dotazione alla palestra del centro per bambini di strada dove lavoro, a Bucarest. L’anno scorso ne avevo comprate una sessantina di paia. La maggior parte dei ragazzi non ne aveva.

Non è la prima volta che succede. Più o meno ogni due mesi sparisce qualcosa: scarpe, magliette, palloni da calcio. Ogni tanto le cose spuntano fuori dopo lunghe discussioni, altre volte no. Nel corso degli anni ho avuto modo di lavorare con ragazzi poveri e poverissimi che provenivano da ambienti molto degradati, così ho imparato ad avere pazienza e a fare il possibile per aiutarli senza giudicarli.

Ormai ho imparato a conoscere la gente del quartiere di Ferentari, a Bucarest, dove si trova il centro. E loro si sono abituati a me. Non è stato facile, soprattutto all’inizio: per loro ero un individuo sospetto. Ma la percezione che avevano di me è andata lentamente migliorando: sono passato da informatore di polizia a volontario di ong che si arricchisce approfittando della povertà.

Poi sono diventato il pazzo che litiga con i furfanti di quartiere per convincerli a mandare i figli a scuola, fino a meritarmi appellativi come “Signor professore”, “Signor Valeriu” oppure “Zio Valeriu”. Quest’ultima mi sembra la migliore tra le onorificenze che ho ricevuto finora.

Trascorro la domenica mattina al centro, aiutando i ragazzi a fare i compiti. Facciamo esercizi. E poi leggiamo

Dopo il furto ho ricevuto, a distanza di poche ore, due telefonate quasi identiche dalle madri di due dei ragazzi che avevano preso le scarpe dalla palestra. Erano arrabbiatissime: avevano saputo cos’era successo da altri bambini. Entrambe crescono i figli da sole perché i mariti sono in carcere. Una di loro ha anche precedenti penali.

Le due donne erano decise a prendere a botte i figli, che si erano giustificati dicendo che le scarpe gliele avevo date io – cosa plausibile perché già successa in passato. Ma loro erano certe che i figli le avessero rubate. Ho dovuto raccontargli che i ragazzi avevano detto la verità, pregandole di non punirli.

In generale trascorro la domenica mattina al centro, aiutando i ragazzi a fare i compiti. Facciamo esercizi usando i tablet e i telefonini. E poi leggiamo. Spesso vengono ad aiutarci amici, conoscenti, volontari e, ultimamente, anche altri ragazzi del quartiere. I progressi che fanno sono sorprendenti: ai test scolastici di matematica quasi tutti ottengono ottimi risultati. Dario, uno di loro, ha fatto progressi eccezionali: agli esami di fine anno è stato il secondo della sua classe.

Pochi giorni dopo il furto, davanti all’entrata del centro ho incontrato i ragazzi che erano venuti per riconsegnare le scarpe prese in prestito. L’episodio si è concluso con pianti e scuse e con l’applicazione, da parte mia, di una punizione sportiva: cento piegamenti. Ho recuperato le scarpe e adesso sono convinto che in futuro i ragazzi non prenderanno mai più nulla “in prestito” e che si impegneranno in prima persona affinché i nuovi arrivati facciano lo stesso. In passato ha funzionato.

Due volte è capitato che ad alcuni bambini siano spariti i telefoni cellulari. Sono riuscito a convincere chi li aveva presi a restituirli, spiegandogli che, in quanto unico adulto, in prigione ci sarei andato solo io. Ha funzionato entrambe le volte.

Da adolescente e da giovane adulto mi sono sentito discriminato e amareggiato. Adesso mi rendo conto che ero un po’ viziato

Mio nonno si chiamava Pulei, ed era figlio di Țîțîna. Geta, mia zia, dice di aver ereditato da Țîțîna il seno abbondante che attirava lo sguardo degli uomini, a tal punto che una volta, da ragazzo, mi è capitato di vedere un signore che si era perso nella contemplazione della zia andare a sbattere contro un palo. Mio nonno e mia nonna hanno vissuto in una catapecchia.

Anche io, come loro, sono cresciuto povero. Non avevo nemmeno il talento di Geta per affascinare le persone. Ero un po’ troppo scuro per i gusti della maggioranza, avevo un nonno zingaro e un padre alcolista. Per tanto tempo ho pensato che nemmeno Bond, James Bond, sarebbe potuto uscire da una situazione come la mia.

Da adolescente e da giovane adulto mi sono sentito discriminato e amareggiato. Adesso che sono vicino ai 45 anni mi rendo conto che in realtà ero un po’ viziato.

Non abbastanza romeno

Da un lato è vero che un gentilissimo vicino una volta è andato dai miei datori di lavori per informarli che ero zingaro. Ed è anche vero che ho avuto due professori idioti che mi hanno tormentato per il fatto di non essere abbastanza romeno; che ho perso alcune opportunità di lavoro perché la percezione dei rom è molto negativa; che sono stato offeso da diverse dichiarazioni pubbliche o private fatte da persone più o meno intelligenti; che una volta, assistendo a una partita di calcio allo stadio, a causa dei cori razzisti della curva mio figlio si era convinto che ci avrebbero potuto linciare.

È innegabile: in Romania non è facile essere zingari e in tutta Europa il razzismo contro i rom è sistematico.

D’altro canto, è anche vero che i miei datori di lavoro hanno cacciato a suon di ingiurie il mio gentilissimo vicino e che mi hanno trattato sempre come uno di famiglia. Ho conosciuto anche professori molto in gamba che mi hanno aiutato, ho avuto opportunità importanti che ho ben usato. Ed è vero che gli insulti mi hanno spronato a sforzarmi di più e a diventare migliore. Inoltre ho diversi cari amici, funzionari del mondo del calcio e giocatori, che mi hanno aiutato e sostenuto nella lotta per eliminare il razzismo dagli stadi della Romania. E la maggior parte delle persone che hanno influito sul mio percorso, persone a cui voglio bene, non sono rom.

Qualche mese fa, mentre eravamo in macchina per andare a pranzo a casa mia, Denisa, una delle ragazzine del centro, all’improvviso ha detto: “Signor Valeriu, meno male che non siamo zingari!”. A quel punto Totonel, un altro bambino, e mio figlio hanno risposto a voce alta che invece eravamo zingari. Alex, un ragazzino biondo e con gli occhi azzurri, si è subito affrettato a dirmi: “Signor Valeriu, io da grande voglio diventare zingaro come lei”.

Intorno a me ho la fortuna di avere gente in gamba. Così come Alex desidera diventare zingaro, anche io desidero diventare come questi ragazzi. Romeni o rom non importa. Quello che conta è che bambini come loro cambiano in meglio le vite delle persone che gli stanno accanto, e spingono anche me a fare altrettanto. Quando sono io ad aver torto, continuano a starmi accanto e non mi abbandonano. E se è necessario mi fanno anche fare i piegamenti.

(Traduzione di Mihaela Topala)

Questo articolo è stato pubblicato la prima volta su Dilema Veche. Clicca qui per vedere l’originale.

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