18 settembre 2018 10:05

Gli ultimi giorni di agosto sono stati i primi di un’altra guerra tra milizie a Tripoli. Migliaia di abitanti della zona meridionale della città si sono ritrovati da un momento all’altro intrappolati sotto un fuoco incrociato e hanno avuto enormi difficoltà a lasciare l’area. Alcuni si sono diretti verso la zona nord , altri si sono sparpagliati nelle città vicine. Alcuni hanno trovato riparo nelle abitazioni di parenti, altri si sono radunati in scuole scelte come rifugi di emergenza, e tutti sono rimasti ad aspettare che la tempesta passasse, chiedendosi se a quel punto avrebbero avuto ancora una casa a cui tornare.

La maledizione di Tripoli sono i suoi salvatori. Sono in molti a volerla salvare gli uni dagli altri, e dopo ogni operazione di salvataggio gli abitanti si ritrovano ad aver pagato un prezzo altissimo solo per vedere una milizia prendere il posto dell’altra. Da quando la milizia denominata Settima brigata ha attaccato Tripoli per salvarla, diverse altre milizie sono giunte in città con lo stesso obiettivo. Alcune sono state invitate dal primo ministro del governo di accordo nazionale Fayez al Sarraj, altre no, come quella di Salah Badi. Secondo molti, la Settima brigata doveva essere il cavallo di Troia del generale Khalifa Haftar, capo delle forze armate leali alle autorità dell’est del paese, ma di fatto ha aperto la via a tutti, soprattutto alle milizie di Zintan e di Misurata.

Le milizie di Tripoli si sono ritirate in massa dalle zone sud e nordovest della città, dove svolgevano anche compiti di “polizia”: con la loro ritirata queste aree sono rimaste senza protezione. Appena entrate a Tripoli, le milizie di Zintan si sono dirette verso quelle aree per “metterle in sicurezza”. Hanno cominciato con i quartieri di Al Krama, Al Sraaj, Ghut al Shaal, Al Seyaheyya ed Edraiby, e appena insediatesi si sono abbandonate a massicce incursioni saccheggiando tutto quello che trovavano sulla loro strada, automobili, negozi, uffici ed edifici governativi.

Hanno svuotato il concessionario della Toyota e hanno rubato persino le automobili della polizia: le telecamere a circuito chiuso hanno ripreso alcuni di questi momenti. Queste azioni sono state più eloquenti di qualsiasi dichiarazione e hanno chiarito qual è la ragione per cui tutte le milizie combattono per avere il controllo di Tripoli: sono tutti affamati, vogliono tutti un posto a tavola. Naturalmente ci sarà sempre qualcuno capace di annusare questa fame e usarla per garantirsi una pedina di scambio da giocare a un tavolo più importante.

Dopo i saccheggi, i comandanti delle milizie di Zintan hanno cercato di contenere i loro giovani scatenati e di rimediare ai danni mandando le loro macchine a pattugliare le strade e invitando con il megafono – in quel momento Facebook era bloccato – chiunque avesse perso qualcosa ad andare a identificarsi al loro quartier generale. In precedenza la sicurezza di quelle aree veniva garantita in modo diverso. Ad esempio, il quartiere di Al Sraaj era sotto la protezione della brigata 301, pagata regolarmente dai proprietari di negozi.

Eh sì, Tripoli è controllata dai comandanti delle milizie. Sono riusciti a realizzare il sogno più grande di ogni gangster del mondo, anzi sono andati oltre, visto che non controllano soltanto qualche politico o qualche poliziotto, ma lo stato nella sua totalità, a partire dal primo ministro. Uno stato mafioso, un paradiso per i gangster in cui ogni membro di una gang è un agente di polizia riconosciuto e pagato dal governo. Perfino la comunità internazionale ha inviato delegazioni per negoziare con loro, siglando patti e accordi. La Settima brigata non è diversa dalle altre, nonostante la massiccia attività di propaganda che la circonda e i disperati tentativi dei suoi membri di avere un aspetto professionale davanti alle telecamere mentre leggono dichiarazioni patriottiche e promettono di salvare la capitale dalle bande armate fuorilegge.

Secondo diverse fonti, Mohamed Kani ha fondato la Settima brigata con il sostegno dell’ex vicepresidente del Congresso nazionale generale (Gnc) Ahmed al Saadi, uno dei leader della coalizione Alba libica ed ex membro del Gruppo dei combattenti islamici libici (Lifg). Mohamed Kani e altri membri della famiglia Kani erano a capo della Brigata dei ribelli di Tarhuna. Non è difficile ricostruire i loro crimini, visto che sono spesso finiti in prima pagina. Hanno reclutato ex soldati ed ex ufficiali, e con le loro forze paramilitari hanno dato alla Settima brigata una struttura più organizzata, ma anche se hanno cambiato abito restano sempre loro, i Kaniyat. Vale la pena ricordare che l’esercito di Haftar non è molto diverso. Al di là di qualche resto delle brigate di Gheddafi, anche lui conta su forze paramilitari e su gruppi salafiti.

Dall’inizio degli scontri e fino al 4 settembre sono morte 78 persone e 210 sono rimaste ferite

A maggio del 2017, quando l’alleanza delle milizie di Tripoli è riuscita a sconfiggere quel che restava delle forze fedeli al Gnc, la Settima brigata ha marciato sull’aeroporto internazionale di Tripoli dichiarando di volerlo mettere in sicurezza ed esprimendo il sostegno al governo di accordo nazionale. Hanno dichiarato di voler combattere le bande fuorilegge, assicurando a tutti che “Tarhuna ha sempre sostenuto con forza la riconciliazione nazionale e lo stato di diritto”.

A rispondere non è stato Al Serraj ma Haitham al Tajouri, leader delle Brigate rivoluzionarie di Tripoli (Trb), per nulla colpito dagli appassionati slogan patriottici della Settima brigata. Dopotutto un simile riconosce sempre un suo simile. Un’ora dopo ha pubblicato una risposta sul suo profilo Facebook ordinando ai Kaniyat di ritirare i loro uomini da Tripoli nel giro di ventiquattr’ore e di consegnare l’aeroporto al ministero dell’interno e al ministero della difesa, ossia a lui. Ha aggiunto poi: “Se questo non accadrà, Tripoli dirà la sua su questo argomento. La gente non è stata ferita e uccisa solo per vedere un gruppo prendere il posto di un altro. Faccio appello alla saggezza degli uomini di Tarhuna affinché facciano ritirare i Kaniyat nella zona di Tarhuna prima che sia troppo tardi per ribaltare le conseguenze delle loro azioni. Sia perdonato chi dà un giusto avvertimento”. In quel momento una dichiarazione su Facebook di Tajouri aveva più forza dei decreti ufficiali del governo di accordo nazionale ed è bastata a convincere la Settima brigata a ritirarsi da Tripoli il giorno dopo, senza sparare un colpo.

Dopo circa un anno la Settima brigata è tornata a Tripoli, armata ed equipaggiata talmente bene da potersi permettere di far fuoco su tutte le milizie contemporaneamente. Al Sarraj ha reso noto che la Settima brigata non è affiliata al governo di accordo nazionale, essendo stata sciolta lo scorso aprile. Il parlamentare dimissionario di Tarhuna Mohammed al Abani ha dichiarato che il consiglio presidenziale ha decretato lo scioglimento della Settima brigata senza però dare seguito a questa decisione sul campo. Ha proseguito rilasciando una confusa serie di dichiarazioni in cui ha detto che a Tarhuna solo la Brigata 22 è inclusa nell’esercito nazionale libico, che la Brigata 22 combatte con la Settima brigata, ma la Settima brigata è fedele al governo di accordo nazionale anche se non obbedisce ai suoi ordini.

Battaglia strada per strada
Dall’inizio degli scontri e fino al 4 settembre, quando è entrato finalmente in vigore l’accordo di cessate il fuoco, sono morte 78 persone e 210 sono rimaste ferite. Le strade sono ancora in parte bloccate nell’area sud di Tripoli e alcune zone non sono ancora accessibili. Per strada ci sono bunker di sabbia, container e barricate, con armi spianate da entrambe le parti che di notte scambiano raffiche di proiettili. Migliaia di persone sono state costrette a lasciare le loro case e interi quartieri sono stati saccheggiati. Molte linee e centraline elettriche sono state danneggiate e alla fine tutta la rete è collassata. Ci sono state interruzioni nella fornitura di acqua, montagne di spazzatura si sono accumulate per le strade, mancavano il pane e il gas per cucinare. Queste ondate hanno continuato a sommarsi le une alle altre, come colpi di pennello di un pittore geniale che aggiunge i tocchi finali a un capolavoro.

Come se ciò non bastasse, il gruppo Stato islamico ha rivendicato l’attacco alla National oil corporation dell’11 settembre, e quello stesso giorno diversi luoghi, compreso l’aeroporto di Mitiga, sono stati colpiti da bombardamenti. Gruppi di giovani vigilanti armati sotto il nome di Movimento dei giovani di Tripoli hanno rivendicato l’attacco, chiedendo lo smantellamento di tutte le milizie, in particolare delle Forze speciali di deterrenza Rada. Nessuno però li ha presi sul serio.

Stando all’ultimo aggiornamento dal campo del portavoce ufficiale del Trb, Jalal Wershiffani, alcune aree del quartiere di Wadi al Rabie e del campo di Yarmouk sono sotto il controllo della Settima brigata, il campo di Hamza è sotto il controllo della milizia Ghnewa, e le milizie di Tripoli di nuovo in combutta tra loro si sono posizionate ad Ain Zara. Ancora una volta a dettare le priorità dei comandanti delle milizie è lo stesso proverbio libico: “Io e mio fratello contro mio cugino, io e mio cugino contro lo straniero”. Alcune delle milizie hanno questioni in sospeso tra loro, omicidi non risolti di loro affiliati, ma a quanto pare per il momento hanno messo tutto da parte, o comunque è quello che vogliono far credere. Al prossimo giro scopriremo chi combatterà e chi starà in attesa, e tutto questo è stato deciso non al tavolo presieduto dal rappresentante dell’Onu Ghassan Salamé, ma altrove a Tripoli.

Nonostante tutto, il giorno dopo le cose erano tornate alla “normalità”. La gente è uscita per cercare un fornaio ancora aperto, un distributore di benzina ancora aperto, o per andare nei bar, che sono sempre rimasti aperti. Abbiamo sorseggiato il caffè analizzando gli eventi e scambiandoci battute su Haftar, Al Sarraj e tutti gli altri pagliacci. Come se tutto questo stesse accadendo altrove, non nelle strade della nostra città. Anche Salamé faceva delle battute divertentissime, come quando ha dichiarato: “L’Unsmil è al corrente dell’identità di chi ha colpito due volte l’aeroporto e la renderà nota alla prossima violazione dell’accordo di cessate il fuoco”. Era come vederlo seduto in una classe di seconda elementare mentre cercava disperatamente di fermare gli scherzi degli altri scolari: “Ehi, lo so chi ha lanciato quella matita, la prossima volta lo dico alla maestra”. Frasi come questa provocano sempre le risate di tutta la classe.

Tuttavia per la gente di Tripoli non ci sono battute sufficienti o musica sufficientemente alta che possa cancellare una cosa particolare: l’attesa, la paura costante di notte, l’incertezza del domani, il suono crudele della contraerea e l’espressione di superiorità negli occhi dei miliziani ai posti di blocco. Sappiamo quanto siamo fragili, sappiamo quando sia facile perdere tutto e tutti, in qualsiasi momento. Basta un proiettile vagante, un bombardamento casuale, un attacco suicida, una rapina a mano armata, un miliziano arrabbiato per spazzare via intere famiglie.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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