16 novembre 2015 10:13

Come sempre, dopo un attacco terroristico contro l’occidente, la giusta domanda da porsi anche nel caso di Parigi è: quali erano gli obiettivi strategici degli attentati? Per farlo occorre dapprima accettare che i terroristi abbiano delle strategie, poi diventa facile immaginare le ragioni che stanno dietro agli attentati. Risulta inoltre chiaro che tali ragioni sono mutate.

Gli attentati dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti seguivano una strategia terroristica classica: cercare di spingere il governo preso di mira a reagire in una maniera spropositata che alla fine avrebbe fatto gli interessi dei terroristi. L’obiettivo di Al Qaeda era fregare gli Stati Uniti, spingendoli a invadere dei paesi musulmani.

Da Osama bin Laden ad Abu Bakr al Baghdadi

Al Qaeda era un’organizzazione rivoluzionaria che aveva l’obiettivo di rovesciare i governi arabi e a prendere il potere nei loro paesi per poi trasformarli in base alla sua ideologia estremista. Il problema era che i movimenti islamisti faticavano ad avere un sostegno popolare nel mondo arabo, e senza un sostegno di massa è difficile fare una rivoluzione.

L’innovazione introdotta da Osama bin Laden è stata quella di spostare la mira dai governi arabi a quelli occidentali, nella speranza di spingere questi a lanciare delle invasioni che avrebbero radicalizzato molti arabi, gettandoli tra le braccia degli islamisti. Le sue speranze si sono concretizzare con l’invasione dell’Iraq nel 2003.

Non servono più delle rivoluzioni popolari. La strategia fondamentale oggi è semplicemente la conquista

Dopo che le truppe occidentali sono entrate in Iraq, c’è stato un netto calo degli attentati terroristici nei paesi occidentali. Al Qaeda voleva che le truppe occidentali rimanessero in Medio Oriente e che le popolazioni locali si radicalizzassero. Quindi non aveva senso lanciare una campagna terroristica che poteva causare il ritiro delle truppe occidentali.

La resistenza irachena è cresciuta rapidamente, attirando combattenti islamisti da tanti stati arabi. Il gruppo originariamente noto come “Al Qaeda in Iraq” ha cambiato nome varie volte, diventando “Stato islamico in Iraq” nel 2006, quindi “Stato islamico in Iraq e Siria” (o più semplicemente Isis) nel 2013, e infine semplicemente “Stato islamico” nel 2014. Ma i componenti principali e gli obiettivi a lungo termine sono rimasti gli stessi nel corso degli anni.

L’uomo che oggi si definisce “califfo” dello Stato Islamico, Abu Bakr al Baghdadi, ha inizialmente aderito ad “Al Qaeda in Iraq” e ha cominciato a combattere le forze d’occupazione statunitensi in Iraq nel 2004. Nel corso del tempo, tuttavia, la strategia è cambiata e il gruppo Stato islamico è diventato così forte da conquistare ampi territori di Iraq e Siria che oggi formano il cosiddetto Stato islamico. Non servivano più delle rivoluzioni popolari. La strategia fondamentale oggi è semplicemente la conquista.

Stando così le cose, perché il gruppo Stato islamico e Al Qaeda continuano ad attaccare obiettivi occidentali? Uno dei motivi è che oggi il mondo jihadista è diviso tra due gruppi rivali che si contendono i sostenitori.

La rottura si è consumata nel 2013, quando lo Stato islamico in Iraq e Siria (Isis), dopo aver lanciato una sua succursale di grande successo in Siria, nota come Fronte al nusra, ha provato a riportare quest’ultimo sotto il controllo dell’organizzazione madre.

La filiale siriana si è opposta, cercando il sostegno di Al Qaeda, la casa madre di entrambi i gruppi jihadisti. Al Qaeda ha sostenuto i siriani, e l’Isis ha interrotto i rapporti con Al Qaeda, diventando un suo concorrente diretto.

Lo Stato islamico in Iraq e Siria e il Fronte al nusra si sono dati battaglia per tre mesi all’inizio del 2014, combattendo una guerra che ha ucciso migliaia di militanti. Il primo ha finito per controllare buona parte della Siria orientale. Poco dopo, l’Isis ha invaso gran parte dell’Iraq occidentale, cambiando il nome del gruppo in Stato islamico (Is).

Lo Stato islamico e la filiale locale di Al Qaeda, il Fronte al nusra, stanno attualmente osservando una tregua in Siria, ma i due gruppi sono ancora impegnati in un’aspra lotta per conquistare la fedeltà dei gruppi jihadisti del resto del mondo musulmano.

Il caso francese

Le spettacolari azioni terroristiche contro obiettivi occidentali piacciono a entrambi i gruppi, perché sono potenti strumenti di reclutamento nei circoli jihadisti. Ma lo Stato islamico ha anche un altro motivo per organizzarli: porre fine agli attacchi che sta subendo da parte degli occidentali.

Oggi il gruppo controlla un territorio che ha dei confini, un esercito e un’economia più o meno funzionante. Non vuole che le forze occidentali interferiscano con i suoi tentativi di consolidare ed espandere questo stato, e spera che gli attacchi terroristici contro l’occidente possano spingerle a ritirarsi.

La Francia è un obiettivo primario, perché fa parte della coalizione occidentale che sta bombardando lo Stato islamico e perché è relativamente facile reclutare dei terroristi all’interno di una comunità musulmana numerosa, povera ed emarginata come quella francese.

Anche la Russia è diventata un bersaglio prioritario da quando i suoi aerei hanno cominciato a bombardare i jihadisti in Siria, e il recente abbattimento di un aereo di linea russo nel Sinai potrebbe essere dovuto a una bomba piazzata dai terroristi dello Stato islamico.

In futuro ci aspettano quindi attentati terroristici dove lo Stato islamico (e, in misura minore, Al Qaeda) riuscirà a trovare dei volontari disposti a compierli. I paesi occidentali che hanno comunità musulmane più piccole e meglio integrate sono meno vulnerabili della Francia, ma rappresentano comunque dei bersagli.

Mandare delle truppe di terra straniere in Siria servirebbe solo a peggiorare le cose. Il male minore, per tutti i paesi coinvolti, è aspettare che la campagna terroristica passi. Per quanto orrendi siano gli attentati, rappresentano un rischio molto ridotto per il cittadino medio. Statisticamente parlando, è ancora molto più pericoloso attraversare la strada, per non parlare di salire su una scala.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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