28 agosto 2015 11:35

Com’è la situazione nei centri di accoglienza in Italia? Cosa offre il paese ai richiedenti asilo? Chi può beneficiare dell’asilo? Cinque domande al presidente del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) Christopher Hein.

Chi si occupa delle richieste d’asilo in Italia?

Il richiedente asilo presenta una domanda di protezione internazionale alla questura o alla polizia di frontiera, quindi il Dipartimento delle libertà civili e immigrazione, del ministero dell’interno, l’autorità responsabile per l’esame, dovrà esaminare la domanda. Le domande di protezione internazionale vengono analizzate dalle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale composte da un funzionario della prefettura, uno della questura, un rappresentante dell’ente locale e un membro dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr). Le commissioni decidono in base a interviste individuali, in presenza di interpreti, se alla persona deve essere riconosciuta una forma di protezione. Nel corso dell’ultimo anno il numero delle commissioni è stato aumentato fino a 40, proprio per velocizzare l’analisi delle domande di protezione internazionale.

Chi può beneficiare dell’asilo?

Tutti i cittadini stranieri, a parte i cittadini comunitari, hanno il diritto di chiedere asilo in Italia. In quest’ottica appare veramente strumentale la distinzione che molto spesso viene fatta tra “irregolari” e “richiedenti asilo”. In Italia sono previste tre differenti forme di protezione di cui beneficiano le persone che per diversi motivi non possono tornare in condizioni di sicurezza nei loro paesi di origine. Lo status di rifugiato protegge chi è costretto a lasciare il proprio paese perché perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, secondo la definizione stabilita dalla Convenzione di Ginevra. La protezione sussidiaria, introdotta dalla Normativa comunitaria, viene riconosciuta a chi rischia di subire un danno grave, come una condanna a morte, atti di tortura o trattamenti inumani o degradanti, minaccia alla vita come avviene in contesti di conflitto generalizzato, nel caso di ritorno nel paese di origine. Infine la protezione umanitaria che viene concessa quando si valuta su base individuale, che esistono gravi motivi di carattere umanitario per i quali il rimpatrio forzato potrebbe comportare serie conseguenze per la persona. Sarà la Commissione, di cui prima abbiamo parlato, sulla base delle storie raccontate dalle persone, della loro coerenza e delle risultanze di approfondimenti fatti sui paesi di origine, a decidere se la persona deve beneficiare di una di queste forme di protezione.

Quanto deve aspettare un richiedente asilo per sapere se la sua domanda è stata accettata?

Dipende da quale è la questura che ha raccolto la domanda d’asilo. Ogni Commissione territoriale ha un carico di lavoro e tempi di analisi diversi. Parliamo comunque di tempistiche molto lunghe. Nonostante l’aumento del numero delle Commissioni, possiamo stimare tempi di attesa di almeno un anno, rispetto ad una procedura che, secondo la legge, dovrebbe durare 35 giorni.

Com’è la situazione nei centri di accoglienza per richiedenti asilo in Italia?

Possiamo usare due aggettivi per descriverla: caotica e difficile. Caotica perché sono proliferati i centri di accoglienza temporanei. Dobbiamo pensare al sistema di accoglienza italiano come a un sistema a tre anelli: i centri governativi (Cara) che sono centri collettivi come quello di Crotone e di Mineo dove sono accolte migliaia di persone, i centri del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) che sono piccoli centri dislocati su tutto il territorio nazionale che garantiscono un buon livello di servizi e i centri di accoglienza temporanea. Evidentemente le condizioni in questi diversi anelli sono molto diverse. Per far fronte al numero crescente degli arrivi il ministero dell’interno ha infatti risposto aumentando i posti di accoglienza che sono ad oggi circa 94mila, ma purtroppo nella stragrande maggioranza sono tutti centri temporanei. Nel sistema Sprar oggi sono disponibili circa 20mila posti e altri 10mila nei centri governativi. Tutti i restanti posti di accoglienza sono in strutture straordinarie e temporanee. Quindi con standard diversi da quelli previsti per i centri Sprar e le cui condizioni, sia materiali che di servizio, sono molto difficili da monitorare. Questo è un elemento che ci preoccupa moltissimo. Abbiamo ricevuto telefonate da richiedenti asilo che lamentavano la mancanza di servizi fondamentali: dagli operatori legali, fondamentali per assistere le persone nella loro richiesta d’asilo, a standard materiali poco dignitosi. Credo che l’Italia si trovi oggi a scontare un ritardo storico nell’accoglienza. Fino al 2011 dobbiamo ricordare che lo Sprar aveva solo tremila posti. Abbiamo risposto per troppo tempo con soluzioni d’emergenza, senza capire che dovevamo invece costruire un sistema di accoglienza credibile in termini di numeri e di servizi, in linea con quello di altri paesi europei.

Quanto tempo si rimane nei centri di accoglienza?

Dipende molto da che tipo di percorso un richiedente asilo e un rifugiato ha fatto in Italia. Normalmente nei centri governativi si rimane per l’intera durata della procedura d’asilo e una volta che la protezione è riconosciuta si deve uscire. Con il paradosso che molte persone proprio nel momento in cui L’Italia le dichiara bisognose di protezione si trovano a vivere per strada. Nei centri dello Sprar una volta riconosciuta la protezione una persona può rimanere mediamente sei mesi . Mentre molto difforme è la prassi nei centri temporanei. Diciamo, comunque, che tutte le persone rimangono nei centri di accoglienza almeno per la durata della procedura d’asilo, cioè circa un anno.

Cosa offre l’Italia ai richiedenti asilo?

Dal punto di vista della protezione, molto. L’Italia è infatti uno dei paesi europei che hanno il tasso di protezione internazionale più alto. Lo scorso anno abbiamo riconosciuto una forma di protezione al 60 per cento dei richiedenti asilo intervistati, a confronto del 45 per cento della media europea. Questo è un aspetto sicuramente positivo del nostro sistema d’asilo. Dal punto di vista dell’accoglienza, e ancor più dell’integrazione, purtroppo offriamo ancora troppo poco. Le condizioni di accoglienza, come abbiamo visto, sono molto difficili e disomogenee sul territorio nazionale. Mentre dal punto di vista delle possibilità di integrazione in Italia ancora non esiste un programma nazionale che permetta a tutti i rifugiati di seguire dei percorsi individuali finalizzati a all’inserimento, ma solo delle iniziative del privato sociale. Questa è una falla del sistema. Parlando con i rifugiati ci accorgiamo infatti, molto spesso, che tutto quello che chiedono è solamente di essere supportati e aiutati a diventare autonomi. A ritrovare quella condizione sociale che avevano nel loro paese di origine e che sono stati costretti ad abbandonare.

Questa scheda di una serie di Internazionale sul diritto d’asilo in Europa, all’interno del progetto #OpenEurope a cui la rivista aderisce insieme ad altri giornali europei e nordafricani.

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