23 luglio 2014 12:59

Mentre i governi sono imbrigliati in lunghi dibattiti, le multinazionali già applicano politiche avanzate per la tutela dei lavoratori omosessuali. Anche in Italia. Il secondo di una serie di tre articoli su multinazionali e diritti gay.

(Matthew Salacuse, Getty Images)

L’omosessualità è un reato in [ottantuno paesi][1] e in [dieci][2] di questi è punita con carcere a vita o pena di morte.

Dal punto di vista di una grande azienda, le leggi omofobe di un paese sono un limite alla mobilità internazionale dei suoi dipendenti gay e lesbiche, e questo danneggia le carriere e, più in generale, l’interesse dell’azienda.

È anche per questo che molte multinazionali collaborano da anni con istituzioni pubbliche e organizzazioni non governative per migliorare le condizioni di lavoro degli impiegati omosessuali.

In 29 stati degli Stati Uniti è legale licenziare qualcuno per via del suo orientamento sessuale. Ma il 98 per cento delle cinquecento aziende più grandi del paese ha messo in atto politiche interne che vietano di farlo.

In pratica le grandi aziende colmano il vuoto legale lasciato dai governi, introducendo regolamenti interni che tutelano i diritti dei lavoratori lgbt.

E non è la prima volta che gli interessi economici coincidono con una battaglia per i diritti civili. Nel 1953, per esempio, l’Ibm decise di non investire in nuovi impianti in North Carolina e Tennessee a causa delle leggi segregazioniste in vigore nei due stati. Utilizzò quindi il suo peso sull’economia locale per influenzare le autorità locali e la società.

E oggi l’Ibm chiede l’istituzione di un accordo tra imprese concorrenti per fare fronte unito contro i governi che applicano leggi omofobe e fare pressione contro le discriminazioni.

Di recente la Walt Disney Company ha ritirato ogni forma di sovvenzione all’associazione americana dei Boy Scout. Il motivo? “La nostra azienda - si legge nel comunicato ufficiale - non finanzia attività che non rispettano i nostri principi fondamentali”.

L’associazione dei Boy Scout, infatti, ha finalmente autorizzato l’ammissione di boy scout omosessuali, ma ha mantenuto il divieto per quanto riguarda i capi scout. Una discriminazione che non piace alla Disney.

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A febbraio l’assemblea legislativa dell’Arizona è finita sotto i riflettori per aver approvato un legge che consentiva ai gestori di attività commerciali di rifiutarsi di servire alcuni clienti per motivi religiosi. Fondamentalmente si autorizzavano i negozianti cristiani integralisti a non servire persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali.

Quando la legge è arrivata nelle mani della governatrice ultraconservatrice dello stato, Jan Brewer, le grandi aziende e i rappresentanti delle attività commerciali dell’Arizona hanno dichiarato che l’entrata in vigore di una legge omofoba avrebbe gravemente danneggiato i loro affari e l’economia locale.

In particolare gli organizzatori del Super Bowl, la più grande manifestazione sportiva del paese che nel 2015 si terrà in Arizona, hanno minacciato di cambiare sede all’evento se il governatore non avesse posto il veto sulla legge. Cosa che poi ha fatto.

In Italia, mentre il parlamento si prepara a discutere dopo l’estate il tema delle unioni civili, il gigante delle spedizioni Dhl ha già introdotto il congedo matrimoniale per i suoi dipendenti italiani omosessuali, basta che forniscano uno stato di famiglia che attesti una convivenza di almeno un anno.

“Siamo un’azienda di servizi”, ha dichiarato al Corriere della Sera il direttore delle risorse umane di Dhl Italia, “e abbiamo riscontrato che le persone lavorano meglio quando stanno meglio”.

È chiaro che se molte imprese straniere in Italia cominceranno a riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso, la discussione delle legge in parlamento ne sarà influenzata.

Un esempio di come si possa promuovere la lotta alla discriminazione con strumenti tipici delle culture locali arriva da un’istituzione internazionale, ma non commerciale: le Nazioni Unite.

Sfruttando al meglio il linguaggio dei musical di Bollywood, l’Onu ha diffuso un video in cui la famosa cantate e attrice Celina Jaitly è protagonista di una declinazione indiana della classica storia

Indovina chi viene a cena?.

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Il paradosso delle Nazioni Unite, però, è che se da un lato l’organizzazione si batte contro la discriminazione delle persone omosessuali, nel suo funzionamento interno incorpora tutte le discriminazioni dei 193 paesi membri.

Per non turbare il suo fragile equilibrio, infatti, l’Onu riconosce ai suoi funzionari lgbt solo i diritti garantiti nei loro paesi di provenienza. E così un cittadino italiano che si trasferisce a New York per aprire una pizzeria potrà sposare legalmente il suo compagno, mentre un italiano che ci va con un mandato delle Nazioni Unite no.

È sorprendente, ma oggi le multinazionali riescono a fare più dell’Onu per difendere i diritti degli omosessuali: non solo applicano livelli di equità senza precedenti, ma li esportano anche in paesi dove la battaglia per i diritti lbgt è solo all’inizio.

(Fine seconda parte)

Multinazionali e diritti gay

La parità è un buon business

  1. Le aziende che esportano i diritti

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