15 gennaio 2021 12:27

Ha fatto bene Twitter a bloccare Donald Trump? Era ora, dicono alcuni. È un precedente pericoloso, dicono altri. La verità, scrive Evelyn Douek sull’Atlantic, è che le piattaforme come Twitter e Facebook “possono fare, e faranno, quello che vogliono”. Bloccare Trump è stata una dimostrazione di potere eccezionale, più che un’ammissione di colpevolezza: “Un piccolo gruppo di persone della Silicon valley sta definendo le modalità d’espressione di ciascuno di noi, creando di fatto una zona grigia dove le regole si collocano da qualche parte tra la democrazia e il giornalismo, ma lo stanno facendo con decisioni prese all’ultimo minuto e nei modi che preferiscono”.

Tra le ragioni che hanno spinto Twitter a bloccare Trump ce ne sono varie, non ultima la pressione interna dei dipendenti. Ma il motivo principale va cercato realisticamente nel cambio d’inquilino alla Casa Bianca e soprattutto nel cambio di maggioranza al senato statunitense: da domani, scrive sempre Douek, “saranno i democratici, e non i repubblicani, a decidere le regole da applicare alle piattaforme”.

C’è poi l’errore di vedere i social network come spazi pubblici, una funzione incompatibile con il fatto di essere organizzati intorno a modelli economici basati sulla continua crescita e sull’aumento dei ricavi. Ben Tarnoff, fondatore della rivista Logic, riconosce che c’è un certo valore strategico nel mettere al bando Trump, ma al tempo stesso il sistema dell’informazione, online o meno, è troppo importante per essere lasciato nelle mani di aziende private.

Oltre a discutere le scelte dei social network, dovremmo approfittarne per chiedere che siano democratizzati, che si trovi il modo di sviluppare un sistema di mezzi di comunicazione pubblici e cooperativi, non solo online, al riparo dalla pressione del profitto a tutti i costi e in grado di svolgere fino in fondo quel ruolo di pubblica utilità di cui ci sarebbe bisogno.

Questo articolo è uscito sul numero 1392 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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