17 settembre 2019 09:22

Qual è la differenza tra eutanasia, morte assistita e suicidio assistito?

“La principale differenza tra eutanasia e suicidio assistito sta nella persona che esegue l’ultima azione”, sostiene Richard Huxtable, professore di etica e diritto sanitario all’università di Bristol.

Con eutanasia si definiscono delle azioni deliberate, volte a porre fine alla vita di una persona, con l’obiettivo di mettere un termine alle sue sofferenze, e nelle quali l’“ultimo atto” lo compie una persona diversa dall’individuo in questione, per esempio un medico. Se la persona in questione l’ha richiesta, è definita “eutanasia volontaria”.

Il suicidio assistito è invece un aiuto fornito a una persona che esprime la volontà di mettere fine alla propria vita: in altri termini l’atto finale lo compie la persona stessa. L’espressione morte assistita può essere usata per indicare sia l’eutanasia, generalmente volontaria, sia il suicidio assistito. Tuttavia, alcune associazioni la usano per indicare solo il suicidio assistito delle persone malate terminali.

“Uno dei dilemmi che abbiamo all’interno di questi dibattiti riguarda il modo in cui le persone usano le diverse espressioni”, dice Huxtable. Quasi tutte, ma non tutte, le giurisdizioni che ammettono qualche forma di eutanasia o di suicidio assistito impongono il coinvolgimento di professionisti medici.

La sedazione palliativa, nella quale le persone possono chiedere di essere sedate fino alla loro morte, è legale in molti paesi, tra cui i Paesi Bassi e la Francia, ed è diversa dall’eutanasia.

Quali paesi permettono alcune di queste varianti?

I Paesi Bassi e la Svizzera sono i più noti, mentre il Belgio è considerato forse il più progressista in materia, ma varie altre giurisdizioni ammettono alcune forme di eutanasia e suicidio assistito. Ciò detto, le circostanze ammesse variano sensibilmente.

Nei Paesi Bassi sia l’eutanasia sia il suicidio assistito sono legali, qualora il paziente provi dolori insostenibili e non ci siano prospettive di miglioramento. Tutti i cittadini di almeno dodici anni possono richiederlo ma l’approvazione dei genitori è necessaria per chi ne ha meno di 16. Esiste un sistema di controlli e verifiche: per esempio ogni medico deve consultarsi con almeno un collega indipendente per decidere se un paziente rientri o meno nei criteri necessari.

Anche il Belgio, il Lussemburgo, il Canada e la Colombia ammettono sia l’eutanasia sia il suicidio assistito, anche se esistono differenze: per esempio solo i pazienti terminali possono richiederli in Colombia, mentre il Belgio non prevede limitazioni d’età per i bambini (anche se questi devono essere affetti da malattie terminali).

Il ricorso al suicidio assistito è molto più diffuso di quello all’eutanasia. Tra i luoghi dove le persone possono decidere di mettere fine alla loro vita in questo modo ci sono la Svizzera e vari stati degli Stati Uniti, tra cui California, Colorado, Hawaii, New Jersey, Oregon, Washington, Vermont e il Distretto di Columbia. Da poco sono entrate in vigore alcune leggi che autorizzano il suicidio assistito nello stato australiano di Victoria.

Anche qui le esatte circostanze nelle quali è autorizzato il suicidio assistito variano. Alcune giurisdizioni, come quella dell’Oregon e del Vermont, lo autorizzano solo in caso di malattie terminali. In alcuni luoghi è ammesso non perché siano state approvate specifiche leggi al riguardo, ma perché il diritto non lo impedisce. Per esempio in Svizzera è reato aiutare un suicida se la cosa è compiuta per motivi egoistici. “Il risultato è una crescita delle organizzazioni senza fini di lucro”, spiega la professoressa Penney Lewis, esperta di diritto relativo alle cure per il fine vita presso il King’s College di Londra.

Altri paesi, tra cui la Nuova Zelanda, stanno valutando di legalizzare alcune forme di eutanasia.

Qual è la situazione nel Regno Unito?

L’eutanasia e il suicidio assistito sono illegali. L’eutanasia può portare a incriminazioni per omicidio e il suicidio assistito a una condanna fino a quattordici anni di prigione.

Ciò detto, alcune indagini anonime suggeriscono che l’eutanasia sia in realtà praticata nel Regno Unito, anche se molto raramente. Uno studio pubblicato nel 2009, utilizzando le risposte ottenute da più di 3.700 professionisti medici, suggerisce che lo 0,2 per cento delle morti sia legato all’eutanasia volontaria e lo 0,3 per cento all’eutanasia senza esplicita richiesta da parte del paziente, mentre non è stato registrato alcun suicidio assistito.

Non è infrequente che a un paziente sia fornito un trattamento per alleviare il dolore che può indirettamente accorciarne la vita, ma questa non è eutanasia. Nel Regno Unito è già consentito ai pazienti rifiutare le cure mediche, anche qualora questo riduca la durata della loro vita. Anche i medici sono autorizzati a interrompere le cure in certi casi, per esempio quando un paziente è in stato vegetativo e non potrà riprendersi (una pratica definita talvolta, in maniera controversa, eutanasia passiva).

Quante persone si sottopongono a eutanasia o a suicidio assistito?

È difficile raccogliere le cifre su scala globale. Statistiche relative alla Svizzera mostrano che il numero delle persone che vivono nel paese e si sono sottoposte a suicidio assistito sono salite da 187 del 2003 a 965 del 2015.

Secondo i Regional euthanasia review committees del 2017, nei Paesi Bassi ci sono stati 6.585 casi di eutanasia volontaria o suicidio assistito, ovvero il 4,4 per cento del numero totale di decessi. Circa il 96 per cento dei casi è legato all’eutanasia, con meno del 4 per cento di suicidi assistiti. La maggior parte dei casi riguardava persone malate di tumore.

Agnes van der Heide, docente di processi decisionali e cure relativi al fine vita presso il centro medico dell’università Erasmus di Rotterdam, sostiene che sono varie le ragioni per le quali l’eutanasia è più diffusa del suicidio assistito nei Paesi Bassi. Tra queste c’è il fatto che i medici potrebbero ritenere, quando sono loro stessi a effettuare l’azione, di avere un maggiore controllo sulle dosi e sui tempi necessari a tale procedura.

“I pazienti sono spesso in una fase molto avanzata della loro malattia, nella quale è difficile dal punto di vista pratico, se non impossibile, bere la sostanza letale che devono assumere quando chiedono assistenza per il suicidio”, aggiunge. “Si tratta di una bevanda dal gusto molto amaro, che richiede un grosso sforzo per essere bevuta per intero”, aggiunge. Un altro elemento che entra probabilmente in gioco è la sensazione che si tratti di una procedura medica, il che spinge a preferire che sia un medico a effettuarla.

Lewis sostiene che un’ampia maggioranza di persone non pone fine alla propria vita tramite l’eutanasia anche quando potrebbe farlo. “Il ricorso ai trattamenti salva vita è molto più ampio, anche nelle giurisdizioni in cui l’eutanasia è permessa”, dice.

Cosa è successo nel caso dell’adolescente olandese Noa Pothoven?

Noa Pothoven è morta a giugno, all’età di 17 anni. Soffriva di anoressia e di depressione grave. Inizialmente i mezzi d’informazione avevano suggerito che la ragazza fosse stata sottoposta a eutanasia legale, ma stando ad alcuni resoconti successivi le circostanze della sua morte sarebbero diverse. Alcuni suoi amici hanno dichiarato in una nota che la ragazza è morta dopo aver smesso di mangiare e bere.

Van der Heide, pur spiegando di non poter commentare il caso di Pothoven, spiega che nei Paesi Bassi, a certe condizioni, i minori di almeno 12 anni possono richiedere l’eutanasia o il suicidio assistito.

C’è stato un fenomeno di turismo del suicidio assistito?

In alcuni luoghi sì. Secondo Van der Heide, nonostante il turismo del suicidio assistito non sia formalmente vietato nei Paesi Bassi, i medici devono collaborare con il paziente per stabilire se le sue condizioni rientrino in alcuni criteri. “Credo che se un dottore praticasse l’eutanasia su un paziente che non conosce, allora è molto probabile che il comitato regionale troverebbe da ridire”, spiega.

Tuttavia ci sono persone che si recano in Svizzera per ottenere un suicidio assistito. Secondo le statistiche dell’associazione Dignitas, 221 persone hanno visitato il paese a questo scopo nel 2018: 87 provenivano dalla Germania, 31 dalla Francia e 24 dal Regno Unito.

Cosa pensa la gente dell’eutanasia e del suicidio assistito?

Dipende da come viene posta la domanda. Secondo un recente sondaggio condotto dal Centro nazionale per la ricerca sociale per conto dell’associazione My death dy decision (la mia morte la mia decisione, Mdmd) il 93 per cento delle persone, nel Regno Unito, approva, o non è contrario a priori, al suicidio assistito da un medico per i malati terminali.

Il sondaggio sull’atteggiamento sociale dei britannici, pubblicato nel 2017, getta luce sulle opinioni relative all’eutanasia volontaria, e mostra che le persone sono generalmente favorevoli all’idea che i medici mettano fine alla vita di un malato terminale che ne faccia richiesta (78 per cento), ma in misura minore qualora sia un parente stretto a occuparsene (39 per cento). Mostra anche che il deciso sostegno all’eutanasia volontaria è meno alto se la persona in questione è affetta da malattie non terminali, o se dipende dai parenti per ogni sua necessità, ma non è appunto in stato terminale o di sofferenza.

Cosa pensano i medici?

L’eutanasia e il suicidio assistito si sono dimostrati una questione controversa tra i medici. Alcuni ritengono che il sostegno a tali idee sia in conflitto con il principio medico “non fare del male”. Secondo altri alcune persone potrebbero scegliere di non mettere fine alla propria vita se sapessero di poter facilmente accedere a trattamenti per il fine vita.

“Alcuni professionisti sanitari sono abituati a prendersi cura di pazienti che stanno morendo e sanno cosa possono apportare le cure palliative: potrebbero quindi avere la sensazione che la morte assistita non sia sempre necessaria”, sostiene Dominic Wilkinson, professore di etica medica all’università di Oxford.

Ma alcuni medici sono favorevoli, almeno per circostanze specifiche come le malattie terminali, e sostengono che possa trattarsi di un atto di umanità, e che alle persone dovrebbe essere garantita l’autonomia di decidere quando morire. Dopo essersi opposto per anni alla morte assistita, quest’anno il Royal College of Physicians ha cambiato la sua posizione, diventando neutrale al riguardo. Questo è accaduto dopo che, in un sondaggio rivolto a settemila medici ospedalieri britannici, il 43,4 per cento si è schierato contro la morte assistita e il 31,6 per cento si è dichiarato favorevole. Il Royal College dei medici di base ha recentemente annunciato che aprirà una consultazione per conoscere il punto di vista dei suoi affiliati.

Nei Paesi Bassi un sondaggio rivolto a quasi 1.500 medici e pubblicato nel 2015 ha rilevato che più del 90 per cento dei medici di base e l’87 per cento dei geriatri erano favorevoli all’approccio progressista del loro paese nei confronti di eutanasia e suicidio assistito. Questo è forse dovuto al fatto che lo sviluppo delle leggi in vigore è avvenuto accogliendo anche i pareri del personale medico.

“Tutti i criteri e anche la pratica dell’eutanasia sono perlopiù determinati dalla concezione, da parte dei medici, di come dovrebbero andare le cose”, spiega Van der Heide. “Di fronte ai pazienti affetti da cancro all’ultimo stadio e in preda a sofferenze insostenibili, non esiste forse un solo medico in tutti i Paesi Bassi che sia convito che il problema, in questi casi, sia fare del male ai malati”.

Le leggi sono state utili?

Dipende dai punti di vista. Il consenso nei confronti delle leggi nei Paesi Bassi rimane chiaramente alto, ma secondo alcuni queste pratiche sono applicate troppo diffusamente.

Come sostiene Van der Heide, le leggi dei Paesi Bassi erano state concepite pensando a casi come il cancro in fase terminale, ma anche se la maggior parte delle richieste continua a pervenire dai malati di cancro, è in crescita la proporzione delle richieste legate ad altre malattie. “Naturalmente, col passare del tempo, sia ai medici sia ai pazienti è risultato più chiaro quali fossero i requisiti, e come questi potessero essere estesi anche ad altre categorie”, spiega.

La cosa ha causato alcune polemiche. Il rapporto Rte del 2017 conteneva alcune preoccupazioni di psichiatri e medici olandesi sull’uso dell’eutanasia per le persone con disturbi psichiatrici e per i pazienti in stato avanzato di demenza. L’indagine del 2015 ha rilevato, su quasi 1.500 persone interpellate, che solo il 31 per cento dei medici generici e il 25 per cento dei geriatri garantirebbe una morte assistita ai pazienti con demenza in stato avanzato e, con proporzioni rispettivamente del 37 e del 43 per cento, anche a quanti sono affetti da problemi psichiatrici.

Tuttavia, come rileva Huxtable, altre giurisdizioni come quella in Oregon mostrano che un aumento del ricorso a simili pratiche non è inevitabile. “Il fatto che ci siano state alcune derive nei Paesi Bassi dovrebbe dare a tutti motivo di riflettere”, dice. “Dovremmo chiederci cosa sia difendibile in via di principio, così da sorvegliarne, come è giusto che sia, i confini”.

Ci sono state anche accuse di negligenza medica. Nel 2018 sia i Paesi Bassi sia il Belgio hanno denunciato per la prima volta un caso nel quale alcuni medici sono stati oggetto d’indagine per possibile violazione delle leggi. Altre tre indagini relative all’eutanasia di pazienti psichiatrici sono attualmente in corso nei Paesi Bassi.

“Oggi esiste un maggior numero di casi controversi, quindi è più alta che in passato la probabilità che esistano casi che non rientrano nei criteri previsti e che i pubblici ministeri ritengano necessario avviare una procedura penale”, dice Van der Heide.

Ci sono altre preoccupazioni?

Alcune associazioni che si occupano di disabilità hanno espresso la propria preoccupazione dicendo che, a mano a mano che l’eutanasia e il suicidio assistito diventano pratiche più diffuse, potrebbe aumentare la pressione, per quanti sono affetti da malattie non terminali, a porre fine alla propria vita. Ma Van der Heide sostiene che i medici, nei Paesi Bassi, sono molto scrupolosi nel trattare le richieste dei pazienti e nell’assicurarsi che la loro situazione rientri in requisiti molto severi, rifiutandoli in caso contrario.

Secondo lei, comunque, gli sviluppi delle leggi che permettono l’eutanasia o la morte assistita vanno gestiti con grande cura. “Mi rendo perfettamente conto che un sistema nel quale l’eutanasia è possibile debba essere attentamente monitorato e oggetto di ricerche, perché in teoria prevede il rischio che la vita delle persone vulnerabili sia considerato di minor valore, o che più facilmente diventi oggetto di pratiche di morte assistita da parte dei medici”, dice.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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