22 dicembre 2018 13:31

Il cinema egiziano ha dominato per decenni la cultura popolare araba, con le sue grandi produzioni cinematografiche uscite dai mitici studi Misr del Cairo, e lo stile drammatico dei musical nei quali le attrici si esibiscono sempre – come cameo obbligatorio nella trama – in una danza del ventre lasciva e sensuale.

Negli ultimi trent’anni, il crescente puritanesimo della società egiziana e la forte influenza politica e culturale del partito dei fratelli musulmani hanno attaccato l’immagine sexy della Hollywood sul Nilo. Ma con “lo scandalo del vestito” dell’attrice Rania Youssef è stata raggiunta una nuova vetta. Dopo il colpo di stato del 2013, il regime di Abdel Fattah al Sisi ha ucciso o imprigionato molti leader della fratellanza musulmana reprimendo la loro influenza sulla società in nome del laicismo e della modernità. Il presidente riprende ora, per proprio conto, i loro toni più conservatori.

L’attrice Rania Youssef è molto famosa in Egitto, in particolare per il suo ruolo di ginecologa nel film Wahed sahih (2012) di Hady al Bagory, ma soprattutto per le sue presenze nei musalsalat, le serie tv ancora molto seguite in Egitto e in tutta la regione, come Riyah al Madina (I venti della città) o Al nisaa qadimat (Le donne stanno arrivando) .

Rania, ex modella sulla quarantina, ama mostrare il suo fisico formoso come attesta il suo account Instagram. Alla serata di chiusura del quarantesimo Festival del film del Cairo, indossava un vestito trasparente. Il giorno dopo, l’avvocato Samir Sabry ha depositato una denuncia per “incitazione alla dissolutezza”, con la richiesta di una condanna a cinque anni di carcere.

Le reazioni
L’avvocato non è nuovo a iniziative del genere. Questo fervente sostenitore del presidente Al Sisi si vanta in un suo ritratto pubblicato su Meem Magazine di avere presentato 2.700 denunce negli ultimi quattro anni. Ha denunciato il cantante Rami Issam per avere “ridicolizzato il presidente Al Sisi e averne sminuito le imprese” nella sua canzone Balha. Lo scrittore Ahmed Naji ha passato nove mesi in carcere nel 2016 dopo una denuncia di Sabry, mentre la cantante Sherine Abdel Wahab è stata condannata in primo grado a 6 mesi di carcere per una barzelletta sulla “qualità dell’acqua del Nilo”. Sabry “incarna il sistema giudiziario egiziano, un sistema usato dal governo militare per eliminare tutti gli oppositori del regime”, riassume il sito Middle East Monitor.

Dopo la denuncia contro l’attrice, alcuni egiziani su Twitter si sono rallegrati della notizia, altri si dicono stanchi di vedere il dibattito pubblico concentrato sulla “crisi del vestito”. Un giovane egiziano scrive che “il parlamento insorge per il vestito di Rania Youssef, ma non si muove per l’uccisione di cittadini egiziani in Germania”. Altri pubblicano una foto del Cairo ridisegnata come una città del golfo Persico, per sottolineare come siano proprio i paesi che si affacciano sul golfo a dettare ormai i codici culturali all’Egitto.

Al di là della cronaca, le denunce di celebrità egiziane puntano politicamente a mettere a tacere l’intera società. Il regime egiziano è sempre stato particolarmente cosciente dell’importanza del cinema per legittimare il potere. Durante i trent’anni di regime di Hosni Mubarak era nata una vera corte cinematografica, con attori famosissimi come il comico Adel Iman che non mancava di farsi fotografare regolarmente insieme a Mubarak.

Tuttavia, il metodo Al Sisi è diverso e ricorda quello del Partito comunista cinese che si scaglia contro le grandi attrici, come nel recente caso di Fan Bingbing, forzandole in seguito a scuse pubbliche.

Rania Youssef ha evitato il carcere dopo aver presentato le sue scuse in lacrime. Un vero esercizio di pubblica umiliazione durante la popolare trasmissione Hakya della tv egiziana Mbc ha permesso al regime di mettere in chiaro che nessuno sfugge all’obbligo di omologarsi, neanche le più ricche e famose attrici che sfilano sul tappeto rosso.

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